Videomessaggio del cardinale Pietro Parolin al Korea Global Forum for Peace

Giustizia e riconciliazione per costruire la pace

 Giustizia e riconciliazione   per costruire la pace   QUO-196
31 agosto 2021

«Se si vuole stabilire una pace autentica nel mondo, la giustizia deve trovare compimento nella carità e nel coraggio di guardare le cose che ci uniscono. Il nostro cammino non sarà mai completo finché la giustizia non sarà completata dalla riconciliazione». Lo ha detto il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, intervenendo, con un videomessaggio, al Korea Global Forum for Peace che da oggi al 2 settembre vede riuniti ricercatori, esperti e funzionari governativi di oltre venti Paesi.

Fin dalla prima edizione nel 2010, il Forum ha come filo conduttore la questione della pace e del dialogo nella penisola coreana. Il tema dell’incontro di quest’anno — online per la pandemia — è: «Una nuova visione delle relazioni intercoreane e della comunità: per la pace, l'economia e la vita».

«Il ruolo della Chiesa per costruire la pace nella penisola coreana» è stato, in particolare, il contributo proposto dal cardinale Parolin. «La mia presenza, sebbene virtuale, intende dimostrare il profondo interesse e il costante impegno della Chiesa e della Santa Sede per la riconciliazione e la pace nella penisola coreana, e il nostro sostegno a ogni sforzo per trasformare l’ambiente internazionale dal confronto alla cooperazione» ha subito fatto presente il segretario di Stato. Nel suo intervento ha indicato «alcuni principi, valori e ideali che le Chiese — e la Chiesa cattolica in particolare — possono offrire alla grande causa della pace in questa regione», attingendo «al patrimonio, sempre antico, sempre nuovo, del Vangelo».

Nel costruire la pace, secondo il porporato, «il processo di passaggio dalle parole ai fatti può essere descritto con tre verbi: accogliere, accompagnare e ascoltare». Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium Papa Francesco, «nell’esporre il programma del suo pontificato, ha parlato di alcuni aspetti importanti dell’accoglienza, ovvero la vicinanza, l’apertura al dialogo, la pazienza e una bontà che non condanna» ha proseguito il segretario di Stato. E «noi cristiani rimaniamo fermi nel nostro proposito di rispettare gli altri, di curare le ferite, di costruire ponti, di rafforzare le relazioni e di portare i pesi gli uni degli altri».

«In secondo luogo “accompagnare”», perché «non ci può essere uno sviluppo armonioso della società se non si attuano strategie condivise volte al rispetto della vita umana e al progressivo accompagnamento delle persone». Infine, «ascoltare», che non è «segno di debolezza o perdita di tempo: l’ascolto può favorire la risoluzione dei conflitti, la mediazione culturale e la pacificazione». Ma «soprattutto — ha aggiunto ricordando l’insegnamento di Francesco — l’ascolto è un segno di grande rispetto». E «il dialogo è un’espressione di carità perché, pur non ignorando le differenze, può aiutarci a cercare e condividere il bene comune».

Per «esporre alcuni principi aggiuntivi che possono aiutare a definire una nuova visione delle relazioni all’interno della penisola coreana», il segretario di Stato ha indicato lo stile di «Giovanni xxiii , che ha sempre sottolineato i valori universali che uniscono le persone», cercando «prima ciò che unisce piuttosto che ciò che divide. Questo è un imperativo di carità, basato sul fatto che ci sono elementi di bene in ogni individuo e in ogni comunità. Il dialogo si fonda su questo principio: mira a riconoscere e valorizzare il bene presente negli altri».

Roncalli «può essere giustamente descritto come un uomo d’incontro», ha detto il cardinale. E «anche oggi l’attività diplomatica della Santa Sede è al servizio dell’incontro, perché la diplomazia è proprio il tentativo di superare tutte le barriere e di riunirsi per affrontare i problemi dell’umanità di oggi». In più, «la capacità di Papa Giovanni di risvegliare la simpatia umana gli ha permesso di entrare immediatamente in relazione con chiunque incontrasse».

«Come Papa del Concilio — ha spiegato — non risparmiò alcuno sforzo per far comprendere ai leader mondiali il valore inestimabile della pace e il valore del dialogo per avvicinare popoli di storie e tradizioni molto diverse. Come ora sappiamo, il suo intervento personale aiutò le parti che si fronteggiavano nella crisi dei missili cubani a risolvere pacificamente la disputa».

Rifacendosi a sant’Agostino e alla Gaudium et spes, il cardinale ha rilanciato la constatazione che «la pace è il frutto non solo della giustizia ma anche della carità, o amore. Mentre la giustizia esige che non violiamo i diritti degli altri e diamo a ciascuno ciò che è dovuto, la carità ci fa sentire i bisogni degli altri come nostri e favorisce una fruttuosa cooperazione. Altrimenti, continueremo a costruire una “pace negativa”, la semplice non belligeranza o l’assenza di guerra. La pace, invece, deve essere intesa, in definitiva, in termini positivi, come la promozione di quelle cose che ci uniscono. Potremmo dire che la pace è amicizia».

A questo proposito il porporato ha indicato, parlando anche degli insegnamenti di Confucio, «la ricchezza della tradizione orientale, in cui l’amicizia rappresenta uno dei pilastri della società». E il gesuita Matteo Ricci, da parte sua, insisteva sul fatto che «nessun individuo da solo può fare tutto; è per questo che il Signore del Cielo ha comandato che ci sia l’amicizia, affinché ci si possa aiutare a vicenda». E «ora più che mai — ha detto il cardinale — il nostro mondo ha bisogno di pace e solidarietà». Una vera «amicizia sociale», insomma, come indica Francesco nell’enciclica Fratelli tutti.

E nel lavoro per la pace il Pontefice suggerisce «un cambiamento economico, sociale e politico per quanto riguarda sia i risultati che i mezzi con cui li raggiungiamo». Il Papa «ci vede di fronte a un bivio: o possiamo percorrere una strada già tracciata, che può essere attraente ma può anche rivelarsi pericolosa, poiché afferma che “abbiamo sempre fatto così”. Oppure possiamo intraprendere un nuovo percorso che richiede il coraggio di tracciare sentieri, allargare gli orizzonti, creare un senso di appartenenza».

«Questo significa ripartire da zero — ha rilanciato il segretario di Stato facendo riferimento anche al magistero di Giovanni Paolo ii — da processi che favoriscono gli sforzi per promuovere la riconciliazione, il perdono e l’avvicinamento, nella consapevolezza che si tratta di un nuovo cammino da percorrere insieme, senza lasciare indietro nessuno».