La settimana di Papa Francesco

SS. Francesco - Udienza Generale 11-08-2021
12 agosto 2021

Domenica 8 agosto

Un salto
di qualità

Nel Vangelo della Liturgia odierna, Gesù continua a predicare alla gente che ha visto il prodigio della moltiplicazione dei pani.

E invita quelle persone a fare un salto di qualità: dopo aver rievocato la manna, con cui Dio aveva sfamato i padri nel lungo cammino attraverso il deserto, ora applica il simbolo del pane a sé stesso.

Dice chiaramente: «Io sono il pane della vita» (Gv 6, 48).

Che cosa significa pane della vita? Per vivere c’è bisogno di pane.

Chi ha fame non chiede cibi raffinati e costosi, chiede pane. Chi è senza lavoro non chiede stipendi enormi, ma il “pane” di un impiego.

Gesù si rivela come il pane, cioè l’essenziale, il necessario per la vita di ogni giorno, senza di Lui la cosa non funziona. Non un pane tra tanti altri, ma il pane della vita.

Il pane
essenziale
della vita

In altre parole, noi, senza di Lui, più che vivere, vivacchiamo: perché solo Lui ci nutre l’anima, solo Lui ci perdona da quel male che da soli non riusciamo a superare, solo Lui ci fa sentire amati anche se tutti ci deludono, solo Lui ci dà la forza di amare, solo Lui ci dà la forza di perdonare nelle difficoltà, solo Lui dà al cuore quella pace di cui va in cerca, solo Lui dà la vita per sempre quando la vita quaggiù finisce. È il pane essenziale della vita.

Io sono il pane della vita”, dice. Restiamo su questa bella immagine di Gesù.

Avrebbe potuto fare un ragionamento, una dimostrazione, ma — lo sappiamo — Gesù parla in parabole, e in questa espressione: “Io sono il pane della vita”, riassume veramente tutto il suo essere e tutta la sua missione. Lo si vedrà pienamente alla fine, nell’Ultima Cena.

Gesù sa che il Padre gli chiede non solo di dare da mangiare alla gente, ma di dare sé stesso, di spezzare sé stesso, la propria vita, la propria carne, il proprio cuore perché noi possiamo avere la vita.

Queste parole del Signore risvegliano in noi lo stupore per il dono dell’Eucaristia.
Nessuno in questo mondo, per quanto ami un’altra persona, può farsi cibo per lei. Dio lo ha fatto, e lo fa, per noi.

Rinnoviamo questo stupore. Facciamolo adorando il Pane di vita, perché l’adorazione riempie la vita di stupore.

Nel Vangelo, però, anziché stupirsi, la gente si scandalizza, si strappa le vesti.

Pensano: “Questo Gesù noi lo conosciamo, conosciamo la sua famiglia, come può dire: Sono il pane disceso dal cielo?” (cfr. vv. 41-42).

Anche noi forse ci scandalizziamo: ci farebbe più comodo un Dio che sta in Cielo senza immischiarsi nella nostra vita, mentre noi possiamo gestire le faccende di quaggiù.

Nella
concretezza
del mondo

Invece Dio si è fatto uomo per entrare nella concretezza del mondo, per entrare nella nostra concretezza, Dio si è fatto uomo per me, per te, per tutti noi, per entrare nella nostra vita.

E tutto della nostra vita gli interessa. Gli possiamo raccontare gli affetti, il lavoro, la giornata, i dolori, le angosce, tante cose. Gli possiamo dire tutto perché Gesù desidera questa intimità con noi.

Che cosa non desidera? Essere relegato a contorno — Lui che è il pane —, essere trascurato e messo da parte, o chiamato in causa solo quando ne abbiamo bisogno.

Io sono il pane della vita. Almeno una volta al giorno ci troviamo a prendere cibo insieme; magari la sera, in famiglia, dopo una giornata di lavoro o di studio.

Sarebbe bello, prima di spezzare il pane, invitare Gesù, pane di vita, chiedergli con semplicità di benedire quello che abbiamo fatto e quello che non siamo riusciti a fare.

Invitiamolo a casa, preghiamo in stile “domestico”. Gesù sarà a mensa con noi e saremo sfamati da un amore più grande.

La Vergine Maria, nella quale il Verbo si è fatto carne, ci aiuti a crescere giorno dopo giorno nell’amicizia di Gesù, pane di vita.

(All’Angelus in piazza San Pietro)

Mercoledì 11 agosto

Guidati
dallo Spirito

«Perché la legge?» (Gal 3, 19). Ecco l’interrogativo che, seguendo San Paolo, vogliamo approfondire oggi, per riconoscere la novità della vita cristiana animata dallo Spirito Santo.

Ma se c’è lo Spirito Santo, se c’è Gesù che ci ha redenti perché la Legge?

Su questo dobbiamo riflettere oggi. L’Apostolo scrive: «Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge» (Gal 5, 18).

Invece i detrattori di Paolo sostenevano che i Galati avrebbero dovuto seguire la Legge per essere salvati. Tornavano indietro. Erano come nostalgici di altri tempi, dei tempi prima di Gesù Cristo.

L’Apostolo non è affatto d’accordo. Non è in questi termini che si era accordato con gli altri Apostoli a Gerusalemme.

Egli ricorda bene le parole di Pietro quando sosteneva: «Perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare?» (At 15, 10).

Le disposizioni emerse da quel “primo concilio” — il primo concilio ecumenico era stato quello di Gerusalemme e le disposizioni emerse da quel concilio erano molto chiare, e dicevano: «È parso bene, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime» (At 15, 28-29).

Alcune cose che toccavano il culto a Dio, l’idolatria e toccavano anche il modo di capire la vita di quel tempo.

Quando Paolo parla della Legge, fa riferimento normalmente alla Legge mosaica, alla Legge di Mosè, ai Dieci Comandamenti.

L’alleanza
tra Dio
e il suo popolo

Essa era in relazione con l’Alleanza che Dio aveva stabilito con il suo popolo, un cammino per preparare questa Alleanza.

Secondo vari testi dell’Antico Testamento, la Torah — che è il termine ebraico con cui si indica la Legge — è la raccolta di tutte quelle prescrizioni e norme che gli Israeliti devono osservare, in forza dell’Alleanza con Dio.

Una sintesi efficace di cosa sia la Torah la si può trovare in questo testo del Deuteronomio che dice così: «Il Signore gioirà di nuovo per te facendoti felice, come gioiva per i tuoi padri, quando obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e quando ti sarai convertito al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima» (30, 9-10).

L’osservanza della Legge garantiva al popolo i benefici dell’Alleanza e garantiva il legame particolare con Dio.

Questo popolo, questa gente, queste persone, sono legati a Dio e fanno vedere questa unione con Dio nel compimento, nell’osservanza della Legge.

Stringendo l’Alleanza con Israele, Dio gli aveva offerto la Torah, la Legge, perché potesse comprendere la sua volontà e vivere nella giustizia.

Pensiamo che in quel tempo c’era bisogno di una Legge così, è stato un grande dono che Dio ha dato al suo popolo, perché?

Perché in quel tempo c’era il paganesimo dappertutto, l’idolatria dappertutto e le condotte umane che derivano dall’idolatria e per questo il grande dono di Dio al suo popolo è la Legge per andare avanti.

Più volte, soprattutto nei libri dei profeti, si riscontra che la non osservanza dei precetti della Legge costituiva un vero tradimento all’Alleanza, provocando la reazione dell’ira di Dio.

Il legame tra Alleanza e Legge era talmente stretto che le due realtà erano inseparabili.

La Legge è l’espressione che una persona, un popolo è in alleanza con Dio.

Alla luce di tutto questo è facile capire come avessero buon gioco quei missionari che si erano infiltrati presso i Galati nel sostenere che l’adesione all’Alleanza comportava anche l’osservanza della Legge mosaica, così com’era in quel tempo.

Tuttavia, proprio su questo punto possiamo scoprire l’intelligenza spirituale di San Paolo e le grandi intuizioni che egli ha espresso, sostenuto dalla grazia ricevuta per la sua missione evangelizzatrice.

L’Apostolo spiega ai Galati che, in realtà, l’Alleanza con Dio e la Legge mosaica non sono legate in maniera indissolubile.

Il primo elemento su cui fa leva è che l’Alleanza stabilita da Dio con Abramo era basata sulla fede nel compimento della promessa e non sull’osservanza della Legge, che ancora non c’era.

Abramo incominciò a camminare secoli prima della Legge. Scrive l’Apostolo: «Ora io dico: un testamento stabilito in precedenza da Dio stesso [con Abramo], non può dichiararlo nullo una Legge che è venuta quattrocentotrenta anni dopo [con Mosè], annullando così la promessa. Se infatti l’eredità si ottenesse in base alla Legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece ha fatto grazia ad Abramo mediante la promessa» (Gal 3, 17-18).

La promessa era prima della Legge e la promessa ad Abramo, poi è venuta la legge 430 anni dopo.

Guardando una promessa

La parola “promessa” è molto importante: il popolo di Dio, noi cristiani, camminiamo nella vita guardando una promessa; la promessa è proprio ciò che ci attira, ci attira per andare avanti all’incontro con il Signore.

Con questo ragionamento, Paolo ha raggiunto un primo obiettivo: la Legge non è alla base dell’Alleanza perché è giunta successivamente, era necessaria e giusta ma prima c’era la promessa, l’Alleanza.

Un’argomentazione come questa mette fuori gioco quanti sostengono che la Legge mosaica sia parte costitutiva dell’Alleanza.

No, l’Alleanza è prima, è la chiamata ad Abramo. La Torah, la legge in effetti, non è inclusa nella promessa fatta ad Abramo.

Detto questo, non si deve però pensare che san Paolo fosse contrario alla Legge mosaica. No, la osservava. Più volte, nelle sue Lettere, ne difende l’origine divina e sostiene che essa possiede un ruolo ben preciso nella storia della salvezza.

La Legge però non dà la vita, non offre il compimento della promessa, perché non è nella condizione di poterla realizzare.

Verso
l’incontro
con Cristo

La Legge è un cammino che ti porta avanti verso l’incontro. Paolo usa una parola molto importante, la Legge è il “pedagogo” verso Cristo, il pedagogo verso la fede in Cristo, cioè il maestro che ti porta per mano all’incontro.

Chi cerca la vita ha bisogno di guardare alla promessa e alla sua realizzazione in Cristo.

Carissimi, questa prima esposizione dell’Apostolo ai Galati presenta la radicale novità della vita cristiana: tutti quelli che hanno la fede in Gesù Cristo sono chiamati a vivere nello Spirito Santo, che libera dalla Legge e nello stesso tempo la porta a compimento secondo il comandamento dell’amore.

Questo è molto importante, la Legge ci porta a Gesù.

Ma qualcuno di voi può dirmi: “Ma, padre, una cosa: questo vuol dire che se io prego il Credo non devo osservare i Comandamenti?”. No, i Comandamenti hanno attualità nel senso che sono dei “pedagoghi” che ti portano all’incontro con Gesù.

Ma se tu lasci da parte l’incontro con Gesù e vuoi tornare a dare più importanza ai Comandamenti, questo non va bene.

E proprio questo era il problema di questi missionari fondamentalisti che si sono immischiati fra i Galati per disorientarli.

Il Signore ci aiuti a camminare sulla strada dei Comandamenti, ma guardando l’amore a Cristo verso l’incontro con Cristo, sapendo che l’incontro con Gesù è più importante di tutti i Comandamenti.

(All’udienza generale nell’Aula Paolo vi )