Salute e fragilità sociale in tempo di pandemia

Il virus nella città degli invisibili

 Il virus nella città degli invisibili  QUO-160
17 luglio 2021

Uno sguardo sulla città dal punto di vista delle persone più vulnerabili. È il “Rapporto su Salute e Fragilità sociale in tempo di pandemia” presentato ieri alla Cittadella della Caritas di Roma. Le disuguaglianze nella sanità generate dal Covid-19, la trappola del virus per i migranti, l'impegno di carità e giustizia sociale svolto a Roma dalle parrocchie e da numerose organizzazioni sono i temi affrontati nel rapporto, che rappresenta un’analisi approfondita della sanità nazionale e regionale durante la malattia pandemica nell’ottica di coloro che sono esclusi dal servizio sanitario.

«È ancora presto per un bilancio di cosa ha rappresentato il Covid-19 nella vita di ognuno di noi e di come il suo impatto abbia trasformato la società e la città in cui viviamo», ha detto Salvatore Geraci, responsabile dell’Area sanitaria della Caritas di Roma, che ha curato la pubblicazione. «Alcune tendenze però paiono emergere e mettono a fuoco una città in cui sono aumentate le disuguaglianze, si sono smarriti i punti di riferimento tradizionali, si ricomincia con fatica e, soprattutto, vi è una consistente fascia di popolazione che vive nella più assoluta precarietà. Se, infatti, le conseguenze sono state la malattia e l’impoverimento, queste non hanno interessato tutti allo stesso modo. La malattia pandemica ha colpito chi già era escluso o sfruttato, gli aiuti non hanno raggiunto coloro che ne avevano più bisogno e le politiche per fronteggiare l’emergenza hanno fatto passare in secondo piano le emarginazioni che sono più gravi perché già presenti da decenni nel tessuto sociale della città. L’avvento del Covid-19, quindi, ha comportato un peggioramento delle condizioni di precarietà socio-economica di un numero sempre maggiore di persone e di famiglie e, allo stesso tempo, ha provocato l’allargamento della forbice tra classi sociali, con forti polarizzazioni».

Monsignor Paolo Ricciardi, vescovo ausiliare della diocesi di Roma, responsabile della Pastorale sanitaria, ha raccontato della sua esperienza vicino a persone segnate da ferite profonde. «Ho ascoltato grida di solitudini, disorientamento e sconforto. Ma in questo momento buio ho visto e toccato con mano l’amore di Dio attraverso la forza di chi, con la fede, ha sconfitto la tristezza e ha dato conforto e sostegno a chi è più fragile. L’amore ha sempre la prima e l’ultima parola sulla nostra vita, sulle nostre scelte, sui cammini previsti e imprevisti della nostra esistenza. Nessuno si salva da solo».

Alessio D’Amato, assessore alla Sanità della regione Lazio, ha parlato di «gioco di squadra». «Fare rete con tutte le organizzazioni del terzo settore del territorio è la carta vincente perché nessuno rimanga indietro», ha detto, sottolineando l’importanza dell’universalità del sistema sanitario nazionale che ha permesso alla città di Roma di affrontare il periodo emergenziale in modo meno drammatico rispetto alle altri capitali del mondo.

«Non possiamo che augurarci che le parole ormai divenute una sorta di mantra della ripartenza, “prossimità e comunità”, evocative di vicinanza, familiarità, condivisione e del prendersi cura, non rappresentino solo un restyling semantico», ha dichiarato Maurizio Marceca, esperto di sanità pubblica e docente presso l’Università La Sapienza di Roma. «Vale la pena ricordare, in proposito, che già le Regioni erano state istituite perché fossero “più prossime” ai bisogni dei cittadini e che la chiave di lettura originaria del decentramento sanitario era stata quella di una migliore distribuzione delle responsabilità. Bisogna quindi continuare a credere nel servizio sanitario pubblico, nell’accezione di servizio per tutte e tutti, e dove tutte e tutti devono essere protagonisti, con ruoli e missioni differenti, avendo come finalità il bene comune, non subordinato a logiche economiche o dinamiche di potere. E proprio guardando a quello che è stato, all’esperienza della pandemia, i termini prossimità e comunità si intrecciano a nostro avviso con un un’altra parola, “servizio“, che di per sé diventa “orizzonte di senso” e ci fa puntare oltre con concretezza e umanità».

Di limbo sociale ha parlato monsignor Benoni Ambarus, vescovo ausiliare della diocesi di Roma e direttore della Caritas. «Una città di invisibili all’interno della città di Roma, una popolazione ai margini formata da immigrati, rom e senza dimora. Noi abbiamo fatto la scelta di stare in questo limbo insieme a loro, prendendocene cura sia a livello sanitario sia a livello sociale. La nostra speranza è che questo luogo sparisca. Significherebbe che i suoi abitanti sono entrati a far parte dell’altra città, quella che garantisce dignità e diritti per tutti, senza nessuna esclusione».

di Marina Piccone