A colloquio con il nuovo ministro generale dell’ordine francescano dei Frati minori

Più vicini alle persone

 Più vicini alle persone  QUO-159
16 luglio 2021

Fra Massimo Fusarelli, 58 anni, è da martedì scorso, il nuovo ministro generale dei Frati Minori Francescani (Ofm). A margine dei lavori del capitolo generale, che si concluderà domenica 18 luglio, al collegio internazionale San Lorenzo da Brindisi di Roma, ha accettato di presentarsi ai lettori de «L’Osservatore Romano».

Padre Massimo, un capitolo generale coraggioso, sia per il suo svolgimento in tempo di pandemia, ma soprattutto per il segno di svolta che intende dare all’azione dei francescani nel mondo in questo tempo difficile e di cambiamenti radicali.

Sì, cambia il mondo e dobbiamo cambiare anche noi, sapendoci porre sempre più in una posizione di ascolto e condivisione: come spesso dice Papa Francesco dobbiamo saper incontrare la realtà. Una realtà, quella recente, che ci pone da un lato in uno stato di sofferenza, ma che dall’altro può essere foriera di buone opportunità di cambiamento. Dobbiamo lasciarci guidare dallo Spirito perché si sappia discernere con sapienza il mondo nuovo che si presenta ai nostri occhi dopo la pandemia. Molti dei nostri frati — penso per esempio all’India o il Brasile — hanno vissuto, e stanno ancora vivendo situazioni difficilissime. Molti di noi sono stati duramente impegnati in questi mesi ad offrire supporto e assistenza ai più poveri: il virus ha esasperato tante fragilità già esistenti. Ma soprattutto ha ricondotto tutti noi alle questioni essenziali della nostra esistenza: il senso della vita, ma anche la sua finitudine, la vacuità di uno stile di vita in Occidente improntato al consumo e all’individualismo, e poi il futuro dei giovani, la marginalità degli anziani, la vulnerabilità dell’ecosistema, l’acuirsi delle disuguaglianze. Insomma, un grande momento di autocoscienza collettiva, dentro il quale noi dobbiamo stare e saper dire qualcosa di utile. Vorrei comunque dire che questo capitolo è stato prima di tutto un momento di gioia e di fraternità ritrovata dopo tanti mesi di separazione e lontananza. Vede, nella storia e nella tradizione francescana, il capitolo è sempre stato il momento della felicità nel rincontro dei fratelli. Al tempo di san Francesco i frati costituivano una comunità itinerante e la Regola prevedeva che dovessero ritrovarsi ogni anno intorno al Poverello di Assisi per narrarsi vicendevolmente gli sforzi e i risultati, i successi ma anche gli insuccessi, della loro opera di evangelizzazione. Un ritorno a casa, in famiglia. Certo, il capitolo serve anche per gli adempimenti canonici, ma lo spirito con cui ancora oggi ci riuniamo è sempre lo stesso: ritrovarci e narrarci l’un l’altro con gioia. Quest’anno, poi, lo è stato più che in passato perché ognuno dei nostri fratelli ha vissuto in modo diverso questa tempesta della pandemia, e abbiamo bisogno di condividere e metabolizzare tutte queste esperienze.

Come ci si sente ad essere catapultati alla guida di quasi 12.000 frati sparsi nei cinque Continenti?

Guardi, “catapultati” è il termine esatto. Quando ho capito che il consenso dei miei fratelli convergeva su di me ho provato un grande timore e un senso di debolezza per la consapevolezza della sproporzione tra le mie capacità e l’impegno che i fratelli mi chiedono. Però ora, all’iniziale senso di vertigine, si è sostituita la rassicurazione che i miei limiti potranno essere ben superati dallo sforzo collegiale che i miei fratelli sapranno offrirmi, cominciando da coloro che saranno chiamati a far parte del consiglio. Ma più di ogni altra cosa credo di dovermi impegnare nella pratica dell’ascolto: ascoltare la realtà e saperla leggere e discernere alla luce della parola di Dio. L’ascolto della realtà è oggi una priorità assoluta per tutta la Chiesa, non solo per i francescani. E poi, mi sono tornate in mente, le parole che si narra il cardinale Hummes avrebbe sussurrato a Papa Francesco al momento della sua elezione «Non ti scordare dei poveri!».

Ha già un’idea dei lineamenti di quello che sarà il suo ministero generale?

Molto semplicemente penso che dobbiamo aprirci ancor più al mondo; essere più vicini alle persone. Non solo per evangelizzarle, ma anche per esserne evangelizzati. Perché Dio vive nella storia; quella di ciascuno di noi. Anche noi abbiamo bisogno dell’aiuto di quanti incontriamo sulla nostra strada. Mi creda non è un modo di dire: quanto aiuto ho ricevuto nella mia vita di fede dagli incontri che il Signore mi ha donato: con i terremotati di Amatrice e Accumoli, con gli ultimi delle periferie romane, con i rifugiati con cui abbiamo condiviso la vita in comunità! Io penso che noi francescani dovremmo essere i più fedeli e convinti realizzatori degli orientamenti che Papa Francesco ci ha donato attraverso l’enciclica Fratelli tutti, nel Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune di Abu Dhabi, e nel suo viaggio in Iraq. Un pontificato così autenticamente “francescano” impone all’ordine dei Frati minori presenze e responsabilità sempre maggiori. Non dobbiamo temere di aprirci sempre di più al mondo, perché è nel mondo che incontriamo Gesù. È Lui che ce lo ha insegnato: un Dio che è venuto nel mondo, e lo ha abbracciato con amore. C’è una cosa che ho sicuramente imparato in tutti questi anni di servizio alla Chiesa: e cioè che la fede si fa trovare dove meno te lo aspetti. E a noi è chiesto solo di “starci”.

di Roberto Cetera