Meditazioni in versi al tempo del confinamento

Gravitazioni
tra cuore e stelle

Alberonero, «Galassia» (acquerello su carta, 2016)
10 luglio 2021

Vari sociologi si sono chinati a esaminare le variazioni delle abitudini e dei comportamenti verificatesi durante i recenti periodi di confinamento obbligatorio, stabiliti al fine di contenere la pandemia da covid-19. Sono emerse osservazioni di ogni sorta: da quelle più anodine e divertenti (e.g., l’intensificarsi del cucinare alimenti basici quali il pane) a quelle più inquietanti e dolorose (e.g., la recrudescenza di atti di violenza soprattutto sulle donne). Le discussioni sulle cause e sul significato di questi fenomeni continueranno nei mesi a venire e, forse, contempleranno anche le possibili modificazioni delle pratiche di preghiera personale riscontratesi durante il lockdown. Ciò rende intrigante l’iniziativa della Libreria Editrice Vaticana di pubblicare un libretto di appena una cinquantina di paginette, La nuova gravitazione, frutto delle riflessioni che monsignor Paolo Luca Braida ha stilato in endecasillabi approfittando, negli ultimi mesi, di tempi più sostanziali di raccoglimento.

Si tratta di una raccolta di dieci poesie meditative, dalla lunghezza e dal genere abbastanza differenziato, che tradiscono il gusto raffinato per la letteratura dell’autore lodigiano trapiantato in Vaticano, laureato in filosofia prima di diventare prete. Ma non è primariamente il lato stilistico quanto quello contenutistico a rendere la collezione di poemi — di cui si raccomanda una prima lettura ininterrotta per gustarne la squisita coesione e la sapiente scadenza delle tematiche — piacevolmente sorprendente sotto vari aspetti. Il più evidente è la tranquilla serenità che sprigionano e che non lascerebbe sospettare la drammaticità degli sconquassi causati dalla pandemia imperante, confermata dalle date poste in calce alle singole composizioni, proposte in ordine cronologico. Questa pace interiore è stata raggiunta dall’autore non col ricorso all’inconsapevolezza della tragedia dilagante — anzi, il primo testo mostra chiaramente il contrario, cioè il senso dell’abisso sopra il quale camminiamo — ma cogliendo una possibilità offerta dal lock-down che molti, forse troppi, hanno ignorato o, comunque, disatteso.

Il distanziamento sociale, portando con sé la sospensione dei punti di riferimento connessi con il susseguirsi, spesso frenetico, delle ordinarie attività umane, ha offerto la libertà di disegnare dei ritmi di vita che, scevri dalle costrizioni più immediate, aprissero spazi di ponderazione dei livelli più intimi dell’animo umano. Questo è stato il cammino intrapreso da Braida che ha operato, per dirlo con le parole di Edmund Husserl, una sorta di “riduzione fenomenologica” a livello spirituale; “mettendo tra parentesi” le cose più esterne, più ricorrenti e più scontate, gli è stato più facile raggiungere sé stesso poiché, come lo aveva intuito il grande fenomenologo tedesco, non è possibile mettere in parentesi sé stessi. Per usare una metafora astronomica — che come vedremo a breve si addice bene all’opera — è come se la vita ordinaria fosse stata la luce del sole che, per effetto della sua diffusione nell’atmosfera, impedisce di distinguere le stelle e, come se il lockdown, invece, avesse creato quelle condizioni per poterle osservare in tutto il loro scintillio. Liberato dalle gravitazioni più immediate, l’autore ha quindi scoperto una “nuova gravitazione” del suo essere: per analogia con la forza di gravità, «invincibile, discreta, / equa, costante, onnireggitrice», ne scopre un’altra «ancora più stupenda», la forza «fedele, libera, compassionevole» dell’Amore.

Questa esperienza fa pensare al famoso racconto biblico di Elia che, durante l’isolamento in una spelonca, trovò Dio non nella tempesta, nel terremoto o nel fuoco, ma in un mormorio soave e leggero (1 Re 19, 9-13). Proprio per questo essa non andrebbe tanto ricondotta a uno schema cosmico alla Teilhard de Chardin, quanto a un’autoconsapevolezza reminiscente delle parole di William Blake negli Auguries of Innocence: «To see a world in a grain of sand / and a heaven in a wild flower, / hold infinity in the palm of your hand, / and eternity in an hour». Giusta è stata quindi la scelta di un linguaggio poetico — ampiamente sdoganato da mistici del calibro di Teresa d’Avila e Giovanni della Croce quale forma d’arte ideale per esprimere assieme i concetti e i sentimenti che affiorano durante le meditazioni più profonde — per raffigurare e comunicare questa sua feconda intuizione.

Tuttavia, l’elemento più specifico dell’opera di Braida è stato il ricorso alla simbolica delle leggi della gravitazione universale, che obbligano in percorsi ellittici — e non circolari, si noti bene, poiché rispettano momenti alternanti di avvicinamento e di distanziamento — stelle, pianeti e satelliti. E questa dimensione cosmica è elegantemente rappresentata dalle riproduzioni, a fronte dei testi, di una magnifica serie di incisioni dell’anziano maestro Guido Strazza alternate ad acquerelli del giovane artista Alberonero, quasi a rafforzare il moto armonico dell’anima rispetto al mistero di Dio e a quello della creazione intera. Accettando che la nostra vita interiore sembri muoversi nel suo profondo come un pendolo, il cui oscillare costante è anche accompagnamento rassicurante nel difficile percorso della vita esteriore, è stato possibile all’autore vivere esperienze spirituali inedite: quali l’immedesimarsi nei Re Magi, inevitabilmente ma mai forzatamente attratti da una cometa che li spingeva e li sosteneva in un lungo viaggio, per farli arrivare a un incontro epifanico che li avrebbe riempiti di gioia; o il risentire la delicatezza e la forza di un «amore che attira tutti a sé», disponibile attraverso l’Eucaristia come «un’energia di sviluppo e di crescita incommensurabile», racchiusa nel «chicco di grano» morto e sepolto per portare molto frutto.

Per un credente, le poesie contenute nella Nuova gravitazione sono la conferma dell’attrazione segreta dell’amore di Dio che manifesta il Suo desiderio di riportare a sé la nostra anima, sempre inquieta finché non riposerà in Lui (Sant’Agostino, Confessioni 1, 1). Ma anche un non credente può concepire e far sue queste intuizioni ricorrendo alla capacità della coscienza umana che, nella sua fragilità, combatte per riconciliarsi con la propria condizione di gracile baricentro fra l’immensamente grande e l’immensamente piccolo. Blaise Pascal parlava giustamente dell’uomo come punto di equilibrio fra la piccolezza degli atomi e l’immensità delle galassie, ma non tanto in termini dimensionali quanto in termini esistenziali. Il testo di Braida andrebbe quindi assaporato tenendo a mente la riflessione dei Deux Infinis delle Pensées, perché è in quel contesto che il grande credente e matematico invitava ogni uomo a lenire il vertige in cui si trova, ricorrendo all’incontro intimo con il Creatore.

Il «Lascio… / Mi lascio… / Mi lascio andare» della Nuova gravitazione è una risposta ai drammi dell’essere umano, la cui consapevolezza si acuisce nei contesti di abbandono, di solitudine e di paura, ma svanisce nel lasciarsi accarezzare della tenerezza di Dio, che attrae a sé l’intimo del cuore, donando la certezza a ogni persona, di avere un senso dentro l’universo intero. Perché, per dirla in questo vii centenario della morte del Sommo Poeta, può sempre sperimentare dentro di sé «l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Paradiso, xxxiii , 145).

di Carlo Maria Polvani