L’edizione originale di un libro di La Pira donata dal presidente del Parlamento europeo al Papa

Un sognatore concreto

David Sassoli mentre dona a Papa Francesco nell’udienza  del 26 giugno scorso  l’edizione originale  del libro
09 luglio 2021

Pubblicato nel 1951, «L’attesa della povera gente» è ancora attuale


Le attese della povera gente non cambiano, se non si risolvono mai i problemi. E così sembrano scritte… domani le proposte concrete per rispondere a quelle “attese” che Giorgio La Pira raccolse settant’anni fa in un libro, vero e proprio «manifesto a difesa del diritto del lavoro per tutti e di lotta organica contro miseria e disoccupazione».

L’attesa della povera gente — edito nel 1951 dalla Libreria Editrice Fiorentina — è uno schiaffo, con il suo rompere «le righe anche dei benpensanti cattolici», dei suoi amici della Democrazia cristiana di allora, un po’ troppo sfiduciati sul poter davvero risolvere «alla radice» le questioni del lavoro e della povertà.

E che quelle proposte di La Pira restino valide anche oggi lo conferma la scelta di David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, di donare a Papa Francesco, nell’udienza del 26 giugno, proprio l’edizione originale del libro L’attesa della povera gente.

In quelle pagine c’è tutto La Pira (1904-1977), un cristiano che non ha mai smesso di esserlo da deputato alla Costituente, da esponente di governo, da sindaco di Firenze.

Il suo strumento di lavoro era il Vangelo e alla competenza aggiungeva la preghiera. Parole strane per un politico? Era solo un ingenuo?

Cominciano a essere tante le utopie di questo sognatore che la storia sta trasformando in realtà…

La Pira si è presentato in Consiglio comunale a Firenze con questo programma: «Una città dove ci sia per tutti un posto per pregare (la chiesa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per pensare (la scuola), un posto per guarire (l’ospedale)».

A Firenze le sue amministrazioni sono state sane ed efficaci.

E quando La Pira diceva di voler essere “dalla parte dei poveri”, ci stava da povero. Non possedeva che lo stretto necessario e conosceva, condividendola, l’attesa della povera gente.

Viveva in una cella del convento di San Marco.

La Pira è lì a dimostrare coi fatti che si può essere sindaco, deputato e al governo, con competenza, senza smettere di provare a essere santo.

La sua azione superava gli steccati imposti dai paraocchi della politica bassa, guardando con gli occhi di Dio i problemi concreti degli uomini. Si chiedeva: «Come la vedrebbe il Signore in questo caso? Prenderebbe le parti di chi? Deciderebbe che cosa? I forti si difendono da soli, ma i deboli chi li difende?».

C’è un ulteriore aspetto dell’insegnamento pratico — e attualissimo — del politico La Pira: la preghiera.

Fare politica seriamente per lui significava, anzitutto, pregare.

«Il Presidente mi chiama» diceva La Pira prima di ritirarsi in preghiera quando i problemi erano di difficile soluzione.

Ma il suo “strumento di lavoro” era il Vangelo. «Cambiate la legge perché io non posso cambiare il Vangelo» telegrafò al presidente del Consiglio Amintore Fanfani.

E a chi, come il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, gli diceva che il Vangelo è «un libro di pietà» e non c’entra nulla con la politica, rispondeva che il Vangelo è un «manuale di ingegneria perché lì dentro c’è tutto, trovi quel che devi fare».

La prova? «Quando Cristo mi giudicherà io so di certo che Egli mi farà questa domanda unica: come hai moltiplicato, a favore dei tuoi fratelli, i talenti privati e pubblici che ti ho affidato? Cosa hai fatto per sradicare dalla società della quale e nella quale ti ho posto, come regolatore e dispensatore del bene comune, la miseria dei tuoi fratelli e, quindi, la disoccupazione che ne è la causa fondamentale?».

La parabola dei talenti lo inquietava.

Da una parte c’è il servo pigro che pensa a bilanci senza riferimenti alle necessità improrogabili della popolazione: «Il bilancio quadra? E se vi sono disoccupati? E se vi sono persone senza casa? E se l’assistenza, quella più elementare, fa difetto? A che serve un bilancio in pareggio se non è in pareggio la vita?».

Ma la parabola racconta anche dell’altro servo che considera «il bilancio umano sul quale si modella il bilancio con-tabile».

Certo che non è facile, occorre fantasia e capacità di studio, ma chi entra in politica non lo fa per tornaconto personale, per occupare posti in carriera… lo fa per servizio. «Alla sera — ebbe a confidare — affiora nel mio esame di coscienza questa popolazione che aspetta di avere la casa, di avere il lavoro dal quale dipende la sua vita fisica e spirituale, di avere l’assistenza».

La Pira era solo un “utopista”, un “distruggi-bilanci”? I detrattori, anche feroci, lo dipingevano come “un sant’uomo che combinava un sacco di guai” — salvo poi ricredersi dati alla mano, come Indro Montanelli — perché digiuno delle leggi dell’economia e delle scaltrezze della politica. Le furberie non le conosceva, è assodato: povero nel vestire e nel tenore di vita, il suo stipendio finiva regolarmente ai poveri. Come i cappotti dei capi della Dc che “requisiva” regolarmente durante le riunioni per portarli a chi moriva di freddo.

Ma le leggi economiche le conosceva bene. Lo accusavano di non tenere in alcun conto il denaro: no, lo subordinava alle esigenze dei poveri: «Il giorno del giudizio non potrò dire: Signore, non sono intervenuto per non turbare il libero gioco delle forze in cui consta il sistema economico; per non violare la norma “ortodossa” della circolazione monetaria ho lasciato nella fame alcuni milioni di persone… perché, fra l’altro, se adducessi queste scuse, io imputerei al Redentore una cosa grave: che cioè Egli mi abbia imposto un fine da perseguire sapendo che non avrei trovato i mezzi per perseguirlo».

Ci si può dimenticare della sua durissima lotta per il salvataggio dei posti di lavoro nelle fabbriche fiorentine? Da sindaco rivoluzionò i concetti comuni dell’amministrazione scatenando critiche e irrisioni: ma lui distribuiva il latte gratuito ai bambini, requisiva provvisoriamente le ville vuote per darle a chi non aveva un tetto mentre faceva costruire case nuove. Le sue non erano spese per i poveri. Lo attaccarono in Consiglio comunale, e un po’ dovunque.

Chiara la replica: «Se non vi va bene come agisco, mandatemi via perché l’unica norma di condotta per un sindaco in genere e per un sindaco cristiano in specie è aiutare la povera gente, aiutare tutti ad avere una casa, un lavoro, un’assistenza degna di un essere umano».

Quando morì, i poveri, anche quelli che non votavano per lui, piansero: avevano perso un punto di riferimento sicuro e disinteressato. In pochi sanno che dal 1934 fino alla viglia della morte La Pira, nonostante gli alti incarichi, ha partecipato alla Messa con i poveri di Firenze la domenica mattina, per poi commentare con loro i grandi avvenimenti cittadini e internazionali. Quell’esperienza — la Messa di San Procolo — continua ancora oggi.

La stessa scelta di La Pira di entrare in politica nasce proprio dalla missione di servizio ai più deboli. Ma cosa propone nel libro, elencando proposte punto per punto “tecnicamente”, per rispondere all’«attesa della povera gente? La risposta è chiara: un governo ad obbiettivo, in certo modo, unico: strutturato organicamente in vista di esso: la lotta organica contro la disoccupazione e la miseria. Un governo, cioè, mirante sul serio (mediante l’applicazione di tutti i congegni tecnici, finanziari, economici, politici adeguati) alla massima occupazione e, al limite, al pieno impiego».

Insomma, «vi sono disoccupati? Bisogna occuparli. La parabola dei vignaioli è decisiva in proposito: tutti i disoccupati che nelle varie ore del giorno oziavano forzatamente nella piazza — perché nessuno li aveva ingaggiati — furono occupati: esempio caratteristico di “pieno impiego”: nessuno fu lasciato senza lavoro».

E per un politico cosa significa? «Se io sono uomo di Stato — rilancia La Pira — il mio no alla disoccupazione ed al bisogno non può che significare questo: che la mia politica economica deve essere finalizzata dallo scopo dell’occupazione operaia e della eliminazione della miseria: è chiaro! Nessuna speciosa obbiezione tratta dalle cosiddette “leggi economiche” può farmi deviare da questo fine». E se non c’era tempo da perdere nel 1951, figuriamoci nel 2021.

di Giampaolo Mattei