La Commissione europea stanzia 25 milioni di euro per combattere fame e siccità

Afghanistan allo stremo

 Afghanistan allo stremo  QUO-150
06 luglio 2021

Fame e siccità, oltre alla guerra in corso ormai da più di vent’anni, continuano ad attanagliare l’Afghanistan.

La Commissione europea ha stanziato 25 milioni di euro in fondi umanitari dalla sua Riserva di aiuti di emergenza e di solidarietà per combattere la fame in Afghanistan. Fondi necessari per salvare circa tre milioni e mezzo di persone colpite dalla siccità e da una crisi alimentare sempre più acuta. «Si stima che quest’anno metà della popolazione in Afghanistan soffra di grave insicurezza alimentare. La siccità che colpisce il Paese sta peggiorando una situazione già terribile con insicurezza politica e conflitto, nonché l’attuale terza ondata della pandemia di covid-19», ha spiegato Janez Lenarčič, commissario europeo per la Gestione delle crisi.

«La scarsità di cibo e la limitata disponibilità di acqua aumenteranno la prevalenza della grave malnutrizione. In risposta, l’Unione europea sta mobilitando il sostegno umanitario per aiutare ad alleviare la fame», ha aggiunto.

Questo finanziamento dell’Unione europea all’Afghanistan si aggiunge alla dotazione iniziale di Bruxelles di 32 milioni di euro di aiuti umanitari nel 2021.

Sul terreno, la costante avanzata dei talebani — iniziata dopo i primi ritiri dei militari della Nato — ha provocato la fuga di oltre mille soldati afgani nel confinante Tadjikstan.

E adesso, con il ritiro quasi completato del contingente della Nato, a cui a breve si aggiungeranno i soldati statunitensi, il timore che circola in Afghanistan è il collasso definitivo delle forze armate, ultimo argine al ritorno al potere dei talebani.

Nei giorni scorsi gli Stati Uniti hanno abbandonato la base aerea di Bagram, il centro nevralgico della loro campagna militare in Afghanistan. Un ritiro che, di fatto, impedisce la possibilità di condurre operazioni significative sul terreno. E l’Amministrazione di Washington, finché i talebani manterranno fede al loro impegno di non attaccare più gli occidentali o di ospitare basi terroristiche, non rallenterà il ritiro, che dovrebbe completarsi alla data simbolica dell’11 settembre prossimo.

Un’arma in più per gli insorti, che con la stragrande maggioranza delle truppe straniere già via, ed i negoziati interni di pace in fase di stallo, stanno continuando ad espandere il loro raggio d’azione. Le province di Badakhshan e di Takhar sono comunque ormai tutte sotto il loro controllo.

L’esercito afghano sembra impotente di fronte all’avanzata degli insorti, che da maggio scorso hanno riconquistato decine di distretti, ed ora controllano circa un terzo del Paese.

Dopo gli ultimi combattimenti, come accennato, oltre mille soldati regolari hanno riparato in Tadjikstan, ed è stata la terza fuga in tre giorni. La quinta in due settimane.

Le autorità locali stanno osservando con preoccupazione questo flusso, per ora di centinaia di persone, ed hanno deciso di mobilitare 20.000 militari della riserva per rafforzare ulteriormente il confine. Anche da Pakistan e Uzbekistan ci sono state segnalazioni di soldati afghani in fuga, e tutti i Paesi limitrofi si preparano a un’ondata di rifugiati, anche tra i civili, se i combattimenti dovessero intensificarsi.

Tante famiglie hanno già abbandonato la provincia meridionale di Kandahar, dopo che i talebani hanno ripreso il controllo di Panjwai, un distretto chiave nella loro ex roccaforte. L’offensiva dei talebani negli ultimi due mesi è stata imponente: hanno infatti riconquistato decine di distretti in varie zone del Paese.

Un portavoce dei talebani ha assicurato che non c'è la volontà di un’invasione, ma ha avvertito che «nessuna forza straniera, inclusi contractor militari, dovrà rimanere in Afghanistan dopo che il ritiro è stato completato».