A Parma i detenuti condannati all’ergastolo preparano le focacce per le mense Caritas della città

Il nostro pane
“libero e solidale”

 Il nostro pane  QUO-140
23 giugno 2021

Hanno studiato per acquisire la qualifica di panettiere e hanno deciso di donare il frutto del loro lavoro alle mense dei poveri ed alle associazioni di volontariato di Parma. È la significativa scelta di quattordici detenuti della sezione di alta sicurezza “Uno” che hanno dato vita al progetto “Pane libero & solidale”. L’iniziativa è il frutto della collaborazione fra la Mensa di padre Lino, gestita dai frati minori, la Caritas diocesana e il Consorzio europeo per la formazione e l’addestramento dei lavoratori (Cefal), l’ente di formazione del Movimento cristiano lavoratori. Il lavoro del fornaio, dunque, come mezzo per dimenticare la strada del crimine, per stabilire un ponte con la società, valorizzare il lavoro come elemento fondamentale del trattamento rieducativo e, non ultimo, come strumento volto a creare un utile cittadino e valorizzare il carcere quale risorsa del territorio. Ne è convinto Giuseppe La Pietra, coordinatore del progetto, secondo cui va innanzitutto sottolineato che i protagonisti di questa bella storia sono tutti condannati all’ergastolo ostativo, con fine pena fissata al 31 dicembre 9999, i cosiddetti “uomini ombra”. Senza mettere in discussione la definitività della pena, l’esperienza di Pane libero & solidale immagina un patto educativo anche con chi ha compiuto i crimini più gravi, che permetta, a condizioni chiare, se rispettate, la possibilità di riconsiderare le modalità della pena stessa, riaprendo la porta alla speranza. E al cambiamento in meglio della persona. «Progetti come questi rientrano in quei percorsi educativi e personali che costituiscono parte integrante dell’iter detentivo di ciascuno, ma rappresentano anche un momento di riflessione individuale». La scelta del pane, spiega il volontario, non è casuale: «È l’alimento della condivisione. Rappresenta la necessità dei detenuti di relazionarsi in qualche modo con il resto della città, di compiere un gesto di solidarietà nei confronti di tante persone bisognose. Le due mense che gestiamo, infatti, sono frequentate quotidianamente da cinquecento persone. Le stesse che usufruiscono di pasti caldi e che consumano le focacce preparate dai fornai».

Pane libero & solidale è iniziato in occasione del Giubileo della misericordia e si è interrotto solo a causa della pandemia ma, anche durante il periodo più critico della diffusione del covid, la comunicazione tra le parti non si è mai interrotta. «Prevale nei detenuti e nei poveri dei nostri centri di accoglienza un senso di gratitudine», riprende La Pietra. «Gli uni ringraziano gli altri: i primi perché, grazie alla loro attività, si sentono di nuovo accolti nella società ed avviano il processo di riscatto e di reinserimento. Il tutto a titolo gratuito. I secondi perché possono mettere insieme pranzo e cena. Per gli uomini segnati da storie di dolore, scelte sbagliate, ciò rappresenta un’opportunità per rinnovare motivazioni ed energie; per i ristretti e per quanti transitano e sostano nelle nostre mense è un’occasione per far lievitare nuovi orizzonti da cui ripartire. Per tutti, è l’opportunità di guardare in modo diverso, libero e solidale, il mondo del carcere e i suoi abitanti». La meta è anche quella di migliorare la qualità della vita all’interno del carcere, di portare la città dentro il carcere, far prendere coscienza di questa realtà, per creare partecipazione e, al tempo stesso, portare il carcere nella città.

Nei giorni scorsi gli ospiti-panificatori hanno ricevuto la visita del vescovo di Parma, Enrico Solmi, accompagnato dal cappellano padre Felice D’Addario, dal team del Cefal, e dalla direttrice della Caritas diocesana Maria Cecilia Scaffardi. «Quelle prodotte da questi ragazzi sono “particole particolari”» ha detto il presule, riferendosi all’ostificio messo in piedi dai ragazzi annesso al forno. «È il frutto di un’idea di comunione tra due realtà: i detenuti da una parte e i fedeli che frequentano le nostre parrocchie e partecipano alle celebrazioni eucaristiche». Insomma un’iniziativa che induce alla reciprocità. «In questo dare e ricevere, e riscoprendo nell’altro il dono di Cristo, penso ci sia la radice dell’atteggiamento del volontariato cristiano» rileva La Pietra, confermando la regola che se un detenuto percepisce che qualcuno gli vuole bene, si sente perdonato e si predispone all’assunzione di responsabilità del male fatto agli altri. In quel caso chi ha sbagliato può intraprendere davvero il percorso della misura alternativa al carcere nella quale la società deve credere.

di Davide Dionisi