· Città del Vaticano ·

Dal Mozambico, nazione stremata e dilaniata dalla guerra, arriva la testimonianza della missionaria salesiana suor Maria Luisa Spitti

Restare per loro

 Restare per loro  QUO-134
16 giugno 2021

«Con grande pena, la terribile guerra non risparmia i bambini. Si sentono cose strazianti e indescrivibili di quello che subiscono nelle zone di guerra». Ecco quanto ci racconta suor Maria Luisa Spitti, da Pemba, città capoluogo della provincia di Cabo Delgado, a nord-est del Mozambico, che siamo riusciti a contattare, pur con qualche breve interruzione di linea, via web. «Anche qui da noi non sappiamo come riusciranno a sopravvivere. Nella Caritas parrocchiale abbiamo il banco del latte per i più piccoli. Ma sappiamo che non possiamo raggiungere tutti. Sono tantissimi e continuano ad arrivare; l’Unicef sta sistemando queste famiglie in grandi accampamenti; si dice che saranno novanta, e in ogni accampamento saranno migliaia! Noi stiamo già seguendo uno di questi, che si trova in città con la distribuzione di cibo e medicine. Ogni giorno arrivano i nuovi e ne partono alcuni, in media cinquecento persone».

Questa, in estrema sintesi, la drammatica fotografia di un Mozambico piegato dalla guerra, inviataci dalla missionaria salesiana italiana, di origine piemontese. «La guerra dura ormai da quattro anni, è sempre più dolorosa, difficile anche da capire, caotica, violenta. Non si sa da dove attaccano. E non si sa bene chi siano. Li chiamano gli “insurgenti” (quelli che appaiono, spaventano e violentano)». La missionaria salesiana è un fiume di crudo realismo ma anche di speranza: «La nostra casa non è per ora al centro delle varie violenze che sono state effettuate in questi quattro anni, ma lo potrebbe diventare. Così dicono le persone che arrivano qui come prima frontiera di salvezza, scappate dalle zone attaccate. Infatti, desiderano andare più lontano, dicono che anche qui non si sentono al sicuro. Noi sì — riprende suor Maria Luisa — ci sentiamo sicure perché non lo so bene, ma è così. In casa abbiamo un gruppetto di ragazze che stanno studiando, abbiamo già deciso con le famiglie che andranno in altre case più sicure. Ma noi suore della comunità rimarremo. L’attività di accompagnamento, non è certo grande, ma sappiamo che i poveri, le persone che hanno bisogno di qualche cosa possono venire qui da noi, essere accolte, ascoltate e aiutate per quello che possiamo».

Spitti, classe 1948, dall’ottobre del 1990 in Mozambico — ora insieme ad altre quattro consorelle, Candida, Albertina, Bendita e Nilza — si occupa, secondo il carisma del fondatore san Giovanni Bosco, di educazione. «Nella comunità abbiamo circa mille alunni distribuiti tra la scuola media e superiore, di scienze e di lettere. Questo ci permette di accogliere soprattutto gli alunni più poveri», e poi «non può mancare l’attività parrocchiale con l’animazione dei gruppi di fanciulli, adolescenti, giovani e anche di adulti per la catechesi, impegnati nella formazione e nelle attività sociali come la Caritas per l’accompagnamento dei poveri e i cosiddetti dislocati (persone fuggite dalla guerra)». Un contesto africano, quello della popolazione mozambicana, che chiede aiuto alla comunità internazionale. Prosegue la religiosa: «In questo momento c’è bisogno di tutto, ma essendo la situazione pericolosa non permette l’entrata facile di persone e cose. Quindi la soluzione rimane solo quella di ricevere soldi e comprare sul posto ciò che occorre. E così poter offrire colazione, pranzo e cena a circa cinquecento persone. La nota positiva — aggiunge — sono le persone del posto che offrono la loro disponibilità per aiutare e servire. Molte famiglie mettono a disposizione la loro casa ad altre famiglie».

Allo sterminio di vite umane causato dalla guerra si aggiunge la morte determinata dalla fame: «Sì, è così, nonostante gli aiuti. Un sacerdote che va continuamente nei grandi campi diceva che qualcuno morirà certamente di fame ma facciamo in modo che non siano i bambini». Suor Spitti coglie l’occasione per lanciare un messaggio e una riflessione al mondo occidentale: «Potrebbe il mondo oggi capire le atrocità che provoca il possesso? Questa guerraccia come tante altre è provocata per avere il possesso delle “ricchezze” che sono state scoperte (metalli rari per le tecnologie). Un’altra parola è aiutiamo, facciamoci coraggio, sono nostri fratelli, aiutiamoli; tutti insieme possiamo fare tanto bene a chi soffre innocentemente».

di Roberto Cutaia