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Angelo Angeloni intervista Fabrizio Mastrofini

Informazione
e comunicazione

 Informazione e comunicazione  QUO-134
16 giugno 2021

Più si sviluppano le tecnologie della comunicazione, più deve crescere la consapevolezza sui fini che si intendono conseguire. Il rischio infatti è alto: se spogliati della dimensione etica, i media possono infliggere a chi ne fruisce conseguenze pesanti, sul piano individuale e collettivo. Su questo delicato e complesso scenario pone l’accento Gianpiero Gamaleri, professore di sociologia della comunicazione, nella prefazione al libro-intervista Etica. Ecologia. Responsabilità (Roma, Armando Editore, 2021, pagine 112, euro 10) di Angelo Angeloni, a colloquio con Fabrizio Mastrofini, giornalista e saggista. Un tema di nevralgica importanza, quello trattato. Non ne fa mistero Gamaleri, che parla di «rischi mortali» in riferimento, per esempio, a recenti casi di bambini suicidi involontari sulla spinta di social come Tik Tok. «Non è un caso — scrive — che i grandi detentori dei circuiti mediatici quasi sempre avvertano il bisogno di devolvere i loro profitti ad azioni di pubblica utilità, quasi a risarcimento dello sfruttamento su cui si sono accumulate le loro ricchezze».

Alla domanda circa l’insidioso discrimine tra informazione e comunicazione, Mastrofini acutamente rileva che non può esserci «solo» comunicazione. «Il giornalismo — afferma — non risponde più al detto “fatti separati dalle opinioni”, bandiera della scuola anglosassone di una volta. I fatti non sono semplicemente dei “fatti”. Già la scelta di “quali” fatti dare agli utenti è una decisione basata su considerazioni complesse di natura politica, sociale ed economica». In merito, Mastrofini cita un esempio tratto dal suo lavoro come Media manager della Pontificia Accademia per la Vita.

Essa è un’istituzione «di frequente attaccata dai circuiti conservatori cattolici, accusata di aver tradito l’originaria ispirazione di Giovanni Paolo ii e di dedicarsi a temi che con la difesa della vita non avrebbero a che fare: dialogo con le religioni, questioni ecologiche, tecnologie applicate alla sanità». L’intervistato afferma: «Come si fa ad attaccare un’istituzione le cui linee-guida sono dettate dal Papa? Prima Giovanni Paolo ii , poi Benedetto xvi , poi Papa Francesco? La si accusa di aver tradito l’ispirazione originaria, attacco ideologico che fa sempre presa su qualcuno. Poi si oscurano volutamente tutte le iniziative. Semplicemente non si raccontano al proprio pubblico».

Ne consegue che l’Accademia sembra configurarsi come «un covo di nullafacenti» lamenta Mastrofini che «vogliono demolire la millenaria tradizione di verità della Chiesa». Invece essa è «un Ente che produce documenti, convegni, riflessioni, sui temi delle cure palliative, del fine-vita, del rapporto tra tecnologie e salute, come pure sui temi della sanità pubblica in tempi di pandemia».

«Ma se guardiamo i mezzi di comunicazione del mondo conservatore cattolico — dichiara Mastrofini — questi temi collegati alla Pontificia Accademia non ci sono. Vengono taciuti per scelta. E proprio quando l’Accademia produce un impegno di alto livello ecclesiale, teologico, scientifico, riparte la “vulgata” delle usuali accuse». Si tratta di «un’informazione di parte destinata a trasformarsi in comunicazione di contenuti fuorvianti».

C’è un altro confine che si sottrae a una precisa catalogazione: quello tra manipolazione e falsificazione delle notizie. Si tratta di un confine, osserva Mastrofini, che può diventare «scivoloso», facendo «slittare l’una nell’altra». «La falsità — afferma — può derivare dall’ignoranza, la manipolazione è una tecnica sistematica per costruire una realtà e una visione della realtà ad uso e consumo di gruppi di pressione il cui scopo è ottenere seguaci sui propri siti, e in questa maniera conseguire finanziamenti da parte di settori economici o politici i cui interessi non sono spesso trasparenti». Al contempo Mastrofini ricorda che occorre considerare il mondo della comunicazione e dell’informazione come un’industria. Come anche la pubblicità, strettamente collegata. «Si tratta di aziende sul mercato — osserva — il cui scopo è ottenere profitti, non fare beneficenza».

Il rispetto dell’etica dell’informazione richiede a chi ha la responsabilità di comunicare di adottare «cautela» nei confronti delle sue stesse informazioni. Egli deve sentire il «peso» della responsabilità di quanto va affermando. Non basta raccontare che cosa si è visto o si è sentito. Non è sufficiente «enunciare» una linea editoriale. «Un giornalista — sottolinea Mastrofini — può incorrere in errori, distorcere i fatti, prestarsi ad una lettura ideologica, e non essere in grado di tutelare la propria capacità di mediazione». E sempre il giornalista, per mettersi in mostra nel grande universo della comunicazione, spesso non si fa scrupolo di «curiosare» nei sentimenti delle persone. Se, al riguardo, viene richiamato alle proprie responsabilità di carattere etico, il giornalista di turno, evidenzia Mastrofini, risponderà che a suo modo è legittimo curiosare nella vita altrui perché desta l’interesse del pubblico. «E qui si maschera la falsità dell’approccio, perché nessuno ha chiesto al “pubblico” se abbia interesse a guardare la situazione dal pruriginoso buco della serratura».

In appendice, il libro presenta una conversazione con Franco Ferrarotti, sempre a cura di Angelo Angeloni. Il sociologo richiama l’urgenza di comprendere l’importanza della solitudine come occasione di conversazione con se stessi, e del silenzio come momento privilegiato dell’approfondimento tranquillo dei problemi. «Solo così — dichiara Ferrarotti — possiamo recuperare il senso dell’informazione quale contributo e messaggio all’altro, e capire che identità ed alterità sono pratiche di vita comuni. Invece, nel nome dell’efficienza e della rapidità dell’informazione elettronica, stiamo perdendo non solo il linguaggio del corpo, ma il senso stesso della famiglia umana come unità fondamentale. Stiamo perdendo, in fondo, noi stessi, perché non comprendiamo più che l’altro è parte di noi».

di Gabriele Nicolò