Nella produzione di Nick Hornby

Vivere nelle differenze

 Vivere nelle differenze  QUO-133
15 giugno 2021

Un modo per vivere nelle differenze è possibile. I libri di Nick Hornby — o almeno la maggior parte dei romanzi dello scrittore inglese — lo raccontano. Prendiamo Rob e Laura di Alta fedeltà (1996). Lui, trentacinquenne ed ex dj, è proprietario di un fatiscente negozio di dischi nella periferia londinese; lei, sua coetanea, è avvocato di successo che lavora nella City. Mentre quest’eterno ragazzo ragiona sulle cose della vita facendo di tutto una classifica («le 5 più memorabili fregature di tutti i tempi», seguite dalle top five dei migliori film, libri e complessi musicali…), la domanda definitiva che si pone è: «Si può dividere l’esistenza con qualcuno che ha una collezione di dischi incompatibile con la propria?». Dato il finale, con i due di nuovo insieme, la risposta sembrerebbe essere positiva.

Veniamo poi a Un ragazzo (1998). Qui Will Freeman, 36 anni e una vita di rendita dovuta all’unica canzone di successo scritta dal genitore, s’imbatte in un problematico adolescente: tra i protagonisti nasce una meravigliosa intesa padre-figlio, nonostante gli ambienti d’appartenenza e i modi di vivere siano diversi. Ancora, in Non buttiamoci giù (2005) sono loro gli “opposti” personaggi: Maureen, madre di un bambino con disabilità; Jess, diciottenne in crisi; Martin, ex conduttore televisivo in rovina; e JJ, cameriere col sogno di diventare musicista. I quattro s’incontrano nel momento più brutto delle rispettive vite; però, insieme, riescono a trovare un senso, ad apprezzare un’esistenza fatta di piccole cose, a tornare a sperare.

E così si potrebbe andare avanti all’infinito, scandagliando trame e individui, che, a seguito degli eventi, sono in grado di compiere un’importante analisi introspettiva. Come a dire: le vicende che investono gli uomini e le donne di Hornby sono sì tra loro diverse, cambia la Londra dell’ambientazione (è quasi sempre la parte nord, ma a seconda dell’epoca di riferimento ci troviamo dinnanzi alla città «dei pub e della musica d’avanguardia», a quella post «thatcherismo» o con altro primo ministro), tuttavia nella narrazione esistono dei punti fermi. Qualcuno è un appassionato di musica, l’Arsenal è l’unica squadra ammessa al tifo, necessari sono i cruciverba sul «Guardian» e ancor più fondamentale è la maturazione a cui si giunge. Maturazione che si compie nel momento in cui le citate differenze (verso l’altro o rispetto alla persona che in realtà si vorrebbe essere) vengono superate, pur mantenendo ognuno la propria identità.

Dunque, se i romanzi di Hornby passano in rassegna differenze quali classe sociale, lavoro svolto e di tipo generazionale, adesso, con l’avvento della Brexit, la cerchia delle divergenze si amplia; anzi, è la preferenza di voto a diventare catalizzatrice delle antiteticità. Cosa potrebbe accadere a una coppia della contemporaneità, in cui l’uno sia per restare e l’altra per uscire dall’Europa? La questione l’autore l’affronta, sempre in un’ottica sociologica, con Lo stato dell’Unione. Scene da un matrimonio (2019) e col più recente Proprio come te (2020), entrambi (al pari dei libri già menzionati) pubblicati in Italia da Guanda.

Nel breve e dialogico Lo stato dell’Unione — omonima la serie tv, scritta dallo stesso Hornby e diretta da Stephen Frears, di cui è stato annunciato il sequel — il marito Tom, critico musicale disoccupato, vota a favore della Brexit, mentre la moglie Louise, gerontologa nella sanità pubblica con «metà staff europeo», fa il contrario. Il loro matrimonio diventa metafora di quanto accade alla nazione: lasciarsi o continuare a stare insieme? I coniugi conversano, parlano — all’insegna di un’immancabile ironia —, si recano da una consulente di coppia e poi pare imparino ad ascoltare le ragioni altrui, a scendere a compromessi.

In Proprio come te nuovamente viene delineata una storia d’amore. Quella tra Lucy, insegnante di lettere borghese, e Joseph, aspirante dj figlio della classe operaia. Anche stavolta ci sono differenze sociali, di voto (siamo tra 2016 e 2019) e una Londra (maggiormente) divisa. Rispetto alle opere precedenti, però, si aggiungono ulteriori aspetti: Lucy è più grande di Joseph ed è bianca; Joseph è nero (quasi anticipatore del Black Lives Matter è l’episodio in cui un innocuo Joseph, sotto casa di Lucy, viene fermato da due agenti di polizia). A tal proposito, il pregiudizio emerge pure nelle posizioni sulla Brexit, quando gli amici di Lucy credono di sapere come abbia votato Joseph («Fu la prima volta nel corso della serata che si sentì diverso da loro. C’erano loro cinque, e poi c’era lui, e già la supposizione che lui non appartenesse al loro gruppo, che potesse aver votato nell’altro modo, era sufficiente a distinguerlo»). Tutto questo — si chiederà il lettore — è preludio di una separazione? Leggere il romanzo per scoprirlo, ma come indizio ecco le considerazioni di Joseph: «Che cosa avevano, tutti quanti? E uno poteva amare soltanto qualcuno che la pensava allo stesso modo, o si potevano costruire altri ponti lungo il fiume?».

Pertanto, si diceva all’inizio: cambiano i tempi e le trame, cambiano le peculiarità della città (nel saggio del 2003 31 canzoni Hornby sostiene che l’inno di Londra dovrebbe essere Reasons to be Cheerful, Part 3 di Dury perché «rappresentativa di un certo tipo di inglesità»; sarà ancora così?), ma non cambiano le domande. Non cambia neanche il fatto che con l’amore si possano superare le differenze, e che la vita a volte dovrebbe prendere spunto dall’arte.

di Enrica Riera