Conclusa la campagna pluriennale di Caritas Internationalis a favore dei migranti

Un viaggio condiviso

 Un viaggio condiviso  QUO-133
15 giugno 2021

Con ben 130 iniziative realizzate in tutto il mondo nell’arco di quasi quattro anni, ha raggiunto il proprio obiettivo la campagna globale di Caritas Internationalis «Share the Journey» (Condividere il Cammino) inaugurata da Papa Francesco il 27 settembre 2017, con l’intento di creare spazi e opportunità di incontro tra migranti, rifugiati e comunità locali, promuovendo la cultura della conoscenza reciproca. Al progetto, che si concluderà domenica prossima, 20 giugno, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, hanno aderito le 162 Caritas nazionali appartenenti alla confederazione e operanti in tutto il mondo. L’ultima iniziativa è stata inaugurata oggi, martedì 15: collegandosi al sito caritas.org, è possibile accendere una “candela virtuale di speranza” nel Paese di preferenza e offrire un messaggio di solidarietà con i migranti e rifugiati. I testi verranno poi raccolti in un libretto che sarà presentato al Pontefice, il quale ha accompagnato la campagna nelle tappe più importanti e significative.

In questi ultimi quattro anni, molte delle attività hanno previsto il «Condividere un Pasto» (Share the Meal) con dei migranti e rifugiati al fine di conoscerli. Nel giugno 2018, Caritas Internationalis ha promosso una settimana di pasti condivisi in tutto il mondo tra comunità locali, migranti e rifugiati. Un altro momento che ha scandito la campagna è stata la «Marcia di solidarietà globale» (Global solidarity walk) lanciata a Roma dal cardinale Luis Antonio Tagle, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e presidente di Caritas Internationalis. L’organizzazione ha invitato il mondo a camminare e parlare con i migranti, creando legami di solidarietà con loro. Sinora sono stati percorsi 600.000 chilometri a livello globale.

Come Gesù in Egitto

«A distanza di quattro anni posso dire che la campagna “Share the Journey” ci ha aiutati a raggiungere i migranti, ad abbracciare la loro povertà e sofferenza, a rasserenarli con la convinzione che non sono numeri, ma persone con nomi, storie, sogni, e vedere in essi Gesù Cristo che, da bambino, si era rifugiato in Egitto con i suoi genitori», ha dichiarato il porporato durante la conferenza stampa organizzata oggi in diretta streaming dalla Sala stampa della Santa Sede. «Crediamo — ha proseguito il cardinale Tagle — che attraverso questa campagna la Caritas abbia contribuito a sviluppare e diffondere una nuova cultura a livello globale, una cultura viva dell’incontro personale, una nuova visione dell’accoglienza della persona umana nel migrante». In un periodo in cui il Covid-19 «dovrebbe portare alla solidarietà globale» e allo stesso tempo in cui «gli Stati sono più preoccupati di proteggere i propri cittadini, con il rischio di intensificare l’egoismo e la paura degli stranieri», ha sottolineato il porporato, la fine della campagna è un invito «a continuare a condividere il viaggio con i migranti».

Mobilitare l’opinione pubblica

In questi ultimi anni, ha sottolineato il segretario generale Aloysius John, la Caritas ha voluto manifestare «la sua determinazione non solo ad accogliere e ospitare i migranti, ma anche a motivare e mobilitare l’opinione pubblica a intraprendere diverse azioni di solidarietà affinché anch’essa possa percepire questo obbligo morale». In diversi paesi sono state intraprese diverse attività per sensibilizzare la gente «sul viaggio difficile e pericoloso che i migranti intraprendono, lasciando i propri cari e lanciandosi nell’ignoto in viaggi spesso pericolosi, dove la maggior parte di loro sperimenta disagi e difficoltà». In Libano, ad esempio, il centro migranti della Caritas ha sostenuto i lavoratori stranieri che sono stati imprigionati nel Paese, impossibilitati a tornare nelle loro terre d’origine a causa delle restrizioni di viaggio imposte dalla pandemia di Covid-19, o che devono ancora affrontare gli effetti delle conseguenze dell’esplosione chimica, di cui anche i loro datori di lavoro sono stati vittime. In Giordania, la Caritas ha continuato ad aiutare migranti e rifugiati siriani con cibo e assistenza medica, mentre in Bangladesh l’organizzazione ha assistito migliaia di rifugiati Rohingya in cerca di sicurezza.

Storie di persone

«Gli immigrati non sono prima di tutto migranti ma persone, con una storia, una memoria, una terra e una dignità inalienabile — ha ribadito dal canto suo monsignor Bruno Marie Duffé, segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale — ognuno di loro ha un cammino, un dolore intimo che lo tormenta e ognuno di loro ha una speranza: essere considerato persona, chiamato per nome, accolto e riconosciuto». I migranti «ci chiedono di condividere il loro percorso e di condividere con loro la terra e il mondo che abbiamo in comune». Il responsabile, inoltre, ha sottolineato che qualsiasi missione richiede innanzitutto «un’azione sulle cause della migrazione: la violenza della guerra e i conflitti di potere, la povertà, le disuguaglianze, la corruzione, la tratta, gli abusi oppure la negligenza dei politici». Lavorare sulle cause della migrazione significa anche «accettare di collaborare con i Paesi da cui provengono i migranti, avventurarsi per sostenere programmi di sviluppo umano integrale, compresa la cura per la Terra, l’ambiente, l’acqua e la biodiversità». Perché, ha aggiunto Duffé, «c’è un diritto primario ad essere accolti, ma c’è anche il diritto a tornare nella propria terra — quella dei propri antenati e della propria comunità — per viverci in pace».

L’esempio del Sud Africa

Alla conferenza stampa ha partecipato anche da remoto suor Maria de Lurdes Lodi Rissini, coordinatrice nazionale della Caritas del Sud Africa, per allertare sulla situazione di molti migranti e rifugiati che da tutto il continente africano raggiungono il Paese in cerca di lavoro, per motivi medici o per accedere all’educazione. Proprio a favore dei giovani la Caritas di Aliwal North, vicino al confine con il Lesotho, sta concentrando gli sforzi affinché i bambini privi di documenti siano ammessi nel sistema educativo e possano ottenere una carta d’identità. Nella zona mineraria di Rutenburg, inoltre, l’organizzazione assiste molte donne che giungono nella cittadina al seguito dei mariti provenienti dai paesi vicini. «A volte — ha raccontato la religiosa — quando arrivano, scoprono che i loro mariti vivono con altre donne o stanno costruendo un’altra famiglia, ed è per questo che non inviavano più i soldi a casa». Ci sono anche iniziative per insegnare la lingua inglese a migranti e rifugiati, specialmente quelli che provengono da Paesi non anglofoni, al fine di consentire loro di integrarsi e ottenere migliori opportunità per le loro famiglie.

di Charles de Pechpeyrou