La "documanità"

Le nostre vite
ora sono un capitale

 Le nostre vite ora sono un capitale   QUO-133
15 giugno 2021

 

I cambiamenti epocali che sono in atto ci stanno abituando ad un nuovo vocabolario: infosfera, on life (L. Floridi) algoretica (P. Benanti). Ora si aggiunge un nuovo termine: documanità coniato da Maurizio Ferraris, docente di teoretica all’università di Torino, che da anni come gli altri docenti citati si sta occupando di comprendere e comunicare le trasformazioni della nostra epoca. Lo stato di avanzamento della pluriennale ricerca del docente torinese ha ora raggiunto una nuova tappa con la pubblicazione del volume Documanità, (Bari, Laterza, 2021, pagine 440, euro 24). La tesi sostenuta riguarda una delle conseguenze più importanti e più gravide di futuro legate allo sviluppo delle tecnologie informatiche. Il punto di forza che Ferraris intende analizzare è la nascita del «capitale documentario». Dopo il passaggio dall’economia alla finanza, ora ci troviamo dinnanzi a un nuovo strutturale passaggio, meno avvertito del precedente ma altrettanto e forse più decisivo, per le sorti del lavoro e dell’organizzazione della società. Più che società dell’informazione, per Ferraris siamo entrati nella società della documentazione. Ogni volta che utilizziamo un dispositivo elettronico per qualsiasi tipo di operazione da un whatsapp, a un tweet, a una ricerca su Wikipedia, alla ricerca di un ristorante, noi produciamo un documento che è destinato, al di là delle nostre intenzioni, a rimanere in eterno, e soprattutto che è capace di generare, per le piattaforme che lo memorizzano, un reddito. Come sappiamo, le informazioni sono un capitale che possono produrre una sorta di «surplus documediale» che finora viene capitalizzato solo dalle società che gestiscono le piattaforme. Queste infatti, grazie allo sviluppo degli algoritmi dei computer, riescono a gestire e immagazzinare quantità di informazioni impensabili fino a pochi anni fa. Le stesse poi trafficano letteralmente le informazioni incrociandole con altre per poi venderle al miglior offerente. Non a caso, le grandi piattaforme come Facebook, forse al di là delle intenzioni dei loro ideatori, oggi sono diventate tra le aziende più redditizie del pianeta.

A giudizio di Ferraris, la maggioranza degli utenti di internet non è consapevole di stare letteralmente “lavorando” quando utilizza i dispositivi, in ognuna delle sue manifestazioni. Ad esempio, nota Ferraris: «Le piattaforme danno a un utente informazioni che valgono 1 (dov’è il ristorante più vicino) e ricevono informazioni che valgono 10 (chi cerca il ristorante, quando, cosa ha cercato prima...), poi 1.000 (incrociando i documenti della sua ricerca con quella di tutti coloro che hanno fatto una ricerca simile), poi 100.000 (incrociando i documenti sui ristoranti con quelli delle partite di calcio e delle funzioni religiose), poi 1.000.000, rivendendo i documenti come qualunque altro bene ad altre piattaforme, agenzie, o a privati che aspirano a diventare presidenti degli Stati Uniti o del Lussemburgo (credo che ci sia una differenza di prezzo)».

La presa di coscienza di questo fenomeno è paragonabile alla presa di coscienza dei diritti della classe operaia durante la seconda rivoluzione industriale. Lì i lavoratori dopo il passaggio da un’economia rurale a una altra urbana e industriale si sono resi conto della loro forza e hanno con fatica lavorato per il riconoscimento dei propri diritti. Oggi occorre avere la stessa presa di consapevolezza, sapendo che in futuro sempre più il lavoro sarà automatizzato, si stima che crescerà con un impatto del 47% rispetto agli attuali impieghi, e i produttori dei nuovi beni, i documenti appunto, dovranno in un qualche modo essere remunerati, proprio per questo lavoro inconsapevole. Questa non è un’utopia, perché remunerare i propri clienti è nell’interesse anche degli stessi gestori delle piattaforme, così come era nell’interesse dei capitalisti ottocenteschi dare un salario ai propri lavoratori. Il principio è valido ancora oggi, come si può osservare nelle economie più floride. Così ad esempio la Cina, per sostenere i consumi, che sono il vero volano dell’economia nel capitalismo avanzato, ha incentivato i propri lavoratori ad acquistare massicciamente beni e servizi. Oggi, infatti, solo la minima parte della forza lavoro produttiva nelle società occidentali è impiegato per la produzione del cibo in agricoltura.

Ciò che sarà decisivo per il futuro sarà quindi la gestione del tempo libero, che non deve diventare un tempo dell’angoscia per l’inattività, ma all’interno di un ottica di ridistribuzione del reddito generato dalla gestione della documentazione, un tempo per coltivare l’umanità dell’uomo: «Finito lo sfruttamento inizia l’educazione: ecco la grande promessa offertaci dall’automazione e dal capitale».

di Marco Tibaldi