PER LA CURA DELLA CASA COMUNE

Ambiente e salute: siamo figli

 Ambiente e salute: siamo figli  QUO-125
05 giugno 2021

Il tempo di pandemia è stato un gigantesco promemoria sulle nostre interconnessioni, sulle relazioni che costituiscono la vita umana. Il paradigma della salute riassume la situazione in cui siamo: la salute delle persone è legata alla salute dell’economia, la salute del pianeta impatta sulla salute delle istituzioni internazionali, la salute della democrazia è una spia accesa sulla salute delle società. Ce lo ricordava l’enciclica Laudato si’ che «tutto è connesso» (LS 117).

La fede spinge a spostare più in là l’asticella del dialogo culturale con mondi diversi per far entrare in contatto teologia e scienza, filosofia e tecnica, ecumenismo e itinerari educativi, cooperazione missionaria e agricoltura sostenibile, salute e ambiente. Anche lo scambio tra Chiese sorelle appartiene a quella ricchezza di cui abbiamo bisogno per prenderci cura della creazione da fratelli e sorelle! Mentre risaniamo le ferite delle divisioni e ci alleniamo al dialogo riceviamo in dono le chiavi della fraternità. E insieme possiamo esplorare la casa comune, condividendo la regola di vita che ci proviene dal Vangelo di Gesù Cristo e dalla forza della sua Parola: uno sguardo contemplativo che vede in ogni creatura un dono e un gesto d’amore di Dio Creatore.

Coniugare ambiente e salute ha il sapore dell’urgenza. Già LS 21 metteva in guardia dalla superficialità di chi si lascia sovrastare da situazioni irreversibili per piangere sul latte versato: «Molte volte — ammonisce Papa Francesco — si prendono misure solo quando si sono prodotti effetti irreversibili per la salute delle persone». Non possiamo permetterci il lusso di lasciare la patata bollente delle decisioni urgenti alle future generazioni.

Per questo, è importante rilanciare l’impegno di tutti a prenderci cura della casa comune. La cura esprime responsabilità. È in gioco la nostra dimensione filiale nella vita. Uno sguardo critico alla modernità ci fa intuire che proprio questo è il punto debole della libertà odierna: l’illusione che per vivere bisogna operare una duplice uccisione simbolica, quella di Dio Padre e quella della madre terra. Scopriamo così che le strade indicate da Papa Francesco nelle encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti hanno l’intento di ricucire proprio queste ferite aperte e ancora sanguinanti. In realtà, sentirci figli smonta ogni delirio di onnipotenza e ci ricostituisce partecipi delle relazioni fondamentali con il creato e con gli altri.

La crisi ambientale ha alla radice una crisi antropologica. Prima ancora che sentirci chiamati ad aver cura della creazione, dobbiamo riscoprire che «siamo cura». Questa è la nostra identità più profonda: attenti, solleciti, accoglienti, ospitali nei confronti della vita. Ciò accade a partire dalle situazioni più fragili e vulnerabili, più povere ed emarginate. Alla fragilità del creato corrisponde la fragilità dell’uomo. L’umanità lo ha ben compreso in occasione della pandemia, ma il passaggio culturale che ci attende non si limita alla consapevolezza della nostra vulnerabilità. Abbiamo bisogno di convertirci alla fraternità: solo insieme e attraverso scelte condivise si creano le condizioni per abitare da figli la terra. Mentre ci prendiamo cura del creato ci accorgiamo che Dio, tramite il creato, si prende cura di noi. E mentre ci prendiamo cura dei fratelli più fragili ci rendiamo conto che essi stessi si prendono cura di noi. C’è una cura reciproca che custodisce la salute dell’uomo e delle creature.

Le tentazioni culturali del nostro tempo dicono un deficit di cura: da una parte, infatti, l’inquinamento e il degrado hanno reso invivibili alla salute territori e quartieri, dall’altra il salutismo, che riempie le palestre e fa rincorrere le diete più svariate, sembra in apparenza salvaguardare la natura, mentre rivela un’umanità ripiegata su di sé. Anche in questo caso ci viene in soccorso la saggezza antica: prevenire è meglio che curare. C’è da fare un lavoro culturale nelle comunità cristiane e nelle città per sensibilizzare al «custodire e coltivare» (Gen 2,15) la terra: siamo semplicemente figli e fratelli. Lo scrive Papa Francesco in Fratelli tutti (33): «Il dolore, l’incertezza, il timore e la consapevolezza dei propri limiti che la pandemia ha suscitato, fanno risuonare l’appello a ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l’organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza».

La rotta è indicata. Camminiamo insieme. È il modo migliore per accogliere e offrire speranza in questo nostro tempo. La crisi che stiamo attraversando non può né metterci in ginocchio né creare una paralisi verso la sete di giustizia e di comunità. Ce lo ricorda la poetessa Mariangela Gualtieri in un passaggio della poesia che ha scritto il primo giorno di lockdown (Nove marzo duemilaventi): «È portentoso quello che succede. / E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano. / Forse ci sono doni. / Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo. / C’è un molto forte richiamo / della specie ora e come specie adesso / deve pensarsi ognuno. Un comune destino / ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene. / O tutti quanti o nessuno».

Siamo figli accomunati dallo stesso destino. Come persone e come creature.

di Bruno Bignami