Joe Biden commemora le vittime del massacro “dimenticato” di Tulsa

Solo la verità
porta alla giustizia

(Andrew Caballero-Reynolds/Afp)
02 giugno 2021

«Solo con la verità si può giungere alla guarigione, alla giustizia, alla riparazione». Per portare alla luce i «lati oscuri» della Nazione, Joe Biden ha voluto partecipare, primo presidente statunitense in carica, alla commemorazione dell’eccidio di Tulsa: una cittadina dell’Oklahoma dove il lato oscuro — razzista e suprematista — della Nazione si rese colpevole, un secolo fa, del massacro di 300 cittadini afroamericani. Un massacro per troppo tempo dimenticato e fatto oggetto di rimozione. Odio e menzogna (la falsa accusa di un’aggressione sessuale ad una donna bianca) portarono alla devastazione
del quartiere di Greenwood, dove vivevano persone di colore che avevano il torto di una certa, intollerabile, agiatezza. Linciaggi, incendi, distruzione. In due giorni bui, il suprematismo razzista pensò di avere regolato i conti radendo al suolo quella che veniva chiamata la Wall Street nera. Quei conti, ha detto Biden in un discorso alla Nazione dai luoghi dell’eccidio, sono più aperti che mai. E riguardano non solo il passato degli Stati Uniti ma soprattutto il loro futuro. Il veleno di Tulsa è ancora nelle vene degli Usa. È «il più mortifero pericolo per la Nazione». Letale ed attuale. «Quel che accadde a Greenwood — ha sottolineato il presidente — fu un crimine d’odio ed un atto di terrorismo che ha una continuità anche oggi».

L’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio, ha affermato, è la prova di quella continuità. Come lo è, ha aggiunto rivolgendosi ai legislatori statali, «il tentativo di alcuni Stati di restringere il diritto di voto». In questo il presidente degli Stati Uniti vede la presenza attiva di un lato oscuro con il quale fare i conti: «le grandi Nazioni arrivano a riconoscere i loro lati oscuri. E noi siamo una grande Nazione».

Erano presenti alla commemorazione tre sopravvissuti alla furia razzista oggi ultracentenari, all’epoca bambini la cui vita fu violentemente cambiata. Viola, Hughes e Lessie (il più giovane 101 anni, la più anziana 107) sono tornati a chiedere, ma stavolta direttamente al presidente degli Stati Uniti, «giustizia e riparazione». L’allora agiata comunità di Greenwood, in un secolo, è stata spinta alla periferia sociale dove il razzismo suprematista aveva deciso restasse. Chiede, ora, sostegno e verità.

Era il 1921 ed i veleni razziali correvano nel mondo occidentale aprendo la strada alla seconda guerra mondiale che ebbe, appena 18 anni dopo, la sua giustificazione nell’odio razziale fatto ideologia di conquista.