L'anno ignaziano/2

Dagli onori del mondo
alla gloria di Dio

Il giovane Iñigo in abiti militari
26 maggio 2021

In occasione dell’apertura dell’Anno ignaziano — a cinque secoli dal ferimento che inaugurò il processo di conversione di Ignazio di Loyola — lo scorso 20 maggio la Pontificia Università Gregoriana ha organizzato il convegno «Vedere nuove tutte le cose in Cristo». Su «L’Osservatore Romano» del 22 maggio abbiamo riportato il saluto inviato per l’occasione dal preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa Abascal, e l’intervento conclusivo di padre González Magaña. Aggiungiamo oggi due stralci delle relazioni pronunciate dai cardinali Ladaria Ferrer e Semeraro. A completamento del primo piano, la riflessione e testimonianza di un ex alunno dei gesuiti.

Mistico e uomo d’azione, legislatore e pastore d’anime, guida spirituale e riformatore della Chiesa, uomo di preghiera e programmatore apostolico, Ignazio non è un santo “facile”. Dobbiamo ringraziare Dio del dono particolare della sua capacità di interiorizzarsi: essa è da intendersi non come ripiegamento su se stesso o come affermazione di sé in opposizione agli altri per diversificarsi dagli altri, ma come capacità di andare al “cuore” del proprio io, cogliendolo — secondo il cardinale Carlo Maria Martini — come “luogo della comunicazione dei diversi”, e, pertanto, come via privilegiata del comunicare e del fare comunione con ogni uomo. È in forza di questo dono, infatti, che Ignazio comunica la sua lotta interiore e la sua conversione anche con noi che viviamo più di cinque secoli dopo. Per comprendere il suo combattimento spirituale e la sua conversione, dobbiamo capire la complessità e poliedricità della figura del santo e, questo ci obbliga alla scelta di un’ottica di analisi particolare per non disperderci nei meandri della sua personalità.

Trattandosi di enucleare le linee della sua conversione, tradotte poi nella sua spiritualità, ci sembra che il taglio della presentazione non possa essere lontano da quello da lui stesso seguito quando, alla fine della sua vita, sollecitato dai compagni a rivelare il segreto della sua vita che servisse loro quasi da testamento spirituale, si è indotto a “dettare” l’Autobiografia a padre Luis Gonçalves da Câmara.

Per capire l’importanza della sua conversione è necessario seguire il divenire della sua personalità e del suo carisma attraverso le varie tappe che scandiscono l’itinerario spirituale della pedagogia di Dio nei suoi riguardi. Almeno per un periodo della sua vita, quello centrale e fondamentale racchiuso tra la ferita a Pamplona nel 1521, che dà inizio alla sua conversione — e che ora ricordiamo — e la sentenza finale del processo romano nel novembre del 1538, che con l’offerta di Ignazio e dei suoi compagni al Papa di tutta la propria vita segna una svolta decisiva in ordine alla nascita della Compagnia di Gesù. (…)

Fu Ignazio uomo d’armi? È stata fondamentale per la sua futura vita spirituale e per la spiritualità che da lui ebbe inizio la sua esperienza di soldato? Ancora in un passato non troppo lontano e non del tutto cancellato la risposta era universalmente positiva. Di qui l’interpretazione militaresca della sua spiritualità, nella luce della quale si leggevano e si interpretavano vari elementi come l’ubbidienza del gesuita, l’organizzazione e la strategia apostolica dell’Ordine, lo stesso servizio apostolico interpretato in chiave proselitista di conquista, l’ascesi spirituale e tanti altri particolari meno importanti come, per esempio, la visione del Generale della Compagnia visto nella controluce del generale (sostantivo) d’armata piuttosto che, come superiore dell’intero Ordine (“generale” come aggettivo), nella contrapposizione al preposito o superiore “particolare” (aggettivo che Ignazio preferiva a quello più classico, ma anche più monacale e conventuale, di “locale”).

Ignazio non fu mai un soldato di mestiere ma, da sempre un cavaliere basco con la pretesa di far parte dell’ordine di “Los Caballeros de la Banda”. Portava la spada nel suo guardaroba di corte, ma solo come oggetto decorativo o, al massimo, per sguainarla nelle liti notturne o per gli occhi di qualche bella dama, come è successo a Valladolid e Zaragoza. In Ignazio predomina il senso dell’onore, della cavalleria e della fedeltà al re, ma non ha la minima nozione di strategia, di tattica e, nemmeno, di disciplina militare. Il centro dei suoi interessi è più la corte che il campo di battaglia e il servizio del giovane Íñigo López de Oñaz y Loyola, tanto decantato in una certa storiografia ancora oggi presente, ha ben poco del servizio militare perché è solo un mezzo per affermarsi personalmente, per procurarsi onori, per farsi valere e farsi stimare.

Ma è proprio a partire da questa struttura di fondo che Dio, pedagogicamente, andrà a poco a poco a costruire il santo. Dio si servirà della bipolare educazione ricevuta nella giovinezza, quella ricevuta in famiglia, satura di elementi e tratti medioevali (per esempio: senso della fedeltà al re, forti penitenze, devozioni particolari a san Pietro e alla Santissima Trinità, devozione ai Luoghi Santi da raggiungere con religioso pellegrinaggio penitente, eccetera) e quella ricevuta a corte che lo ha messo a contatto con il nuovo mondo dell’Umanesimo e del Rinascimento, per costruire a poco a poco in lui l’uomo di frontiera, costantemente posto a cavallo del mondo vecchio che sta per morire e di quello nuovo che sta per nascere e, pertanto, costantemente sollecitato a un continuo discernimento spirituale in vista di un continuo rinnovamento.

Dio si servirà della sua smodata sete di onori (come ultimo di 13 figli e la legge spagnola del “mayorazgo”, non aveva certo molte possibilità per sfondare nel campo della ricchezza e dell’avere; doveva puntare tutto sugli onori e sull’apparire, se voleva avere successo secondo i criteri mondani!) per orientarlo ad avere una passione per la gloria di Dio, si servirà, infine del suo desiderio di servizio al mondo, della sua innata inclinazione all’azione e all’amore per le creature, per orientarlo non verso una mistica di tipo nuziale, ma verso la mistica del servizio, la mistica dell’azione, la contemplazione nell’azione stessa, l’essere maestro di quell’unione a Dio nell’azione stessa che permette all’uomo, chiamato a vivere nel mondo e ad aiutare gli altri, di unificare la propria vita e di integrarla al di là di dicotomie pericolose, cogliendo la contemplazione di Dio come dimensione unificante e fondante la propria esistenza. Gratia supponit naturam!

La prima conversione


Trasportato da Esteban de Zuasti (cugino di Francesco Saverio) alla Casa-Torre di Loyola, Ignazio venne subito operato alla gamba ferita dalla bombarda sulla rocca di Pamplona. A un primo intervento dei chirurghi ne seguì un secondo ben più doloroso, ma voluto da Ignazio stesso, contro il parere di tutti, per evitare una deformazione alla gamba, esteticamente per lui inaccettabile, tanto più che gli avrebbe impedito di calzare stivaletti eleganti, secondo le leggi dell’ordine di “Los Caballeros de la Banda”.

Durante la lunga convalescenza chiese di poter leggere libri di avventure cavalleresche e amorose, ma per sua e nostra fortuna, Magdalena de Araoz, sua cognata, gli disse che non trovò in casa che la Vita Christi del certosino Ludolfo di Sassonia e una raccolta di vite di santi, il Flos Sanctorum di Giacomo da Varazze. È da queste letture che prende inizio il suo cammino di conversione e di purificazione. Esso comporta un iniziale processo di interiorizzazione e si attua come una scelta (= elezione) di un servizio insigne a Cristo, a conclusione di un processo di discernimento spirituale.

Le letture gli presentano la vita cristiana come un servizio a Cristo povero, umile e sofferente, da attuarsi nella lotta a Satana e ad imitazione di quei grandi cavalieri di Dio che furono i santi e, in modo particolare, Francesco d’Assisi, Domenico di Guzmán e Onofrio. Nello stesso tempo, essi lo introducono nell’orazione mentale, nella quale le nuove conoscenze della verità cristiana diventano desideri, inclinazioni, mozioni sempre più interiori e profonde. La lotta vista all’esterno tra Cristo e Satana e l’ambiguità della realtà umana percepita fuori di sé, a poco a poco viene ad essere percepita nel proprio interno.

I santi desideri e le mozioni suscitate dalle letture non si impongono facilmente nel suo spirito, perché vengono osteggiate e contrastate da altri pensieri e da altri desideri: sono i pensieri del mondo che gli erano prima abituali, sono i desideri di realtà vane e di gloria o di onore mondano, tra i quali gli teneva occupato il cuore soprattutto il pensiero e il desiderio di una dama, per la quale andava escogitando che cosa avrebbe potuto fare in suo servizio, quali mezzi avrebbe potuto mettere in atto per raggiungere la città dove essa risedeva e quali parole avrebbe potuto rivolgerle per conquistarsela.

È così che Dio introduce Ignazio al discernimento spirituale. Mentre, in primo tempo, non si accorge nemmeno dell’esistenza di queste mozioni interiori (= spiriti), arriva poi a prenderne coscienza, ad avvertirle nel suo interno e a coglierne la differenza. A questo punto è sollecitato a prendere posizione di fronte ad esse e a dover scegliere tra Cristo e la dama, tra il Re eterno e il re temporale. Attraverso l’analisi degli effetti che gli opposti pensieri producono nel suo animo, entrambi di consolazione e di piacere, mentre sono presenti, e di gioia gli uni e di desolazione gli altri, quando invece cessano, Ignazio nel suo combattimento spirituale finisce per entusiasmarsi per il servizio al nuovo Re, il Re eterno Cristo Signore, che è più (más = magis) di quello al re terreno o alla dama del cuore, perché certamente più universale. L’incontro con i santi attua il magis nel desiderio di segnalarsi in questo servizio, però ancora, in modo competitivo nei riguardi dei santi stessi che vuole vincere e superare, piuttosto che nella linea di una vittoria dei nemici avvertiti in se stesso per essere vittorioso su se stesso.

di Luis Francisco Ladaria Ferrer
Cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede