PER LA CURA DELLA CASA COMUNE
Dagli stambecchi del Gran Paradiso alla scomparsa della jujubier in Marocco nel libro «Storie di clima»

Sintomi di un pianeta
in sofferenza

 Sintomi di un pianeta in sofferenza  QUO-104
10 maggio 2021

I cambi climatici «sloggiano» anche gli stambecchi dalle Alpi: «Studi effettuati nel Parco nazionale del Gran Paradiso hanno confermato che la contrazione numerica della popolazione di stambecchi è legata a un tasso elevato di mortalità dei capretti durante l’inverno successivo alla nascita. Il motivo sembrerebbe essere la maturazione precoce di specie vegetali appetite dallo stambecco in primavera, anticipata a causa della scarsità di neve e delle temperatura più elevate che nel passato. Tale anticipo porterebbe a far sì che i piccoli di stambecco, nei periodi dello svezzamento, non abbaino più la possibilità di trovare alimenti ricchi di proteine, come accadeva nel passato».

I cambiamenti climatici toccati con mano. Non più studi o cifre aride che, spesso, invece che svelare la realtà la nascondono, ma vicende concrete e tangibili di come il climate change stia sconvolgendo un ecosistema. Ovvero, di come la natura stia cambiando il suo corso. Ma non solo sulle Alpi o riguardo il “re” delle cime, lo stambecco, è possibile vedere e toccare l’avvento di mutazioni considerevoli in diversi ambienti. Anche in Nepal gli sconvolgimenti ambientali si fanno sentire: «Le temperature stanno aumentando a un tasso più veloce della media e il regime delle piogge, fortemente dipendente dai monsoni, sta subendo importanti modifiche. Il ritardo dell’arrivo della stagione monsonica sta causando una estremizzazione degli eventi metereologici — afferma Pradeep Battharai, membro del Prakriti Resources Centre, un’ong di Kathmandu, in Nepal, che lavora nel campo della giustizia ambientale —. Sono più frequenti e prolungati i periodi di siccità nella stagione invernale, mentre si fanno più intense le piogge nei periodi estivi».

Questo di Battharai è un refrain che Roberto Barbiero e Valentina Musumeci, autori di Storie di clima. Testimonianze dal mondo sugli impatti dei cambiamenti climatici (Ediciclo, Venezia 2020) hanno raccolto in diversi angoli del mondo. La loro inchiesta — corredata da bellissime fotografie — è la controprova che «il clima è già cambiato», per citare un titolo del climatologo Stefano Caserini, e che le conseguenze iniziamo a pagarle tutti, da Nord a Sud, da Est a Ovest: «Il 75% dell’ambiente terrestre e il 66% degli ambienti marini sono già “gravemente modificati” dalle azioni umane, mentre i tassi di estinzione delle specie accelerano a tal punto che la stima di quelle a rischio di sparire per sempre ha raggiunto la cifra di un milione». La ricaduta antropologica inizia ad essere devastante: «Dal 2008 al 2018 nel mondo circa 265 milioni di persone sono state costrette a spostarsi per eventi meteorologici estremi. Il solo super tifone Manghut del settembre 2018 ha costretto a fuggire dalle proprie abitazioni più di tre milioni di persone tra Cina e Filippine». Il racconto di Barbiero e Musumeci, ricchissimo di cifre e di incontri sul campo in ogni angolo del mondo, denota che i cambiamenti del clima sono visibili già nell’arco di un decennio, come prova Barbara Avellino, viticoltivatrice dell’Oltrepo Pavese: già tra il 2008 e il 2018 si è accorta sul campo (è il caso di dirlo) di alcune variazioni climatiche significative: «L’evidenza più lampante del riscaldamento in atto è dovuta a due fattori: l’anticipo vegetativo, del germogliamento e delle fasi fenologiche; e l’allungarsi del periodo di caldo a fine stagione, combinato con la riduzione delle escursioni termiche giornaliere». Lo attesta anche Elisabetta, coltivatrice diretta della zona della valle dell’Adige, in Trentino: «Sono ormai numerose le evidenze dei cambiamenti climatici in atto in agricoltura: si osserva un aumento del periodo di crescita di alcune colture, l’anticipo delle epoche di semina, di raccolta e di sviluppo fenologico, un prematuro riavvio del periodo vegetativo, la diminuzione della produttività e della qualità di alcune produzioni, lo spostamento degli areali verso nord e in quota (olivo, vite e melo), così come una variazione della diffusione di fitopatie e intestanti».

Viaggiando dall’Argentina alla Spagna, dal Nord Europa (Finlandia e Norvegia) fino all’Uganda, Barbiero e Musumeci incontrano e si scontrano con la natura che viene modificata dall’uomo. Ma parlano anche con eroi indefessi che cercano di far cambiare rotta ad un’umanità forsennatamente rivolta solo ad estrarre il massimo profitto dalla natura. Prendiamo gli allevamenti di bovini in Argentina: «Per produrre un chilo di carne bovina servono 15.415 litri d’acqua. Il settore zootecnico è la causa della maggior impronta di carbonio e del maggior consumo di acqua rispetto al resto delle industrie di tutto il mondo», denuncia da Cordoba, seconda città argentina, Lourdes Nathalie, impegnata nella Fundaciò TierraVida che si batte per l’ambiente. Mohamed Bagdi, ex sindacalista in Francia, è tornato nella natia Marocco, a Ferkla, per imprimere anche nel suo Paese la passione sociale che l’aveva contraddistinto a Pas de Calais, dove era minatore. Anche lui denuncia che il clima è sotto il giogo degli interventi antropici: «Per dirne una, è sparita la jujubier, una pianta locale che serviva a nutrire gli animali, e la colpa è sicuramente dell’uomo, che costruito case e strade ovunque. Anche le palme da datteri sono seriamente in pericolo, non ci sono più frutti».

Il refrain attraversa anche la florida Uganda, bagnata da due laghi importanti come il Lago Vittoria e il Lago Albert, oltre che dal Nilo, ma ciononostante Joanine Babirye, membro dell’ong Girls4Climate, annota che «nella nostra regione fa sempre più caldo e piove sempre meno. La vegetazione muore. Non c’è più cibo né per le persone né per gli animali. Ciò che piantiamo si secca sotto il sole sempre più forte». E le siccità iniziano ad avere conseguenze geopolitiche importanti. Barbieri e Musumeci ricordano come la guerra civile in Siria sia nata da questo: «La siccità prolungata e la drastica riduzione della produzione dei raccolti agricoli tra il 2007 e il 2010 sono state considerate tra le cause dello scoppio del conflitto» siriano. L’economista Gaël Giraud l’ha ricordato più volte: «I popoli possono (forse) stare senza libertà, ma non possono stare senza acqua».

Pure viaggiando tra le popolazioni sami della Finlandia, i due autori hanno riscontrato che perfino le renne nel freddo Nord risentono dei cambiamenti climatici: «Nei mesi di gennaio e di aprile le temperature si innalzano improvvisamente, provocando un danno enorme: in gennaio al foraggio naturale delle renne, il lichene, che rimane coperto da una lastra di ghiaccio, e in aprile anticipando il caldo estivo e di conseguenza la migrazione delle renne, che non trovano cibo a sufficienza».

«La scienza ha dimostrato che il cambiamento climatico è reale ed è causato dalle attività umane. Se ne siamo la causa, possiamo anche esserne la soluzione. Quindi dobbiamo agire insieme per rendere la nostra terra favorevole alla vita»: un barlume di speranza lo offre Pradeep Battharai, l’attivista ambientale di Kathmandu: «Il nostro piccolo sforzo per cambiare il nostro stile di vita può fare una grande differenza».

di Lorenzo Fazzini