L’associazione Differenza Donna

Così si può battere
la violenza domestica

Home quarantine. Caucasian woman sitting at window in a medical mask, looking out, wants to go out. ...
08 maggio 2021

Differenza Donna nasce il 6 marzo del 1989 da un gruppo di donne che, memori del lavoro svolto negli anni Settanta-Ottanta, avevano già riscontrato un gran numero di violenze sulle donne, ma nessuno strumento di prevenzione e protezione delle persone esposte alla violenza. La dottoressa Elisa Ercoli, presidente dell’associazione, afferma che quest’ultima è nata «per contrastare la violenza maschile, prettamente subita in ambito domestico. Di conseguenza, nel 1993 si aprirono alcuni centri antiviolenza e, ancor prima, nel 1992, la provincia di Roma ha stanziato un finanziamento per l’apertura stabile di un centro antiviolenza, quarto in tutta Italia (con annessa la casa rifugio), organizzato per unire insieme la prevenzione e la protezione della donna». La presidente continua raccontando che «in questo centro le donne possono essere accolte ed ospitate, anche con figli minori e, grazie all’accoglienza e all’ascolto del personale qualificato, trovano la forza di raccontare la violenza che hanno subìto. «Fondamentale per la donna che si “avvicina” alla nostra associazione — continua Ercoli — è il primissimo contatto con le operatrici dei vari centri poiché, queste ultime, devono far sentire a proprio agio la donna che si rivolge alla struttura, in modo tale da esser libera di potersi raccontare». Questa narrazione, infatti, deve avvenire in un ambiente che faccia sentire la donna “protetta”, anche perché raccontare la violenza significa riviverla. Prerogativa fondamentale dell’associazione Differenza Donna è l’operare in rete a stretto contatto con le forze dell’ordine, i tribunali e i servizi socio-sanitari del territorio. «Avere presenti sul territorio sia il centro antiviolenza che la casa rifugio permette — commenta la presidente — di vedere in esso, soprattutto per le donne ed i bambini, un luogo aperto e non chiuso che possa far comprendere loro che questo problema è diffuso, non riguardando solo una singola persona, bensì la gran parte del tessuto sociale femminile». Particolarità dell’associazione è quella di non accogliere solamente donne del territorio, ovvero residenti, ma di esser “aperto” a tutte coloro che ne hanno bisogno. Ercoli denota che «le donne accolte annualmente nei centri antiviolenza sono circa 1.800, mentre quelle ospitate nelle case rifugio, insieme ai propri figli, si aggirano intorno alle venticinque ogni anno. Questo perché le strutture di case rifugio — spiega la presidente — sono in minoranza rispetto ai centri antiviolenza, poiché le prime sono utilizzate solo in situazioni estreme dove la donna, ad esempio, rimanendo nella propria abitazione, può risultare in grave pericolo». Solitamente nella maggior parte dei casi si ottengono, tramite vie legali, misure di protezione che vedono allontanato l’autore della violenza mentre alla donna viene prospettato un progetto individuale creato sulla base del racconto che la vittima stessa fornisce agli operatori. Differenza Donna attualmente, oltre alle diverse sedi sparse sul territorio italiano, conta nella città di Roma quattro case rifugio e, due di queste, hanno anche la presenza di due centri antiviolenza. La presidente dichiara che «l’associazione è composta da centocinquanta socie ed è possibile l’ingresso solo dopo un corso di formazione, percorso obbligato per entrare a far parte di Differenza Donna, a prescindere dal titolo di studio o dal servizio che si vuole ricoprire. Questo perché — spiega la dottoressa — molto dipende da come si pongono le socie nei confronti delle donne che raccontano la violenza, poiché è necessaria una grande capacità di ascolto».

Ercoli, raccontando del servizio di Differenza Donna durante il periodo pandemico, afferma che «nel primo lockdown, specialmente nelle prime due settimane, c’è stato un crollo delle chiamate dell’85% poiché, le donne erano sorvegliate costantemente dall’autore della violenza. Perciò — continua — si è pensato di potenziare tutta la comunicazione, creando dei canali online che non richiedessero la verbalizzazione, in modo tale da poter inviare, ugualmente, dei messaggi di aiuto. Purtroppo a causa del covid solo il 10% delle donne denuncia le violenze poiché, nella maggior parte dei casi, avendo perso in questo periodo il lavoro e stando a casa, hanno diminuito la capacità di autonomia economica. Tutto questo consente all’autore della violenza di esercitare un maggior potere sulla vittima». «Le donne più coraggiose nel denunciare atti di violenza — spiega ancora Ercoli — sono le giovanissime, avendo un uso più semplice dei canali social e delle chat, ma anche perché tentano di uscire dal maltrattamento nel minor tempo possibile. Colpisce il vedere che le donne non provano un sentimento di odio, non cercando mai una rivincita nei confronti dell’autore della violenza».

Cristina Ercoli, responsabile del Centro antiviolenza dell’associazione, racconta che la sua struttura riceve circa cinquecento donne nuove ogni anno e, tutto questo, avviene attraverso l’accoglienza telefonica h24, i colloqui strutturati con le specialiste in favore di qualsiasi donna a prescindere dalla propria cultura o fede religiosa. Continuando nel racconto della propria esperienza sul campo, sottolinea ancora una volta che la violenza si nutre del silenzio e viene “consumata” in casa, « che dovrebbe essere il luogo di rifugio e riparo dai pericoli». «L’eziologia della violenza — spiega — è quella di mettere la donna in uno stato asimmetrico rispetto all’uomo, diventando così un “oggetto” di proprietà dell’uomo che si sente libero di far ciò che vuole, alzando così anche la pericolosità della violenza. Rarissimo — continua — è il caso di segnalazione da parte di amici e parenti della vittima in quanto, questi ultimi, tendono a giustificare il comportamento dell’uomo, nonostante quest’ultimo compia un gesto che mai deve esser giustificato». La violenza, molto spesso, genera confusione poiché, nella grandissima parte dei casi, non è inferta da un estraneo, ma da una persona con la quale si è scelto di vivere insieme Molto spesso, conclude Cristina Ercoli, «le donne trovano la forza di denunciare le violenze subìte per amore dei loro figli poiché, questi ultimi, capiscono tutto ciò che avviene all’interno delle mura domestiche». Molte donne vittime di violenze, attraverso dei percorsi ad hoc, sono rinate e, qualcuna di loro, lavora tutt’oggi come operatrice all’interno dell’associazione.

di Marco Lambertucci