C’è un filo rosso che lega l’immagine del popolo d’Israele che costruisce le mura di Gerusalemme nel libro di Neemia e la riflessione sociale di Papa Francesco. Nel testo biblico troviamo l’esclamazione entusiasta: «E al popolo stava a cuore il lavoro» (3, 38). La preoccupazione di continuare a costruire le mura per difendere la città è più importante delle critiche di chi vuol demolire e demotivare. In Fratelli tutti (162) Francesco afferma che «il grande tema è il lavoro»: veramente popolare «è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze».
Lo vediamo tutti in questo tempo di pandemia: il lavoro è motivo di salvezza (medici, insegnanti, personale sanitario e della distribuzione, agricoltori…) ma è anche motivo di grande sofferenza. Dietro a molti lavori ci sono sogni e investimenti personali: basti pensare a imprenditori o liberi professionisti o commercianti che hanno spesso fatto sacrifici per aprire e mantenere un’attività lavorativa. Molti di loro stanno soffrendo e le piazze di queste ultime settimane lo ricordano. L’intervento pubblico con ristori e sostegni per alleviare la condizione di difficoltà non basta a dare risposte alle paure di vedersi scappare il sogno di una vita. I fallimenti lasciano ferite aperte. C’è anche però chi vive il lavoro nella forma di una precarietà assoluta. I disoccupati, gli inattivi, gli irregolari, i lavoratori in nero si sono assuefatti a una insicurezza che spesso sfocia nello sfruttamento più amaro. Il lavoro, in questo caso, pur rappresentando una delusione, è visto come àncora di salvezza per mantenere una famiglia o per sopravvivere in quartieri o ambiti sociali segnati dal degrado. Molti di loro chiedono un lavoro più che un reddito, appellandosi alla dignità personale: come dargli torto?
La popolarità del lavoro, che dalla Bibbia arriva ai nostri tempi, si spiega perché è una delle esperienze umane in grado di riempire l’esistenza. O di svuotarla, se manca. O di distruggerla, se si riduce a schiavitù. Il lavoro esprime davvero il senso della vita. Insegna a vivere perché non esiste attività che si possa pensare come solitaria. Il lavoro si fa con altri, dentro una condivisione di idee e progetti, in tempistiche partecipate con qualcun altro: chiama in causa la competenza di uno e l’abilità di un altro e non può fare a meno della manualità. Persino le vendite online non avrebbero successo senza corrieri. Attraverso il lavoro ciascuno esprime le proprie capacità e costruisce una comunità.
«Tanta roba», direbbe qualcuno. Sono implicati molteplici valori. Ognuno sa parlare di lavoro, per esperienza. Tutti pensano alla professione come a una prospettiva futura (il giovane), come a un impegno concreto e presente (l’adulto) o come a ciò che riassume la propria esistenza (l’anziano). Le stagioni della vita sono segnate dal lavoro: per questo è davvero popolare!
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