Rifiuti ed energia

Il difficile equilibrio

 Il difficile equilibrio  Il difficile equilibrio  QUO-094
27 aprile 2021

Lo smaltimento dei rifiuti e l’approvvigionamento energetico costituiscono, nella gestione urbana, due problemi di grande impatto ed esprimono non pochi punti in comune. Entrambi sono attraversati dalla componente passiva e attiva: i rifiuti sono prodotti in quantità e qualità variabili, che dipendono dall’attenzione dei cittadini e delle imprese nel produrre materiale di scarto; l’energia viene consumata, anch’essa in misura variabile, in funzione dell’oculatezza nell’uso. Entrambi sono portatori tuttavia anche di una componente attiva: i rifiuti devono essere eliminati, oltretutto in tempi rapidi in quanto il loro accumulo avviene soprattutto in città e nei luoghi maggiormente abitati; l’energia deve essere alimentata costantemente per risolvere tutte le esigenze che vanno dal trasporto al controllo climatico.

Il mancato equilibrio tra azione passiva e attiva determina condizioni di inquinamento, con tutti gli inevitabili fenomeni indotti: cambiamento della temperatura, scarsezza dell’acqua, disastri sul territorio, perdita di specie animali. È ormai chiaro che rifiuti ed energia devono essere affrontati con un impegno sempre più convinto in entrambe le loro componenti; non è pensabile che concentrandosi, anche con grandi sforzi, su una sola delle due sia possibile giungere a soluzioni convincenti.

Attualmente, la sensibilizzazione mondiale è sufficientemente alta; in tutti i Paesi il fenomeno è compreso nella sua drammaticità e la comunicazione del problema è sostenuta dalla presentazione ricorrente di immagini che testimoniano i danni, diretti e indotti, provocati sull’ambiente.

La produzione dei rifiuti riguarda tutti i tipi di scarti, alimentari e non, e la gran parte è costituita da contenitori. Anche gli scarti alimentari compongono tuttavia una quota molto ampia, apparentemente meno preoccupante perché degradabile e quindi non inquinante su tempi lunghi come le plastiche e i materiali più resistenti. Gli scarti alimentari impongono però anche un altro tipo di valutazione: oltre a rappresentare un problema di smaltimento, evidenziano uno spreco che, se eliminato o perlomeno contenuto, potrebbe risolvere una parte, non secondaria, della fame nel mondo.

I dati relativi agli sprechi alimentari sono impressionanti e marcano la distanza tra i Paesi ricchi, tutto l’Occidente, e i Paesi poveri, gran parte dell’Africa subsahariana. Le carenze alimentari dei secondi si avvicinano molto a quanto, giornalmente, non viene utilizzato dai primi. Ciò dimostra che una ridistribuzione ottimale del cibo potrebbe eliminare quasi interamente la disfunzione, riducendo notevolmente il problema dell’alimentazione insufficiente in un largo strato della popolazione. Questa valutazione, puramente teorica, non può illuderci di risolvere fame e povertà, tuttavia, attraverso razionali accordi internazionali, gli squilibri potrebbero essere in parte compensati, evitando di spingere su una ricerca, spesso incontrollata, indirizzata alla produzione di cibi transgenici.

Per quanto riguarda i materiali non organici, e quindi non riciclabili, che giungono a consunzione in tempi lunghi, l’orientamento tecnologico deve rivolgersi alla scelta di prodotti a più rapido deterioramento, ad esempio la carta, ma anche a un’attenta raccolta separata, al fine di recuperare al massimo quanto può essere riciclato e riproposto nella catena produttiva.

Il problema investe pertanto in modo determinante la ricerca più avanzata, proprio per giungere alla produzione di contenitori, che abbiano una durata vicina ai tempi di scadenza dei materiali contenuti. Questa scelta, anch’essa teorica, ma almeno in parte perseguibile, porterebbe a un doppio controllo, sia sui prodotti alimentari che non resterebbero conservati oltre la data della loro scadenza, sia sullo smaltimento degli involucri che, al momento, proprio perché quasi “eterni”, costituiscono la componente più invasiva. Sono a tutti presenti le isole di plastiche galleggianti che si sono formate in vari punti dei nostri mari e degli oceani.

Per quanto riguarda la raccolta differenziata, la sensibilizzazione generale appare sempre più sviluppata, anche se continuano a manifestarsi non pochi comportamenti di disinteresse. A quelli dei singoli cittadini si deve aggiungere la colpevole trasandatezza di non poche amministrazioni, che non provvedono alla predisposizione di appositi raccoglitori, se non, addirittura, trascurano la separazione dei prodotti raccolti.

Valutazioni diverse e del tutto speciali riguardano lo smaltimento delle scorie tossiche e fortemente inquinanti. Anche su questo tema l’opinione pubblica è sensibilizzata, tuttavia esistono aree estese di notevole compromissione territoriale: dalle “terre dei fuochi” alle zone soggette a inquinamento radioattivo dove si sono registrate dispersioni da centrali nucleari dismesse o lesionate. A questo primo aspetto, che rientra nella componente passiva e quindi all’interno del tema del contenimento, si aggiunge, come già detto, la componente attiva dell’eliminazione o, ancora meglio, del riciclo degli scarti. La raccolta differenziata, se compiuta con attenzione, porta all’ottenimento di materie già semilavorate, ad esempio il vetro, o a prodotti utili in agricoltura per la concimazione.

La città di Edmonton in Canada ha realizzato un sistema di compostaggio a grande scala, capace di assorbire il 35 per cento dei rifiuti del Paese e trasformarlo, in parte, in prodotti riusabili. Un campo importante è rappresentato anche dalla raccolta dell’acqua piovana che, se non dispersa, può costituire una buona risorsa per l’irrigazione, ma anche per lo smaltimento dei liquami.

L’aspetto edilizio è interessato soprattutto dalla realizzazione degli inceneritori, perfezionati nei cosiddetti termovalorizzatori che recuperano fino al 30 per cento del loro consumo, trasformando in energia elettrica il vapore prodotto dall’incenerimento. Sulla loro presenza nei centri urbani le resistenze sono molte, legate soprattutto alle prime realizzazioni che producevano fumi più o meno inquinanti e, comunque, poco accettati a causa di una presenza invasiva e ingombrante. Molte realizzazioni contemporanee sono riuscite tuttavia ad ammorbidire questo impatto, contenendo la massività delle forme, eliminando gli odori e il rumore, e, ancora di più, cercando di rendere l’intero complesso un luogo urbano funzionalmente ricco.

Oslo, Vienna e Copenaghen, tre capitali che hanno compiuto una convinta scelta “verde”, utilizzano, anche in aree centrali, impianti che recuperano i rifiuti, riciclandoli in materie prime ed energia, senza disperdere nell’aria sostanze “velenose”. Vienna, in particolare, ha avviato anche una campagna di “bonifica estetica” affidando al pittore-architetto Friedrich Hundertwasser il compito di inglobare tubi e macchinari all’interno di composizioni curiose e accattivanti. L’esempio più noto è sicuramente il termovalorizzatore di Copenaghen, progettato da Bjarke Ingels, che accoglie in copertura una pista da sci sintetica lunga 400 metri, inaugurata nel 2019. L’interesse di questa realizzazione risiede proprio nel fatto che una costruzione ingombrante, difficilmente mimetizzabile all’interno del tessuto urbano, è stata trasformata in un parco dove poter trascorrere il tempo libero. Il termovalorizzatore è diventato un luogo accogliente e non una presenza dalla quale tenersi lontani, quasi da temere.

Ritornando all’analogia iniziale tra rifiuti ed energia è chiaro che l’aspetto su cui ci si deve impegnare maggiormente è quello passivo, del contenimento dei consumi, sia nel produrre scarti che nell’uso delle macchine. Peraltro l’incentivo a una utilizzazione corretta e parsimoniosa sviluppa naturalmente una forte componente educativa, preziosa anche in tutti i comportamenti sociali.

di Mario Panizza