Giornata di preghiera nello Sri Lanka per le vittime degli attentati del 2019

Per non dimenticare

The head of the Roman Catholic church in Sri Lanka, Cardinal Malcolm Ranjith (C) blesses a memorial ...
26 aprile 2021

Chuti Du ha solo 5 anni ed è orfana. Nella strage di Pasqua del 21 aprile 2019, quando i terroristi attaccarono tre chiese e tre hotel di lusso, uccidendo almeno 258 persone, ha perso tutta la sua famiglia. Con lei altri 175 bambini hanno subito la stessa sorte, perdendo uno o entrambi i genitori. Le foto dei genitori di Chuti Du sono nel mosaico delle vittime ricordate nella “Cappella dei martiri”, benedetta il 21 aprile dalla Chiesa cattolica dello Sri Lanka nel cimitero di Negombo, laddove riposano le spoglie degli uccisi.

Nel secondo anniversario dei massacri, la comunità cattolica srilankese si è riunita in assemblea per commemorare le vite spezzate da quegli attentati, vivendo una speciale giornata di preghiera, veglia, riflessione, marcia silenziosa e richiesta di giustizia.

In tutto il Paese si sono tenute cerimonie di carattere civile, organizzate dalle istituzioni, accanto alle rievocazioni che le comunità religiose hanno predisposto in vari luoghi e modalità. L’intera nazione si è fermata per un silenzio denso di memoria e di dolore. La celebrazione dei cattolici è stata caratterizzata da speciale solennità: le campane delle chiese hanno suonato alle 8.45, l’orario della strage, le scuole cattoliche sono rimaste chiuse, mentre candele e lumini accesi nelle case, nei negozi e nelle strade ricordavano le vittime, ma anche quanti sono ancora in ospedale, sofferenti o invalidi, e vivono i traumi di quegli attacchi.

Tutti e 15 i vescovi cattolici si sono radunati, con sacerdoti, religiosi e fedeli a Negombo per inaugurare la nuova cappella dei martiri, costruita grazie alle offerte raccolte con la rete internazionale delle Pontificie opere missionarie (Pom). Dopo la toccante cerimonia, una marcia silenziosa si è snodata fino alla chiesa di San Sebastian, a Katuwapitiya, sempre a Negombo, una delle chiese danneggiate dagli attacchi. Qui si è celebrata, la messa solenne di commemorazione. «È stata una giornata in cui abbiamo nuovamente affidato il nostro popolo alla Provvidenza di Dio, per lenire il dolore e consolare i cuori afflitti. Ma, d’altro canto, è forte il nostro richiamo al governo di Colombo perché promuova autentica giustizia per i nostri martiri», riferisce a «L’Osservatore Romano» padre Padige Basil Rohan Fernando, sacerdote diocesano di Kurunegala e direttore nazionale delle Pom in Sri Lanka. Alla memoria delle vittime e alla solidarietà verso le loro famiglie, infatti, si affianca un necessario percorso di giustizia: «Come ha sottolineato il cardinale Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, arcivescovo di Colombo, è urgente fare piena luce sulle stragi e superare ogni ambiguità. Occorre sapere chi c’è dietro l’attacco, chi ha pianificato ed eseguito gli attentati, chi ha fiancheggiato gli organizzatori, se vi sono responsabilità e omissioni degli apparati di sicurezza statali. Sono interrogativi che lo Stato non può eludere». Ribadisce il sacerdote che «la giustizia è la base per la pace, la riconciliazione, per far pace con la memoria, per la prosperità e la convivenza pacifica».

L’allora presidente Maithripala Sirisena in un primo momento stigmatizzò gli estremisti islamici, successivamente indicò la rete internazionale dei trafficanti di droga che, a suo dire, avrebbe voluto colpire il suo impegno contro il traffico criminale. È noto che le autorità di polizia avevano ricevuto, prima del massacro, informazioni di intelligence che furono ignorate; questo elemento tuttora alimenta un acceso dibattito nell’opinione pubblica. Da allora i leader religiosi hanno più volte chiesto alle autorità politiche maggiore impegno per assicurare i colpevoli alla giustizia. Grace Deshapriya, laica cattolica, nota con disappunto che «l’inchiesta non è riuscita a rendere giustizia alle vittime e a individuare gli autori degli attentati». Finora nessuno è stato perseguito ufficialmente, anche l’indagine locale appurò il coinvolgimento di un gruppo armato. Per questo nei giorni scorsi il cardinale Ranjith Patabendige Don ha chiesto l’intervento di un tribunale internazionale per indagare in modo indipendente sugli attentati del 2019.

Delle tre chiese danneggiate due anni or sono, due erano cattoliche, la chiesa di San Sebastiano a Negombo e il santuario di Sant’Antonio a Kochchikade, a Colombo; un’altra era una chiesa evangelica di Sion, a Batticaloa, nella parte orientale del Paese. I due luoghi di culto cattolici sono stati riaperti ma necessitano di opere per completare la ristrutturazione. Soprattutto, però, prosegue l’opera di riabilitazione dei feriti e delle famiglie sconvolte e traumatizzate da lutto, dolore, dalla perdita di padri e madri, mariti e mogli che per molti ha significato sprofondare nell’indigenza. E se il termine “martiri”, utilizzato in Sri Lanka per definire le vittime, non ha il crisma del riconoscimento canonico della Chiesa, la vicenda di Ramesh Raju è esemplare: l’uomo ha impedito a un attentatore di entrare nella chiesa di Sion, colma di fedeli, sacrificando la sua vita per salvarne altre.

di Paolo Affatato