La settimana di Papa Francesco
Nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni il Papa ordinerà 9 nuovi sacerdoti per la diocesi di Roma

Come una consolazione
nella pandemia

SS. Francesco - Ordinazioni presbiterali 12-05-2019
22 aprile 2021

Quando una diocesi celebra l’ordinazione di nuovi presbiteri sta contemplando la generosità di Dio: è lui che la rende fertile e la fa sbocciare nei suoi frutti.

I nove sacerdoti novelli — che verranno ordinati da Papa Francesco domenica 25 aprile, nella basilica di San Pietro — vengono da tre diversi seminari della diocesi di Roma, e questo è un segno di quella ricchezza e di quella pluriformità che è la comunione della Chiesa.

Bisogna stare attenti, in questo senso, a ricordare le parole di Paolo ai Corinzi: «Né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere» (1 Cor 3,7). I percorsi personali e le strategie formative possono essere di varia forma, ma ciò che vale sempre e comunque di più, è vedere in filigrana l’opera di Dio in questi giovani uomini.

Vedere l’opera di Dio. Vedere «Dio, che fa crescere».

Percepire la Provvidenza. Scoprire che il Creato è il luogo della relazione con Dio, dove si sperimenta la sua paternità, dove si apprende l’arte di compiere la sua volontà nell’amore.

Tante sono le vocazioni, quanto sono molteplici le forme dell’amore del Padre per noi, Lui, che genera la vita nuova nei suoi figli e la guida perché divenga manifestazione della sua natura paterna.

Ma fra gli operai della sua messe, i presbiteri sono quelli che costruiscono direttamente la Chiesa e la confortano in modo tale che tutte le altre vocazioni ne siano sostenute, consolate, alimentate e corroborate.

L’inizio del ministero di questi sacerdoti avverrà in un contesto peculiare, quello di un mondo sofferente, ossia nell’epoca di un morbo che sta vessando l’umanità. Speriamo che questa tribolazione stia volgendo al termine, ma questo pensiero è anche un po’ egocentrico: forse per noi nord-occidentali si inizia a vedere una qualche soluzione, ma in molte parti del mondo le cose sono nel pieno del dramma. Questo fatto, i nostri giovani sacerdoti, non potranno mai dimenticarlo: dovranno essere ordinati con le mascherine, celebreranno le loro prime messe con il distanziamento sociale, non potranno festeggiare la loro ordinazione se non in modo assai sobrio e cauto.

È una situazione infelice? Siamo sicuri?

Un medico ospedaliero bergamasco, nell’aprile 2020, mentre fra un turno massacrante e un altro tirava il fiato, stremato dalla stanchezza, oppresso dalla tristezza e dalla cappa che tutte quelle morti a cui doveva assistere gli avevano messo nel cuore, vide un altro medico sedersi accanto a lui su quella panca dove riposare un momento, e dirgli: «Ma la sai una cosa? Non vorrei essere in nessun altro posto che questo!». E quel medico ritrovò la luce e il senso di quel momento.

Spiegare il dolore non è facile, spesso impossibile. Cristo stesso sulla croce ha chiesto il perché al Padre. Ma rispondere al dolore con l’amore è la cosa più bella che si possa fare. Quella che ha fatto Cristo e che ci ha redenti.

Non c’è momento migliore di questo per iniziare il ministero: rispondendo alla tribolazione con la gratitudine che nasce dalla memoria di tanta Grazia, e con il servizio e l’amore che sgorgano da questa gratitudine.

Per questo bisogna gioire per le nove ordinazioni sacerdotali del 25 aprile 2021 — in tempo di pandemia, del dolore e della crisi economica conseguente — come di un frutto che fiorisce nel deserto e dice: il Padre non ci abbandona e renderà feconda tutta questa storia.

Bisogna pregare per questi nove ragazzi, che vengono chiamati alla paternità nella fede e a essere sorgenti di Grazia per poter servire nell’amore le comunità cui saranno inviati.

E non è un caso che inizino il loro servizio nell’anno di san Giuseppe, chiamati, come sono, a una paternità verginale, quella generosa capacità di generare alla vita nello Spirito, che non è centrata sul ricevere ma nell’atto adulto di dare, e che il Santo Padre ha evocato nella Patris corde al n. 7: «La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera».

Insomma: questi nove presbiteri arrivano come una consolazione nella pandemia, per accudire castamente la vita del popolo di Dio, esattamente come fece san Giuseppe con Gesù, per accogliere e nutrire i fratelli, e manifestare la potenza dello Spirito Santo, che fa della tribolazione un luogo di amore, e del povero cuore umano un cuore di figlio di Dio, generoso come è generoso il Padre.

di Fabio Rosini
Direttore del Servizio per le vocazioni della diocesi di Roma