«La democrazia contagiata» di Ilaria Sotis

I due scogli

 I due scogli  QUO-088
19 aprile 2021

Vulnerabilità e coraggio: sono i due termini che configurano l’asse portante sul quale è stata vissuto, e si sta vivendo, il dramma della pandemia. Essa ha evidenziato le falle di un sistema sociale ed economico minato, da tempo, da crepe profonde; al contempo, ha esaltato l’intrepida determinazione anzitutto di medici e infermieri, impegnati in prima linea nella strenua lotta a salvare vite umane. Ogni persona si è trovata a oscillare tra questi due termini. Da un lato, la consapevolezza della propria fragilità di fronte a un fenomeno inclemente, dall’altro, l’urgenza di reagire facendo appello a un’indomita forza interiore.

Su questo scenario pone l’accento la giornalista Ilaria Sotis nel libro La democrazia contagiata. Come Sars-CoV2 riguarda tutti i cittadini (Formigine, Infinito edizioni, 2021, pagine 108, euro 13). Si tratta di una riflessione — con due interviste, a Marina Vanzetta, operatrice del 118 di Verona, e a Guido Silvestri, direttore del dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio alla Emory University di Atlanta, negli Stati Uniti — diretta a scavare nei cunicoli di una realtà per certi versi inedita, per altri versi quella di sempre, con questioni che anzitutto interpellano la responsabilità delle istituzioni e delle autorità competenti, chiamate a compiere scelte oculate in un contesto che non ammette miopie ed egoismi.

«Con il covid-19 — scrive l’autrice — le domande sulla sopravvivenza quotidiana si sono sovrapposte a quelle, immense, che riguardano il rapporto che ciascun cittadino ha con l’idea di democrazia».

In questa temperie si è venuta a configurare quella che la Sotis chiama l’allegoria dei due scogli, quello del virus e quello della catastrofe sociale. Secondo la giornalista, «sul versante del virus ci siamo incartati in una narrativa di worst case scenarios epidemiologici spesso con seri problemi epidemiologici». Una narrativa alimentata, con effetti nocivi, dal «catastrofismo mediatico», cadenzato da notizie esagerate. A tale dimensione, fa da pendant la narrativa «cialtrona-negazionista» per cui il virus non esiste. Questi due estremi non possono non acuire il rischio di un catastrofismo sociale, di cui fanno le spese anzitutto le brave persone e gli onesti lavoratori.

Nella prefazione, il drammaturgo Moni Ovadia denuncia «il fenomeno pandemico secondario», quello della infodemia, ovvero la pandemia dell’informazione mediatica mainstream, in particolare quella televisiva che, «con rarissime eccezioni», si è scatenata in «una ridda di talk-show e pseudo servizi giornalistici inutili, in un chiacchiericcio rissoso e in pareri indifferenziati di virologi ed epidemiologi al servizio dell’audience». Dal canto suo, nella postfazione, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, rimarca come in questo anno «sia cambiato tutto». Dalla solidarietà e dai canti dai balconi, dagli elogi ai «nostri eroi in camici bianchi», dalle file ordinate davanti ai supermercati, si è passati a «una stagione di ostilità, egoismo, odio verso i medici, rivendicazioni settoriali e piagnistei diffusi». Si registra poi il fatto che alcuni uomini e donne di scienza «si comportano alla stregua di influencer alla ricerca di consenso».

Il merito principale del libro di Ilaria Sotis sta dunque nel richiamare l’ineludibile esigenza di riportare sui giusti binari la gestione — che interpella il senso civico di tutti, nessuno escluso — delle pesanti implicazioni e delle insidiose ramificazioni derivanti dal dramma della pandemia. Un dramma che da tanti, troppi mesi è ritmato dalle sirene delle ambulanze e dalle campane a lutto.

di Gabriele Nicolò