· Città del Vaticano ·

Trentacinque anni fa la storica visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma

L’inizio di un altro cammino

 L’inizio di un altro cammino  QUO-083
13 aprile 2021

La fine di ogni pregiudizio: così il rabbino Elio Toaff era solito ricordare la visita di Giovanni Paolo ii alla sinagoga di Roma, il 13 aprile 1986, sottolineando uno degli aspetti, tra i molti, che avevano reso quella visita un evento nella storia del ventesimo secolo; la visita di Papa Wojtyła era la prima di un vescovo di Roma alla sinagoga di Roma e quindi era di per sé una straordinaria novità, segnando un prima e un dopo nei rapporti tra cristiani ed ebrei. Fin dal suo realizzarsi, quando l’accoglienza riservata al Pontefice mostrò al mondo una sintonia spirituale, che sorprese anche lo stesso Toaff, la visita assunse una valenza che andava ben oltre le parole pronunciate in quell’occasione dal Papa, indicando la direzione verso la quale doveva proseguire il dialogo tra cattolici ed ebrei in modo da fare «spazio al riconoscimento sempre più pieno di quel vincolo e di quel comune patrimonio spirituale» che caratterizzava il dialogo.

Nel rileggere il discorso del Pontefice si coglie come per Giovanni Paolo ii questa visita doveva essere l’inizio di una nuova stagione del dialogo tra la Chiesa cattolica e gli ebrei, che, pur tenendo conto delle pesantezze della memoria storica e delle difficoltà di ordine pratico del presente, doveva rimuovere la «mutua incomprensione» che per secoli aveva soffocato questo dialogo: cristiani ed ebrei erano chiamati a individuare dei temi che consentissero loro di essere sempre più efficaci testimoni della «fede in un solo Dio che “ama gli stranieri” e “rende giustizia all’orfano e alla vedova” (cfr. Deuteronomio, 10, 18), impegnando anche noi ad amarli e a soccorrerli».

L’annuncio della visita, alla quale in tanti, per molto tempo, avevano lavorato, superando ostacoli che sembravano insormontabili, fu, per certi versi, una sorpresa, nonostante i passi che erano stati compiuti, anche a livello personale, tra Giovanni Paolo ii e Toaff, rabbino capo della comunità israelitica, così da creare un rapporto di stima reciproca che venne trasformandosi nel corso degli anni in un’amicizia spirituale così profonda che Wojtyła volle ricordare il «rabbino di Roma» nel suo testamento. La visita di Giovanni Paolo ii fece compiere un salto di qualità al ripensamento dei rapporti della Chiesa cattolica con il popolo ebraico; questo ripensamento aveva vissuto un passaggio particolarmente significativo nella celebrazione del concilio Vaticano ii quando la Chiesa si era interrogata sul rapporto con gli ebrei, ponendo una particolare attenzione alle drammatiche vicende del xx secolo; al concilio, in un dibattito che si era sviluppato anche fuori dalla basilica di San Pietro, si erano affrontate le tante questioni che avevano segnato la vita delle comunità cristiane fin dalle origini proprio in relazione al patrimonio liturgico e biblico del popolo ebraico, sulla linea di quanto — in diversi luoghi del mondo, in ambienti minoritari spesso legati a figure carismatiche — avevano iniziato a fare fin dall’inizio del ventesimo secolo.

Al Vaticano ii non si era giunti alla redazione di un documento esclusivamente dedicato al popolo ebraico, come era stato auspicato e chiesto da molti, mentre altri ne avevano avversato la sola idea, tanto più quando si era detto che il ripensamento dei rapporti con il popolo ebraico costituiva un elemento centrale nella riformulazione della partecipazione della Chiesa cattolica al cammino ecumenico. Per questo per alcuni la stessa promulgazione della dichiarazione Nostra aetate, con un numero sugli ebrei, non poteva essere considerata sufficiente tanto che non mancarono le critiche al documento che poneva gli ebrei all’interno di una riflessione sulle altre religioni, tradendo, per certi versi, la ricchezza del dibattito che aveva segnato il Vaticano ii . A questa ricchezza volle rifarsi Paolo vi , come ha messo recentemente in luce una giovane studiosa veneziana, Francesca Dalla Torre, mostrando come Papa Montini ponesse tra le sue priorità lo sviluppo del dialogo ebraico-cristiano, andando oltre l’amicizia non solo per rafforzare il cammino ecumenico ma anche la stessa stagione di rinnovamento aperta dalla celebrazione del Vaticano ii e sostenuta dalla recezione del concilio. In tale prospettiva va letta la decisione di Paolo vi di istituire la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, il 22 ottobre 1974, collegata all’allora Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, pur distinta da esso.

Fin dalle prime settimane del suo pontificato, in continuità con quanto indicato da Paolo vi , Giovanni Paolo ii aveva approfondito e sviluppato la dimensione del rapporto con il popolo ebraico, richiamandosi a quanto discusso al Vaticano ii , con una lettura di Nostra aetate che, partendo dal testo, teneva conto dello spirito con il quale il punto numero 4, quello dedicato alla religione ebraica, era stato pensato; si trattava di promuovere una riscoperta del patrimonio ebraico per la riflessione teologica e per la testimonianza quotidiana della Chiesa cattolica in una prospettiva che doveva affrontare anche il nodo della Shoah e della lotta a ogni forma di antisemitismo, rilanciando la conoscenza della pluralità delle tradizioni ebraiche, come fonte privilegiata nell’ascolto della Parola di Dio, sulla quale radicare la ricerca dell’unità visibile dei cristiani. Le parole di Karol Wojtyła, fin dai primi anni del pontificato (dalle udienze romane agli incontri con le comunità ebraiche nei numerosi viaggi apostolici, fino al pellegrinaggio in Terra Santa nel grande Giubileo del 2000), hanno definito e rafforzato una strada di dialogo che, pur dovendosi confrontare con questioni contingenti talvolta legate al passato di silenzio e di intolleranza, è sfociata nella fecondità della visita del 13 aprile 1986, evocata sia da Benedetto xvi sia da Francesco anche nelle loro visite alla sinagoga di Roma rispettivamente il 17 gennaio 2010 e il 17 gennaio 2016. La data scelta da entrambi i pontefici per compiere un gesto con il quale manifestare accoglienza e amicizia, in uno spirito di fratellanza, richiama uno dei frutti della visita compiuta da Giovanni Paolo ii ; infatti, proprio alla luce di quello storico evento, nel settembre 1989 la Conferenza episcopale italiana decise di istituire una Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, da tenersi ogni anno il 17 gennaio, alla vigilia della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, in modo da rilanciare un’azione condivisa «nella difesa dei diritti umani, nella sottolineatura della libertà religiosa, nell’impegno comune contro le discriminazioni, il razzismo e l’antisemitismo […] per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato», come scrisse monsignor Alberto Ablondi, vescovo di Livorno, che tanto si era speso per questa Giornata, con la quale vivere nella quotidianità le parole di Giovanni Paolo ii del 13 aprile 1986: ringraziare il Signore «per la ritrovata fratellanza e per la nuova più profonda intesa tra di noi qui a Roma, e tra la Chiesa e l’Ebraismo dappertutto, in ogni Paese, a beneficio di tutti».

di Riccardo Burigana