In Medio Oriente
A colloquio con il vicario apostolico di Arabia del Sud

Edificando la fratellanza

Monsignor Hinder con Papa Francesco nella cattedrale di Abu Dhabi (5 febbraio 2019)
17 marzo 2021

In questo passaggio della storia il cristianesimo si sta mostrando generosamente impegnato a sostenere, accompagnare e incoraggiare milioni di uomini e donne religiosi, a qualunque popolo appartengano, che vogliono costruire fratellanza, edificare pace e restare saldi nella fede fronteggiando quella corruzione dell’esperienza religiosa costituita dall’esercizio della violenza in nome di Dio. Allo stesso tempo il cristianesimo si sta mostrando generosamente impegnato nell’elaborare la critica della violenza anti-religione, aiutando, accompagnando e incoraggiando milioni di uomini e donne che in tutto il mondo vogliono fronteggiare gli idoli e restare — fieramente e ostinatamente — umani. Espressione di questo impegno è il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e da Ahmad Al-Tayyeb, grande imam di Al-Azhar, il 4 febbraio 2019 in occasione del viaggio apostolico del Pontefice negli Emirati Arabi Uniti. A due anni da quella storica firma, dialoga con «L’Osservatore Romano» il vescovo elvetico Paul Hinder: 79 anni, appartenente all’Ordine dei frati minori cappuccini e dal 2004 presente ad Abu Dhabi, prima come ausiliare e poi come vicario apostolico dell’Arabia dal 2005. Dal 2011 è vicario apostolico di Arabia del Sud (comprendente Emirati Arabi Uniti, Yemen, Oman) e — dallo scorso anno, dopo la scomparsa del vicario, monsignor Camillo Ballin — amministratore apostolico del vicariato di Arabia del Nord (comprendente Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Bahrain). In questi sette Paesi, dove sorgono diciassette chiese e prestano servizio circa centoventi sacerdoti, i cattolici, tutti stranieri, si stima siano circa due milioni e mezzo. Impegnati soprattutto in alcuni settori (edilizia, scuola, servizi e lavoro domestico), provengono da oltre cento Paesi: in prevalenza Filippine, India e altri Stati asiatici. Vi è anche un numero consistente di fedeli di lingua araba (in maggioranza giunti da Libano, Siria, Giordania).

Dopo la pubblicazione del Documento sulla fratellanza umana quali iniziative ha promosso per farlo conoscere?

Ho invitato i sacerdoti a illustrarne i contenuti sia durante le omelie sia in occasione di riunioni con i parrocchiani. Ho raccomandato ai presidi e ai rappresentanti delle nostre scuole (frequentate anche da ragazzi musulmani) di far studiare il Documento: oggi fa parte del piano di studi di tutti i nostri istituti. Questo testo non è stato redatto per finire in libreria a prendere polvere: deve prendere vita.

A suo giudizio, il Documento ha significativamente contribuito a migliorare la qualità dei rapporti tra cristiani e musulmani nei due vicariati?

Direi complessivamente di sì: sono stati compiuti passi promettenti. Il clima è migliorato e ciò è dovuto, a mio parere, sia alla pubblicazione e diffusione dello storico Documento sia alla visita di Papa Francesco: i nostri fedeli si sono sentiti benedetti, sostenuti e incoraggiati dalla sua presenza mentre i musulmani sono stati positivamente impressionati dallo stile del Pontefice, dal suo linguaggio franco e dalla sua semplicità nell’avvicinarsi al prossimo senza pregiudizi. Naturalmente questi miglioramenti variano a seconda dei Paesi, che sono assai diversi fra loro sebbene siano accomunati dalla medesima religione. Anche in Arabia Saudita, dove pure non esiste alcuna chiesa, le piccole comunità cristiane, che debbono rispettare numerose regole e mantengono un profilo basso, vivono meglio rispetto al passato. Nel mondo arabo i cambiamenti avvengono lentamente. Il “tutto e subito” non appartiene a questa cultura: occorre lavorare con tenacia e avere pazienza.

Il testo sulla fratellanza umana ha stimolato la promozione di alcune particolari iniziative?

Sì. Segnalo tre esempi: nel dicembre 2019, per la prima volta sono stato invitato a prestare assistenza in un penitenziario di Abu Dhabi; accompagnato da alcuni sacerdoti, ho potuto parlare con i detenuti e celebrare la messa poco prima di Natale. Sempre nel 2019 i musulmani hanno accolto con slancio la nostra disponibilità a ospitare sul sagrato della chiesa di Abu Dhabi la celebrazione della loro festa per la fine del Ramadan: in passato non sarebbe mai avvenuto. Sono segnali incoraggianti che raccontano la volontà di avvicinarsi gli uni agli altri. Inoltre ad Abu Dhabi proseguono i lavori per la “casa abramitica”, un luogo di incontro e di testimonianza delle tre religioni monoteiste nel quale sorgeranno una chiesa, una moschea e una sinagoga: dovrebbe essere tutto pronto l’anno prossimo. Purtroppo l’arrivo della pandemia all’inizio del 2020 ha impedito l’avvio di altre interessanti iniziative ma continuo a mantenere contatti con le autorità musulmane dei diversi Paesi: ci incontriamo via web regolarmente. Reputo il dialogo tra le religioni uno dei fattori decisivi per lo sviluppo del mondo. Quello con l’islam è indispensabile, una via obbligata.

Quali difficoltà in particolare stanno affrontando in questo periodo le comunità cattoliche dei vicariati?

Anche in questa area del mondo la pandemia ha danneggiato l’economia e, di conseguenza, la vita dei nostri lavoratori, che in molti casi hanno deciso di fare ritorno nei loro paesi di origine. I luoghi di culto sono stati chiusi a lungo e solo di recente è stato possibile riaprirli nel rispetto delle norme di sicurezza. La chiesa di Dubai, a esempio, può rimanere aperta solo per mezz’ora due volte al giorno. Nelle nostre comunità si resta in contatto perché tutti, fortunatamente, sono abituati all’uso degli strumenti elettronici. Ma certo, quando la situazione migliorerà, noi sacerdoti dovremo impegnarci per aiutare i fedeli a riprendere la consueta vita comunitaria. Intanto si stanno completando i lavori di costruzione di una nuova chiesa in Bahrain, la seconda del Paese, e di una chiesa, la nona, negli Emirati Arabi Uniti: è una buona notizia.

La Chiesa dei due vicariati cosa porta in dono alla Chiesa tutta?

Anzitutto la dimensione dell’universalità. La nostra Chiesa è realmente universale poiché comprende persone provenienti da moltissimi Paesi che vivono insieme aprendosi le une alle altre. Le nostre sono comunità che hanno imparato ad accogliere le diverse espressioni culturali presenti e a comporle in unità vincendo per quanto possibile la tentazione di creare gruppi soltanto sulla base della lingua o della cultura d’origine. Questa universalità si riflette anche negli eventi parrocchiali che fanno sperimentare ai fedeli l’appartenenza a un’unica famiglia. Il secondo dono nasce dalla nostra condizione: siamo una Chiesa costituita esclusivamente da migranti. Si vive nella costante insicurezza, nella provvisorietà sia per quanto riguarda il lavoro, che può essere perso in ogni momento, sia per quanto riguarda il permesso di residenza, che viene concesso al massimo per pochi anni. Siamo e restiamo tutti migranti, non cittadini. Questa esperienza è faticosa ma — ed è il secondo dono — ci aiuta ad avere una consapevolezza più profonda e viva del fatto che il credente è un pellegrino di passaggio sulla terra: la sua meta, la sua patria è il Cielo.

I fedeli musulmani della regione come hanno accolto la riflessione sulla fratellanza umana di Papa Francesco e del grande imam Al-Tayyeb?

Mi pare l’abbiano ben accolta. Le autorità con le quali sono in contatto, sinceramente interessate a coltivare relazioni fraterne, si impegnano a coinvolgere la popolazione nel cammino di edificazione della fratellanza. Il Documento è stato giudicato positivamente non solo in questa regione ma in moltissimi paesi. Il problema è la sua applicazione: penso, a esempio, a come — in tutto il mondo — vengono trattati i migranti, ai quali spesso non sono riconosciuti i diritti fondamentali. La fratellanza è un ideale che non può limitarsi a rimanere sulla carta: deve tradursi in pratiche concrete. Nei Paesi che compongono i due vicariati, come dicevo, non mancano segnali incoraggianti. L’Occidente, che in tema di fratellanza non è certo impeccabile, giudica questi passi avanti simbolici e irrilevanti mentre in realtà, considerando le peculiarità delle società arabe, sono determinanti e sminuirli è un grossolano errore.

di Cristina Uguccioni