La cultura popolare italiana al Teatro nazionale della capitale

Portatori di bellezza

 Portatori di bellezza  QUO-059
12 marzo 2021

Vedere le immagini del Papa in Iraq mi ha profondamente commosso. Il suo straordinario messaggio di pace mi ha riportato a quel lontano ottobre del 2012 quando con l’Orchestra Popolare italiana e altri artisti facemmo un avventuroso giro di concerti in quella terra martoriata: una speciale missione culturale che ci condusse a Bagh-dad e nei territori curdi di Sulaymaniyya e di Erbil. Un importante evento di “distensione” politica tanto che per l’occasione fu riaperto il Teatro nazionale di Baghdad, chiuso da lungo tempo.

Portavamo in scena l’Italia, non quella dei soldati ma quella degli artisti fabbricanti di bellezza che dovunque nel mondo sono accolti con grande gioia. Con la nostra carovana di suv blindati, scortata da milizie armate e sirene stridenti, lungo il tragitto che ci conduceva al teatro incontrammo continui check-point, larghi viali deserti, palazzi governativi e alberghi vuoti, mentre il sole ricopriva di una luce rosata e oro i ponti sul grande fiume. La tensione attorno a noi era molto alta. Allestito lo spettacolo con mezzi di fortuna, grazie alla gentilezza dei tecnici locali con i quali ci intendevamo a gesti, ci preparammo nei camerini per rivedere le parti dello spettacolo insieme ai tanti musicisti locali che eravamo riusciti a coinvolgere. Quando il sipario si alzò ci trovammo di fronte uno scenario impressionante: oltre mille e cinquecento persone stipate in ogni angolo del teatro, una cinquantina di emittenti televisive collegate, compresa Al Jazeera international e la diretta di Iraqya Media Network. E questo perché quella sera andava in scena l’arte italiana.

Nessuno fra gli organizzatori dei ministeri degli Esteri italiano e della Cultura iracheno si aspettava questo calore di folla, di entusiasmo. E in quella sera indimenticabile, là dove sembrava dominare solo la guerra e i suoi spettri, mentre il teatro in religioso silenzio ascoltava la voce di Davide Rondoni che leggeva la preghiera alla Vergine di Dante o il ritmo vertiginoso della nostra pizzica, ci apparve il segno chiaro della nostra vocazione nel mondo: essere portatori di bellezza e costruttori di pace.

Mai come in quella notte segnata dal calore indimenticabile di quei volti del pubblico, che al termine dello spettacolo ci regalò momenti di grande commozione, ci rendemmo conto che con la musica possiamo costruire, sempre e dovunque, momenti di gioia e di speranza. E che con la forza dal nostro “esercito”, che si muove controvento ed è composto da tanti e variegati soldati di ventura, possiamo contribuire a ricostruire il valore dell’incontro fra i popoli e a fabbricare quei segni di armonia che aiutano a generare parole e suoni utili a unire i cuori e a far nascere dovunque il desiderio di un mondo più giusto.

di Ambrogio Sparagna