Atlante - Cronache di un mondo globalizzato

Fukushima dieci anni dopo

A protester holds a placard during an anti-nuclear rally in front of the headquarters of Tokyo ...
12 marzo 2021

Sono passati 10 anni dal devastante terremoto di magnitudo 9 sulla scala Richter (che ne conta 10) nella regione nordorientale giapponese di Tohoku, sull’isola di Honshū, e del successivo, gigantesco maremoto con onde alte fino a 15 metri. Un doppio disastro senza precedenti, che ha provocato oltre 22.000 tra morti o dispersi e il peggiore incidente nucleare del mondo dai tempi di Černobyl' (Ucraina, aprile del 1986), quello nella centrale di Fukushima Dai-ichi, con la conseguente propagazione delle radiazioni.

Una sciagura che non deve essere dimenticata e che ha ancora oggi terribili effetti. Non solo sulle popolazioni colpite, ma anche sull’ambiente.

Al momento del terremoto, i reattori della centrale nucleare si spensero automaticamente, attraverso una apposita procedura attivata dal sistema di sicurezza per l’allarme sismico. Le onde che si abbatterono sull’impianto, alcune decine di minuti dopo il sisma, distrussero i gruppi di generazione diesel-elettrici di emergenza, che alimentavano i sistemi di raffreddamento dei reattori 1, 2 e 3.

I reattori, pur avendo cessato la reazione nucleare sostenuta, avrebbero comunque richiesto la continuazione del raffreddamento per dissipare il calore generato dalle reazioni nucleari residue. L’interruzione dei sistemi di raffreddamento e di ogni fonte di alimentazione elettrica, nelle ore seguenti, causò la perdita di controllo di tre reattori che erano attivi al momento del terremoto.

Successivamente, vi furono quattro distinte esplosioni, causate da fughe di idrogeno, alcune delle quali distrussero le strutture superiori degli edifici di due reattori nucleari.

Un dramma che farà sentire le sue conseguenze per almeno quattro decenni. Tanto, infatti, è il tempo necessario per decommissionare la centrale nucleare e decontaminare il terreno dai radioisotopi fuoriusciti dai tre reattori. Il costo dell’intera operazione è calcolato in 202 miliardi di dollari, ma altre stime elevano la cifra sino a 785 miliardi di dollari.

L’incidente di Fukushima, che assieme a quello di Černobyl’ è l’unico catalogato a livello 7 (il più alto: incidente catastrofico) della scala Ines, l’International Nuclear and radiological Event Scale, ha costretto oltre centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le proprie abitazioni e contaminato più di 3.000 chilometri quadrati di terreni, molti dei quali agricoli. Un disastro che ha messo in ginocchio l’economia della regione, basata in particolare su agricoltura e pesca.

Oggi, a distanza di dieci anni, sono ancora 29.000 le persone che non possono rientrare nelle loro case, mentre la produzione agricola e l’industria ittica della prefettura di Fukushima sono al centro di aspre polemiche legate alla scarsa sicurezza degli standard alimentari. A poche ore dal terremoto e dal successivo maremoto, che ha devastato l’intera costa per più di cento chilometri, penetrando fino a dieci all’interno e ricoprendo d’acqua salata un’area di oltre cinquecento chilometri quadrati, ben 17.000 ettari di terreni agricoli vennero abbandonati.

Da allora, il Governo giapponese ha speso circa 250 miliardi di euro (32.1 trilioni di yen) per ricostruire la regione di Tohoku devastata dallo tsunami, ma le aree intorno all’impianto di Fukushima — uno dei più grandi al mondo — rimangono tuttora non accessibili, le preoccupazioni per i livelli di radiazioni persistono e molti degli sfollati si sono stabiliti altrove.

Circa sei anni dopo il sisma, faticosamente, alcune popolazioni locali hanno cercato di rimettersi in piedi e di fare ripartire anche l’agricoltura del posto, basata essenzialmente sulla produzione di riso, sebbene ad un prezzo di mercato inferiore. Riso che rappresenta circa il 40 per cento di tutte le vendite dei prodotti agricoli della regione.

Ad oggi, appena il 32 per cento di quei territori lasciati incolti è però tornato ad essere produttivo in 12 municipalità colpite dalla doppia tragedia.

Analogo discorso per i prodotti ittici, con la pesca che è ripartita gradualmente a poco più di un anno dalla catastrofe. In aree limitate, sfiora attualmente appena il 20 per cento del fatturato generato prima del 2011. Risultati che verranno ulteriormente penalizzati da un eventuale riversamento nell’oceano dell’acqua contaminata necessaria a raffreddare i reattori della devastata centrale nucleare, accumulata ormai a livelli insostenibili nelle cisterne all’interno del sito, e per la quale il Governo di Tokyo deve trovare una soluzione entro l’estate.

di Francesco Citterich