Il vescovo di Pyay sui cristiani e la crisi in Myanmar

Preghiere e marce silenziose per una soluzione pacifica

 Preghiere e marce silenziose per una soluzione pacifica  QUO-047
26 febbraio 2021

«La protesta dei cristiani sarà sempre non violenta, promotrice di democrazia, di pace e riconciliazione. Il nostro Paese oggi più che mai ha bisogno di un processo di guarigione interiore e esteriore. Noi continuiamo a sperare e pregare perché si avvii un dialogo, perché prevalgano la giustizie e il bene della nostra amata nazione». Così Alexander Pyone Cho, 71enne vescovo di Pyay, racconta in un colloquio con «L’Osservatore Romano» come la comunità dei battezzati in Myanmar (circa 680 mila cattolici su 54 milioni di abitanti) stia popolando le strade a fianco dei milioni di cittadini birmani scesi in piazza per contestare la leadership militare che ha preso il potere con un colpo di Stato il 1° febbraio. L’impegno sociale e civile dei credenti non è estraneo e non si può separare dall’afflato spirituale che si fa più vivo nel tempo di preparazione alla Pasqua: «Viviamo il tempo di Quaresima, che — spiega il vescovo — invita ogni cristiano a usare le armi della preghiera, del digiuno e della carità: questa è la strada che seguiremo, questa è la strada che ci indica il Cristo crocifisso, che ha sofferto e ha chiesto al Padre di perdonare i suoi persecutori. Le nostre comunità cattoliche in Myanmar, che fanno poco più dell’uno per cento della popolazione, stanno pregando in ogni chiesa con il Rosario e l’Adorazione eucaristica chiedendo a Dio una soluzione pacifica per la crisi che attraversa il paese».

Monsignor Pyone Cho guida una diocesi suffraganea di Yangon, che comprende anche il tormentato Stato birmano occidentale di Rakhine. Guardando con apprensione la protesta che agita la nazione, rileva: «Non sappiamo come si evolverà questa delicata situazione di tensione sociale e politica. La gente sta esprimendo aperto dissenso, in forma pacifica, rigettando la leadership militare e chiedendo democrazia. Ci sono manifestazioni ovunque e si nota un’amplissima partecipazione popolare. D’altro canto i militari non vogliono cedere il potere acquisito e non sembra abbiano intenzione di fare concessioni. I cortei si sono allargati a tutto il territorio e, per l’intervento dei militari, si sono registrate alcune vittime nonché l’arresto di oltre 600 attivisti. Siamo in una fase di stallo, mentre il dissenso della gente si è coagulato in un vasto movimento di disobbedienza civile che ha visto funzionari e lavoratori dei servizi pubblici abbandonare il luogo di lavoro. I giovani credono e desiderano un futuro di libertà, giustizia e democrazia e non accettano chi ha preso il potere con la forza».

La piccola comunità cattolica birmana, spiega il vescovo di Pyay, vive questo periodo con empatia e coinvolgimento: «In questo delicato passaggio della storia nazionale, come vescovi, abbiamo guardato con apprensione e partecipazione emotiva la sofferenza della gente e le vittime della violenza. Abbiamo espresso in un messaggio comune un anelito di pace e di speranza. La Chiesa non poteva restare indifferente: e così centinaia di preti, religiosi, suore e laici sono scesi in strada nel silenzio, con la preghiera, manifestando il profondo desiderio di pace, di riconciliazione, di rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto».

Un Paese polarizzato, in cui il popolo è contro gli attuali governanti, è, come ritengono gli osservatori, ad alto rischio di conflittualità e repressione generalizzata da parte dei militari. «Noi speriamo e preghiamo perché la protesta continui con lo stile della non violenza evangelica, fatta di fermezza contro ogni ingiustizia e violenza, ma anche caratterizzata da forza spirituale, mitezza e perdono verso i persecutori. Questa è la specificità cristiana. In questo modo oggi desideriamo ardentemente confortare la nostra gente, parlare alla coscienza di tutti, e dare il nostro contributo per far sì che la nostra patria abbia un futuro luminoso». Ricorda volentieri, il vescovo, la protesta non violenta che nel 1986 portò alla destituzione del dittatore Ferdinando Marcos nelle vicine Filippine: «Quella rivoluzione si compì grazie a una marcia silenziosa e gioiosa, fatta di canti spirituali e orazioni: la preghiera del Rosario vinse ogni resistenza e convertì i cuori dei soldati che allora deposero le armi». Oggi come allora si promuove un esito pacifico delle manifestazioni popolari: è questo il senso dell’accorato messaggio comune che tutti i presuli delle sedici diocesi birmane hanno rivolto ai governanti al potere, condividendo il punto di vista dei leader buddisti, in un Paese che segue prevalentemente la via di Bhudda: «Come Pastori abbiamo chiesto, in una domanda condivisa con i capi buddisti e con gli altri leader religiosi, che si apra un tavolo di discussione: riprendere la via del dialogo è urgente per il bene e per la prosperità del paese». Ricorda monsignor Pyone Cho che in passato, nell’ondata di protesta che caratterizzò il Myanmar nel 2007, i monaci buddisti scesero in strada sostenendo la democrazia e oggi, anche se più prudenti, potranno dare il loro prezioso contributo al futuro della nazione. Tuttavia una è la richiesta condivisa che accomuna tutti, secondo il presule: «Il ricorso alla violenza deve cessare. Sappiamo che la violenza non vince mai. Settant’anni dopo l’indipendenza, i governanti devono investire nella pace, che è l’unica strada percorribile per dare una speranza alla nazione».

In questa fase delicata e incerta, i leader religiosi, tra i quali i vescovi cattolici, hanno rivolto, in particolare, un forte appello all’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean), ente regionale impegnato per la pace, la stabilità e la prosperità. La Carta costitutiva dell’Asean, si ricorda, «impegna i suoi membri a favore della democrazia e dei diritti umani, dello stato di diritto e del buon governo». Allora, conclude il vescovo, «è il momento di intensificare il servizio al popolo del Myanmar, per riportare gli attori in campo a colloqui di pace che possano offrire una soluzione plausibile, giusta e pacifica alla crisi».

di Paolo Affatato