STORIE DI PERIFERIA
I campioni di Dracu

Palla al centro
Si riparte…

Foto di Marcelo Pascual
25 febbraio 2021

Si agita come se lo avessero legato ad un letto di contenzione. Vorrebbe alzarsi in piedi, correre lungo i bordi del campo di gioco per seguire il va e vieni dei suoi ragazzi. Ma non può. La sedia a rotelle pesa come il piombo e lo inchioda a quaranta centimetri da terra. Ma anche così l’imbracatura di metallo non basta a trattenerlo. Le braccia muscolose fanno forza sulle ruote e la sedia a rotelle si muove. Anzi, corre. Dracu grida al terzino che non deve avanzare, al portiere di non retrocedere troppo tra i pali. Intanto guarda l’azione che si sviluppa nell’altra metà del campo, dove neppure il suo vocione forte può arrivare.

La sedia a rotelle che lo immobilizza concentra il peso della sua storia. Da capobanda a direttore tecnico di una squadra di calcio, da boss di una pandilla, a leader di un club sportivo con centinaia di iscritti. Questo in estrema sintesi il percorso di Diego Javier Carrizo, detto Dracu da amici e nemici.

Il perché di questo nomignolo che evoca scenari tenebrosi in Transilvania non lo sa nemmeno lui, guida indiscussa dei giovani calciatori ed aspiranti tali di Villa La Carcova, una popolosa baraccopoli ad una trentina di chilometri da Buenos Aires. Magari ci fosse stato qualcosa del genere quando era un bambino, se la passava in strada e bazzicava in cose poco pulite. Non sarebbe finito nel mezzo di una sparatoria che lo ha lasciato a terra con nove proiettili in corpo e le gambe inerti come un cencio.

Dracu non si rassegna a rimanere troppo distante dalla linea di centrocampo, dove i suoi ragazzi adesso si muovono con la palla al piede preparando l’affondo oltre la linea di difesa avversaria. La sedia a rotelle sembra lievitare, sobbalza sul pietrisco e acquista velocità. La voce insegue Cariló che scarta sulla destra e punta diritto alla porta…

La disgrazia capitò un giorno di novembre del 2001, Dracu aveva 19 anni, un figlio di due a carico, molta droga nel corpo, un proposito scellerato in testa: assaltare un imprenditore sulla porta di casa per strappargli la valigetta con l’incasso della settimana. Un lavoretto facile come tanti altri messi a segno prima di quello, facilitato dalla soffiata giusta. Ma l’assalto si complicò all’ultimo momento. Lui e i suoi complici non avevano previsto la presenza di un guardaspalle...

Dracu raggiunge la metà campo in tempo per vedere il Pelato dribblare il terzino e schizzare verso il centro dell’area facendo onore alla sua fama di velocista che già gli ha attirato le attenzioni degli scopritori di talenti del River jr. Gli grida di passare la palla, ci sono Saponetta e il Pazzo alla sua sinistra, e lui lo fa. Quando gli ritorna lo stop di petto non è impeccabile ma il pallone scende sul collo del piede. Il tiro è buono, peccato non sia sufficientemente potente da bruciare il portiere che si stende verso il palo di destra e lo fa suo.

Si riparte.

Dracu tenta la fuga, la polizia lo insegue, si appiattisce dietro un muricciolo ma non basta. Gli occhi del poliziotto si piantano nei suoi. Un maledetto proiettile nell’inguine, il primo di nove, lo lasciano a terra sanguinante. Gli altri non bastano a liquidarlo ma i danni sono irrimediabili. Il calvario ha inizio: gli esami, le radiografie, l’ospedale, le ripetute operazioni chirurgiche, la paralisi permanente, il carcere.

Il fischio dell’arbitro ferma l’azione. Dracu ne approfitta per avvicinarsi all’area di gioco. Sussurra qualcosa di inintelligibile, ma non per il Pelato che cammina verso il centro avendo ben capito la direttiva ricevuta. Saponetta va verso il centro, il Flaco retrocede e il Zurdo e Changuito si spostano due passi sulla destra.

Quel momento sciagurato, che lo tenne in bilico tra la vita e la morte, è anche l’inizio di qualcosa di diverso. Che acquista senso molto tempo dopo, una volta ritrovata la libertà, nell’incontro con un sacerdote appena giunto tra le baracche della villa dove viveva. Dracu ricorda bene quel torrido pomeriggio di gennaio del 2014. Una sorta di undicesima ora nella sua vita. Il sacerdote lo invita ad un campeggio sulla costa atlantica con altri giovani. Lì, davanti al mare di San Clemente, in un momento di ricreazione il discorso va a cosa proporre a quei giovani che passano il tempo oziando agli angoli delle strade, esposti alla droga, all’alcol, alle incursioni delle bande. Si parla di un futuro club sportivo. Lo sport attira, anche i più scapestrati, anche chi va per una cattiva strada, anche chi già è con un piede nella fossa. È una scuola di vita formidabile, rincara il sacerdote che ne ha già sperimentato l’efficacia in un’area marginale di Buenos Aires.

Il gol arriva al secondo assalto. Questa volta è il Pelato che infila la rete da poca distanza dopo aver ricevuto la palla dal Saponetta. Dracu esulta. La sedia a rotelle traballa sotto il peso della sua stazza impazzita.

Da allora, da quel campeggio sulla riva del mare, tra i ruderi di una Chiesa ad un centinaio di metri dalla battigia, la missione di Dracu è impedire ad altri ragazzi della baraccopoli di mettersi sulla sua strada, quella vecchia, fatta di furti, violenza e droga. Non sempre ce l’ha fatta, ci sono storie andate male, giovani che sono stati risucchiati dalla strada, dal paco, dai soldi facili, ragazzini finiti di nuovo davanti al giudice di minori o tra le mura di un penitenziario, ma tanti altri hanno dato le loro energie migliori al club sportivo e agli allenamenti guidati da lui. Lui lo fa con metodo, convocandoli ogni pomeriggio in uno spiazzo polveroso ai margini della villa strappato al destino di immondezzaio.

La palla è al centro, i ragazzi di Dracu riprendono posizione nella propria metà campo. Il fischio dell’arbitro rimette tutti in movimento. Anche Dracu, che adesso dialoga con il massaggiatore prevedendo le prime lesioni muscolari per lo sforzo prolungato.

Con l’allenamento, la disciplina, il lavoro di squadra arrivano anche le prime soddisfazioni. Due volte consecutive Dracu ha portato i suoi ragazzi nel mitico stadio del Boca, Alberto José Armando, universalmente conosciuto come la Bombonera, primi e secondi classificati in un torneo di club sportivi come il suo. Indimenticabile il pomeriggio del 12 dicembre del 2017, giorno dedicato alla straripante tifoseria degli Xeneize di un Maradona ancora in vita. Nel tempio del Boca junior si gioca la finale di un campionato di squadre dei quartieri popolari di Buenos Aires e dintorni. Lo stadio è gremito, vibrante di canti e di festa. Quindici pullman di villeros vanno ad applaudire i giovani di Dracu. Altre decine di migliaia si uniscono a loro in un pomeriggio indimenticabile terminato sul podio.

di Alver Metalli