Nel decimo giorno di proteste contro il colpo di Stato militare

Myanmar: blindati
nelle strade

epa09013737 Demonstrators shout slogans during an anti-coup protest near the National League for ...
15 febbraio 2021

Crescono i timori di sanguinose violenze in Myanmar dopo che oggi — decimo giorno consecutivo — migliaia di persone sono scese in piazza, nonostante i divieti, per protestare contro il colpo di Stato militare. Per la prima volta, mezzi blindati sono stati visti sfilare nelle strade di Yangon, la città principale del Paese, sede della Banca centrale, dove i manifestanti si sono radunati davanti alla sede dell’ambasciata degli Stati Uniti, in un gesto di sostegno all’annuncio del presidente, Joe Biden, di sanzioni contro i militari responsabili del colpo di Stato. Nel nord del Paese le forze di sicurezza hanno invece sparato sui dimostranti, non è chiaro se con normali pallottole o con proiettili di gomma.

Intanto, gli Usa e i Paesi europei hanno fatto appello alle autorità militari perché si astengano dalla violenza.

L’ambasciata degli Stati Uniti ha invitato tutti i connazionali presenti nel Paese asiatico a «rimanere al sicuro» nelle proprie case durante le ore del coprifuoco, confermando «movimenti militari» a Yangon e «la possibilità di interruzioni nelle telecomunicazioni». Ma gravi incidenti sono stati segnalati nella città settentrionale di Mytkyina, dove, secondo media locali, le forze di sicurezza hanno sparato gas lacrimogeni e proiettili non meglio specificati contro dimostranti che si erano radunati davanti alla sede dell’azienda elettrica. Nella stessa città, riferisce un sito indipendente di notizie, sono stati arrestati cinque giornalisti.

Mytkyina si trova nello Stato di Kuchin, teatro da molti anni di una aspra guerra d’attrito di gruppi etnici minoritari contro il Governo centrale. Scontri sporadici sono avvenuti anche dopo un cessate il fuoco firmato nel 2011.

Attraverso le loro ambasciate, gli Usa, l’Ue e la Gran Bretagna hanno lanciato un appello alla giunta militare, guidata dal generale Min Aung Hlaing, perché non metta in atto ulteriori violenze contro i manifestanti. Secondo l’Ufficio per i diritti umani dell’Onu a Yangon, sono oltre 350 le persone arrestate dal primo febbraio, giorno del golpe. Anche il presidente, Win Mynit, e il consigliere di Stato e ministro degli Esteri, Aung San Suu Kyi, si trovano agli arresti.

Ma il numero delle persone incarcerate sembra destinato ad aumentare considerevolmente dopo che nelle ultime ore i militari hanno sospeso una legge che rendeva obbligatorio il mandato di un giudice per detenere i cittadini per più di 24 ore e per eseguire perquisizioni. La giunta, in una nota, ha fatto sapere che nella lista delle persone da arrestare ci sono almeno sette personaggi di alto rango che si oppongono pubblicamente al governo militare sui social. Proprio per questo, Internet è stato bloccato in tutto il Paese del sudest asiatico.

Nella lista dei ricercati figura anche Min Ko Naning, uno dei leader della protesta durante la precedente giunta militare, che trascorse in carcere molti degli anni fra il 1988 e il 2012.

Le forze dell’ordine in assetto antisommossa hanno ammonito la popolazione «a non coprire» la fuga dei leader della protesta, contro i quali sono stati emessi mandati di arresto, invitando a fornire informazioni utili alla loro cattura.

I militari, informa la Bcc, hanno dichiarato che Aung San Suu Kyi (premio Nobel per la pace 1991) rimarrà ai domiciliari almeno fino al 17 febbraio. Arrestata poche ore dopo il colpo di Stato per violazione della legge sull'import-export, ovvero importazione illegale e utilizzo di walkie talkie trovati nella sua abitazione, Suu Kyi doveva essere liberata stamane.