Il rapporto tra le arti approfondito in un recente libro di Cesare de Seta

Manzoni barocco

 Manzoni barocco  QUO-033
10 febbraio 2021

Approfondire i rapporti tra le arti è utile soprattutto per capire gli sviluppi della cultura non solo in uno specifico tempo, ma attraverso il passaggio delle epoche: saremmo altrimenti ancora arroccati su alcune etichette scolastiche, che se da una parte sono utili per semplificare lo studio, dall’altra corrono il rischio di snaturare e ridurre la portata di artisti, scrittori, architetti, filosofi, poeti, musicisti.

Una storia della letteratura priva degli essenziali riferimenti all’arte, alla musica, alla filosofia fino ad arrivare al cinema (e alle sue letture dell’antichità e delle opere di riferimento) significherebbe annullare un legame che c’è sempre stato. Molti studiosi si sono interessati a questi legami: il più recente contributo è quello di Cesare de Seta, storico dell’arte e dell’architettura, con Sulle strade delle lettere e delle arti (Vicenza, Neri Pozza, 2020, pagine 452, euro 15). È una raccolta di saggi o di riflessioni su personaggi del mondo dell’arte, della letteratura, della ricerca interdisciplinare, conosciuti di persona o ormai parte della storia, che ha come leitmotiv, fin dal titolo, la questione del rapporto tra le varie arti. Ma non si tratta di un attacco ad un certo settorialismo “purista” che prevale nelle nostre università: anche questo modo di intendere la ricerca ha dato i suoi frutti, permettendoci di conoscere, soprattutto “tecnicamente”, un musicista come un poeta o uno scultore; d’altra parte però uno studio strettamente disciplinare, senza un riferimento alla cultura complessiva di un’epoca, non ci permetterebbe di conoscere a fondo i legami dell’artista con il suo tempo, i contatti con le altre arti: quell’humus culturale che crea i presupposti per lo sguardo e la sua concezione del mondo.

È così che nello studio su Ezio Raimondi si fa largo l’idea di un Manzoni «barocco che narra di una vicenda dalle tinte e dalle luci spagnolesche, il cui clima spirituale è quello di Carlo e di Federico Borromeo», che la dice lunga sulle possibilità di mettere insieme i tasselli di una costruzione globale di uno scrittore, fatta non solo di studi letterari, ma anche di immagini artistiche, di condizionamenti religiosi, morali e anche psichici (sull’altro Manzoni, quello che aveva conosciuto la cultura libertina, ha scritto Angelo R. Pupino in Manzoni. Religione e romanzo).

Un capitolo a sé meritano le pagine su Giovanni Testori e la modernità: de Seta affronta il discorso di uno scrittore, pittore, critico che ha preso di petto il grande tema della contemporaneità e come essa venga “letta” dalle arti. E della sua opposizione a Picasso. Discorso complesso, anche perché in realtà Testori non mette in dubbio una genialità che però, a suo avviso, esprimeva gli elementi portanti di un tempo in cui la violenza e la reificazione sono stati elementi strutturali. Se da una parte de Seta fa bene a riaprire la questione, dall’altra occorre essere attenti a quello che chiamiamo spirito del tempo, proprio e soprattutto perché egli parla dell’opposizione di Testori alla trasformazione “isterica” di un iper-laicismo che diviene moda e vezzo, modernità salottiera e conformismo. Ci riferiamo soprattutto al discorso sul marxismo “componente essenziale” di una ricerca di verità personale e non assoluta che viene dal pensiero illuminista. Ora se questo fosse vero, quel marxismo non avrebbe portato ad autentici macelli, come quello staliniano, o alle eliminazioni di intellettuali e perfino medici nel regime maoista o in quello di Pol Pot, visto che lo spirito illuminista si poneva come allargamento delle possibilità individuali attraverso la libertà e il rispetto dell’altro. Con il senno del poi parliamo di più marxismi, ma allora è lecito parlare anche di più illuminismi (si pensi alla rottura tra Rousseau e gli altri) e diverse componenti del mondo cristiano, solo per fare pochi esempi.

Discorso assai complesso, che riporta all’attenzione dei lettori le interrelazioni tra scrittori come Gadda e l’arte barocca, con il giusto attacco a semplificazioni, quelle di incapsulare scrittori dentro precise etichette, come nel caso di un Codice di Perelà di Palazzeschi visto come un manifesto del futurismo, quando questo libro “sperimentale” fa salati conti con il sentimento (e non il sentimentalismo) e le radici, andando oltre quella corrente; o quando si parla dei profondi rapporti tra la critica d’arte e la cultura vociana, come nel caso di Roberto Longhi: una cultura che nasce nell’Italia giolittiana e investe anche quelle sensibilità che non vi aderirono ufficialmente, ponendo le basi di una stagione unica, in cui all’arte di un Giacometti, di un Boccioni o di un Morandi rispondevano le ricerche di un nuovo linguaggio poetico da parte di un Dino Campana o di un Camillo Sbarbaro; per non parlare dei grandi — qui presenti — che hanno sconfinato tra le praterie dell’arte e quelle della scrittura, come i fratelli De Chirico-Savinio, o Lalla Romano, De Pisis o Hesse.

di Marco Testi