In ascolto del grido
dei poveri

 In ascolto del grido dei poveri  QUO-014
19 gennaio 2021

«Fratelli tutti: un’enciclica oltre il tempo della crisi» è stato il tema del seminario di studio svoltosi di recente presso la Pontificia università Lateranense. Promosso dalla Missione permanente di osservazione della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, dal Forum Roma delle ong di ispirazione cattolica e dallo stesso ateneo, l’incontro è stato aperto dal saluto del cardinale vicario Angelo De Donatis e introdotto e moderato da Vincenzo Conso. Al termine dei lavori, articolati in due panel — «Camminiamo nella speranza» e «Percorsi di un nuovo incontro» — l’osservatore permanente presso le organizzazioni e organismi delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha svolto le conclusioni che pubblichiamo quasi per intero qui di seguito.

Credo fortemente che, in primis, questa nuova enciclica richiami ciascuno di noi a un necessario e autentico ritorno a Dio. Sono convinto che questa sia la giusta chiave di lettura per dare significato ai termini «fraternità e amicizia sociale», a cui lo scritto pontificio si ispira. Il Santo Padre lo afferma nel secondo capitolo della lettera enciclica, quando narra la parabola del buon Samaritano, in particolar modo laddove afferma lo stretto legame che c’è tra un’autentica apertura a Dio e la rinnovata attenzione ai fratelli (n. 74 ss.). Tale concetto è stato espresso con ancor più chiarezza dal Santo Padre Francesco, lo scorso 20 ottobre, nell’omelia tenuta in occasione dell’Incontro di preghiera per la pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, in cui riprendendo le parole di Benedetto xvi al termine della Via Crucis (21 marzo 2008) «la croce ci rende fratelli», egli ha sostenuto apertamente che, solamente mettendo a modello della nostra vita il Dio fatto Uomo, che ci ha salvati svuotando sé stesso, impareremo a “farci altri”, ad andare cioè incontro al prossimo e alle sue necessità. Il romano Pontefice ha così affermato in quella sede: «Più saremo attaccati al Signore Gesù, più saremo aperti e “universali”, perché ci sentiremo responsabili per gli altri» (omelia durante la preghiera dei cristiani in occasione dell’incontro internazionale per la pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, 20 ottobre 2020). Del resto, è la Bibbia stessa che ce lo insegna, nel libro della Genesi. Quando Caino smette di dialogare con Dio, di vedere nell’Eterno il suo punto di riferimento e l’esempio da seguire, è allora che leva le mani contro il fratello Abele e lo uccide. Non lo riconosce più, nonostante il legame di sangue che li lega, perché Caino, invece di ascoltare Dio, ascolta sé stesso e il male che il suo egoismo gli suggerisce di compiere (cfr. Gen 4, 1-11).

Questa è la base da cui partire per aspirare all’imprescindibile riconoscimento dell’uguale dignità umana e al conseguente cambiamento nei cuori, nelle abitudini e negli stili di vita di ciascuno di noi (cfr. Fratelli tutti, n. 166; Laudato si’, nn. 5 e 202). Si tratta di abbandonare la costante tendenza all’individualismo che spesso ha il sopravvento e ci porta a chiuderci nell’immanenza del nostro io, del nostro gruppo di appartenenza, dei nostri interessi meschini.

Tale concetto vale sia nella dimensione interpersonale, che in quella internazionale: la fraternità significa anche che le relazioni tra Stati devono essere eticamente fondate (cfr. Fratelli tutti, n. 126; Laudato si’, n. 51) e devono essere ispirate dall’autentica ricerca del bene comune, di ogni essere umano, in particolare di quelli più vulnerabili, affinché nessuno venga lasciato indietro. Questo significa che ogni Paese è corresponsabile della creazione di un ordine mondiale giuridico, politico, economico e sociale in cui ci sia più collaborazione internazionale, orientata all’assistenza concreta di coloro che hanno più bisogno e allo sviluppo dei Paesi poveri, in modo che l’intera famiglia umana possa aspirare alla libertà dalla fame, dalla povertà, dalle guerre, dalle ingiustizie.

Questo concetto assume un significato ancor più rilevante oggi, quando la pandemia di covid-19 ha messo in forte crisi i sistemi sanitari, economici e sociali di tutti gli Stati che compongono la comunità internazionale, ha aumentato il numero delle persone che lottano contro la fame e l’insicurezza alimentare, che non hanno accesso ad acqua pulita e cibo nutriente, ma ancora una volta ha inflitto i colpi più duri alle persone che erano già povere, affamate, assetate, ai margini delle nostre strade.

Quindi, da un lato, nel mondo si vedono ancora milioni di persone che soffrono la fame e muoiono per malnutrizione. Mentre, dall’altro lato, si osserva il diffondersi di un cibo che è sempre più “artificiale”, meno nutriente e non in grado di assolvere alla sua funzione essenziale di alimentare (cfr. Francesco, Videomessaggio in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, 16 ottobre 2019). Aumenta quindi la povertà, perché una quantità e una qualità di cibo inadeguate incidono sulla salute delle persone e influenzano la loro capacità di reagire, di studiare e di trovare un lavoro.

A questo si aggiunge il grave scandalo dello spreco alimentare che Papa Francesco aveva denunciato durante la Giornata mondiale dell’alimentazione 2019, quando, con parole forti, aveva affermato che «ciò che accumuliamo e sprechiamo è il pane dei poveri». Purtroppo, in alcune parti del mondo, tonnellate di cibo continuano a essere gettate via ogni giorno. Sebbene gli attuali livelli di produzione alimentare siano più che sufficienti per nutrire la popolazione mondiale, il cibo non è dove dovrebbe essere e uno su nove non ha accesso ai pasti quotidiani.

Che fare, pertanto, di fronte a una situazione mondiale così allarmante, che sembra non cambiare nel tempo, nonostante i tanti progressi scientifici e le innovazioni tecnologiche compiute dall’essere umano?

Il Santo Padre, nella Fratelli tutti, ci chiama nuovamente all’azione, nella consapevolezza che se il grido di aiuto proviene da un nostro fratello, non possiamo rimanere indifferenti, proprio perché in lui c’è il riflesso di Dio che per primo ci ha amato di un amore incondizionato. Dobbiamo darci da fare. La comunità internazionale si è posta il 2030 come termine ultimo per l’eliminazione della fame e della povertà nel mondo e noi dobbiamo fare tutto il possibile perché la volontà politica di tutti gli Stati non tardi ad arrivare e si raggiungano questi obiettivi ambiziosi. L’umanità deve farsi prossima ai fratelli bisognosi, deve investire più energie nell’edificazione di relazioni di amicizia piuttosto che di diffidenza; nella promozione della pace e non in venti di guerre; nella facilitazione di progetti di sviluppo e non di commercio di armamenti.

È questo l’auspicio che aveva espresso san Paolo vi , nel 1964, vedendo i volti di tanti poveri indiani giunti a Bombay per il Congresso eucaristico, quando manifestò il desiderio che venisse costituito un fondo mondiale, per mettere a disposizione le somme destinate in armamenti a progetti di sviluppo e sovvenzione dei popoli che si trovavano in necessità.

Papa Francesco ha sapientemente ripreso questa idea nella Fratelli tutti (n. 262) e l’ha richiamata nel messaggio per la Giornata mondiale dell’alimentazione 2020, a conferma del fatto che contro la fame non servono esercizi di retorica e parole vuote, ma fatti, iniziative concrete, progetti da implementare. È con questo spirito che dobbiamo leggere questa nuova lettera enciclica. Proprio ora che ci troviamo a vivere una crisi senza precedenti, siamo chiamati a cercare delle soluzioni ancor più innovative, che difendano in modo effettivo l’inalienabile dignità di ogni essere umano e salvaguardino la nostra casa comune.

di Fernando Chica Arellano