Il 14 gennaio 1841 nasceva Berthe Morisot

Quello sguardo oltre la tela

«Giovane donna in tenuta da ballo» (1879)
14 gennaio 2021

L’elogio più lusinghiero, e più rivelatore, di Berthe Morisot l’ha tessuto George Moore. «Soltanto una donna ebbe la capacità di creare uno stile, e quella donna fu Berthe Morisot. I suoi quadri sono le uniche opere che non potrebbero essere distrutte senza determinare un vuoto, uno iato nella storia dell’arte», scrisse il critico d’arte irlandese assegnando così alla pittrice francese (nata il 14 gennaio 1841) uno scranno nell’empireo degli artisti più illustri. Furono due i maestri che su di lei esercitarono una robusta influenza. Prima Corot, poi Manet. Il primo l’avviò alla pittura all’aria aperta, facendole apprezzare il galvanizzante contatto con la natura e, di conseguenza, sottraendola alla pratica della composizione all’interno di uno studio, utile per assimilare i rudimenti essenziali ma poi penalizzante nell’ottica di un’arte aperta al fecondo dialogo con il mondo esterno. Del resto la stessa Morisot si dichiarava insofferente di regole stantie e di protocolli accademici, sentiti come lesivi della sua capacità creativa, impaziente di spiccare il volo.

Tale volo fu accompagnato e alimentato dall’incontro con Manet il quale contribuì a suggellare l’approdo della pittrice alla pittura impressionista. Rompendo dunque definitivamente con schemi troppo rigidi, la Morisot cominciò a realizzare, con metodica costanza, tele ispirate a una pittura sbrigliata, ricca di flagranza e levità, nel segno di una privilegiata attenzione alla luce e ai complessi giochi di prospettiva a essa sottesi. Se agli inizi della carriera il suo pennello poteva manifestare ancora qualche impaccio e timidezza, ora lo scenario cambia, e in meglio: quel tratto, infatti, risulta essere più sciolto, meno marcato e più sfumato. La tela ne beneficia in termini di immediatezza e spontaneità. Un altro elogio, assai eloquente, che Morisot riscosse fu formulato dal critico d’arte francese Gustave Geoffrey, che di lei scrisse: «Nessuno rappresenta l’impressionismo con un talento più raffinato e con maggiore autorità».

Il quadro che le valse il convinto plauso di Manet e che in seguito l’avrebbe consacrata agli onori della storia dell’arte è La Culla, dipinto a Parigi nel 1872. L’artista raffigura Edma, una delle sue sorelle, mentre guarda dormire la figlioletta. È la prima volta che la figura materna appare nella produzione della Morisot e il soggetto ritratto in questa tela diventerà uno dei suoi temi preferiti. Lo sguardo della madre, la linea che disegna il suo braccio sinistro piegato al quale corrisponde il braccio, anch’esso piegato, della neonata, tracciano, in modo sapiente, una diagonale che mette in evidenza il movimento della tenda sullo sfondo. Questa diagonale, dall’alto valore simbolico, stabilisce l’unione tra la madre e la sua bambina. Il gesto di Edma, che frappone il velo della culla tra lo spettatore e la neonata, contribuisce a rafforzare il sentimento di intimità e di amore protettivo espresso nel quadro. Con La Culla la Morisot partecipò alla mostra impressionista del 1874, diventando la prima donna a esporre le sue opere con il gruppo. Il quadro venne a malapena notato. Dopo aver cercato invano di venderlo, la Morisot non lo mostrerà più in pubblico. L’opera sarà conservata dalla famiglia di Edma fino alla sua acquisizione, nel 1930, da parte del Louvre, dove verrà adeguatamente compresa e ammirata (ora la tela è al museo d’Orsay).

L’artista si cimentò in marine e in paesaggi, sviluppando al contempo una predilezione per il mondo femminile visto, in particolare, nella sua dimensione domestica. Si compiacque così di rappresentare i dettagli di vesti eleganti, di biancheria finemente ricamata, di stoffe morbide. I soggetti delle sue tele, in questo scenario, sono le donne della media e alta borghesia, ritratte in casa o in giardino, in varie ore della giornata, così da riprodurre i conseguenti riflessi di luce, al cui magistero l’artista non cessò mai di ispirarsi. Questo genere di pittura rischiava di tradursi in una rappresentazione di maniera, anteponendo la forma alla sostanza e poegandosi al dato meramente esornativo. Al contrario, la Morisot seppe conferire a queste tele un’acuta profondità applicando ai soggetti ritratti una rigorosa analisi psicologica, evidente anzitutto nell’espressione degli occhi. Significativo, al riguardo, è il quadro Giovane donna in tenuta da ballo (1879). Rifuggendo dai canoni della ritrattistica ufficiale, la cui missione si esauriva nel valorizzare lo status sociale della persona effigiata, la Morisot si concentra sullo sguardo, vivo e curioso, della ballerina. Lo sguardo è rivolto verso qualcosa che si svolge, alla sua destra, al di là dello spazio pittorico. Il movimento, tanto impercettibile quanto deciso, degli occhi sta a suggerire l’invito allo spettatore a non focalizzarsi sulle sue vesti, per quanto di pregevole fattura, ma di farsi complice della ricerca — appunto indicata da quello sguardo eloquente — di un qualcosa di serio e profondo, refrattario dunque a farsi identificare e cristallizzare in uno spazio meramente calligrafico.

di Gabriele Nicolò