· Città del Vaticano ·

Il movimento francescano finì per essere promotore diretto di una trasformazione
Dell’idea di crociata della sua ideologia e della sua prassi

Dopo san Francesco

Frati minori a Gerusalemme
14 gennaio 2021

In un libro di Paolo Evangelisti


C’è, indubbiamente, un Francesco d’Assisi del mito che in molti casi ha finito per mettere in ombra il Francesco della storia, quell’uomo, cioè, in carne ed ossa che, prima ancora di superarlo in forza del suo genio, fu uomo pienamente del suo tempo, dal quale ricevette anche — né poteva essere altrimenti — stimoli e suggestioni che ispirarono il suo agire e lo condizionarono in molte delle sue scelte. Tuttavia, in non poche occasioni, proprio il mito ha finito per sedimentarsi non solo nel pensiero comune, ma nella stessa storiografia, che alla fine ne ha pure ripetuti gli stereotipi.

È a questa immagine dell’Assisiate che Paolo Evangelisti cerca di reagire in un libro che, sin dal titolo, si propone di andare oltre il mito nell’indagare — su un ampio spettro cronologico — il rapporto non tanto di Francesco, quanto piuttosto dei suoi frati, con la Terra Santa e il panorama europeo (Dopo Francesco, oltre il mito. I frati Minori fra Terra Santa ed Europa [ xiii-xv secolo] Roma, Viella, 2020, euro 29, pagine 296). Una costruzione mitica che prende le mosse dal confronto con il sultano al-Malik al-Kāmil, un singolare episodio da intendersi come un incontro piuttosto che uno scontro, e questo in un tempo di riarmo della cristianità.

Nel tentativo di andare oltre il mito, Evangelisti si colloca oltre quello stesso avvenimento, sul quale non si sofferma se non per evidenziarne alcune derive storiografiche (si veda, ad esempio, la sua discussione con John Tolan) che egli considera capaci di portare fuori strada. Perché, sottolinea l’autore, lungi dall’estraniarsene, il movimento francescano finì per essere pienamente partecipe e promotore diretto di una trasformazione dell’idea di crociata, della sua ideologia e della sua prassi, anche in forme del tutto differenti rispetto a quelle in cui si manifestarono nei secoli precedenti.

Esemplare, a tale riguardo, è la figura di Fidenzio da Padova, il quale nella seconda metà del Duecento elaborò un vero e proprio piano, con tanto di strategie militari, per la riconquista della Terra Santa, appunto quel Liber recuperationis Terrae Sanctae che il frate, a lungo dimorante nelle terre d’Oltremare, scrisse a seguito di una richiesta giuntagli nell’ambito del ii concilio di Lione (1274).

Fidenzio, al quale fu riconosciuta un’indubbia competenza in materia, avrebbe dovuto quindi scrivere una relazione per illustrare attraverso quali vie si sarebbe potuta consolidare la presenza cristiana nei luoghi del Vicino Oriente. Il risultato fu un’opera davvero originale: il Liber del frate padovano si distanzia, infatti, da tante altre opere sull’argomento perché opera di vera teoria politica; lungi dal far leva sul sostegno militare ed economico proveniente dall’Occidente, egli elaborò un progetto di governo attraverso il quale i cristiani stanziati in Oriente avrebbero potuto autosostenersi e che includeva la gestione della fiscalità, l’amministrazione della giustizia, il controllo della forza armata, ma che richiedeva la fine dell’anarchia in cui versavano i Regni d’Oltremare: «In Terra Santa — scriveva, infatti, Fidenzio da Padova — fu grande, e lo è tuttora, la mancanza di un unico capo responsabile del governo. In effetti gli abitanti della Terra Santa non hanno un capo unico al quale obbedire e al quale fare riferimento. Ed in verità al re di Gerusalemme non obbediscono, né vogliono obbedirgli, i Veneziani, i Genovesi, i Pisani, i Templari, gli Ospitalieri, i Teutonici e nemmeno i baroni che vivono in quei territori».

Lo sguardo dell’autore si allarga poi ad altre fonti, di diverso genere e di altre epoche, mostrando come insigni maestri e predicatori riservino una particolare attenzione alla crociata nelle loro opere, che si tratti di Gilberto di Tournai o dell’ancor più belligerante Bertrand de La Tour, il quale arriverà ad ottenere il cappello cardinalizio. Un’attenzione che, secondo l’autore, non viene meno neppure in opere dirette ai laici, qual è appunto l’opuscolo Miles armatus di Pietro di Giovanni Olivi, nel quale Evangelisti rintraccia «una pedagogia dell’agire sociale della quale l’omiletica crociatistica è parte integrante e non separabile». Interessante si rivela anche l’analisi dei documenti papali: il bollario francescano, ad esempio, mostra che i frati divennero ben presto gli «operai di Gesù Cristo» e che ad essi furono in molti casi demandati — intorno alla metà del xiii secolo — aspetti concreti della gestione della crociata: dalla complessa operazione della commutazione e quantificazione del valore del voto emesso (molti che in un primo momento s’erano impegnati a prendere la croce, in realtà cercarono poi di commutare questo voto nell’offerta di propri beni) alla tutela fiscale dei patrimoni di coloro che invece erano effettivamente partiti per la crociata. In alcuni casi, come rivelano una serie di bolle indirizzate alla provincia di Aquitania, fu di loro competenza anche la diretta gestione delle risorse pecuniarie e la loro tenuta contabile. L’Ordine dei Minori, in definitiva, partecipò in modo «determinante alla realizzazione di un complesso sistema di welfare crociato che sviluppa i suoi effetti all’interno dei confini della cristianità».

L’esperienza francescana, tuttavia, non fu monocorde, ma piuttosto sinfonica. Non mancano, perciò, neppure autori — si veda, ad esempio, Bacone, che registra su tali aspetti sensibili punti di contatto con Raimondo Lullo — i quali insistono sulla necessità d’intraprendere un’azione persuasiva tra gli islamici, per la quale riveste fondamentale importanza la conoscenza delle lingue. Ed è vero pure che se si giunse, nella prima metà del xiv secolo, all’instaurazione della Custodia di Terra Santa, un tale risultato si ottenne non in forza di un’azione militare, quanto piuttosto di una paziente azione diplomatica. Arte della diplomazia — mi sento di aggiungere — nella quale i frati si sperimentarono sempre più, a partire dalla grande campagna di pacificazione messa in campo nel 1233, detta dell’Alleluja, e poi dall’azione svolta nelle città dell’Italia centro-settentrionale testimoniata con dovizia di particolari da Salimbene da Parma nella sua Cronica, fino all’operazione che portò, per l’appunto, alla nascita della Custodia nel 1333, anno che forse lascia supporre anche un forte incentivo escatologico.

Come si vede, il libro di Evangelisti offre dunque molti spunti di riflessione, lasciando spazio a una domanda: l’uomo Francesco, dal quale comunque tutto ha avuto inizio, quanto ha inciso su questa storia, quanto ha finito per condizionarla, in un modo o nell’altro, in qual modo l’ha ancor più complicata? L’auspicio è di avere una risposta in un prossimo volume dell’autore.

di Felice Accrocca