I catechisti tra le prime vittime delle violenze
in Burkina Faso

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30 dicembre 2020

Sono arrivati all’improvviso. Erano a bordo di potenti motociclette ed erano armati fino ai denti. Secondo uno schema ormai consolidato hanno preso d’assalto Pansi, un villaggio situato non lontano da Sebba, nella provincia di Yagha, nel Nord del Burkina Faso. Una comunità di poveri contadini. Molti di essi musulmani, alcuni (pochi) cristiani. Hanno sparato e hanno ucciso 24 persone, tra di esse un catechista cattolico, Philippe Yarga, che, come riporta l’agenzia Fides, «era uno dei primi catechisti inviati in missione quando fu fondata la diocesi di Dori».

Questa diocesi ha un territorio enorme che corrisponde, grosso modo, alla parte del Sahel del Burkina Faso. Qui i cattolici, sono circa il due per cento della popolazione. Ci sono sei parrocchie, delle quali tre sono state chiuse a causa degli assalti dei jihadisti. Il clero è stato fatto convergere a Dori così come i catechisti titolari insieme alle loro famiglie. Nel caso di Sebba si tratta di un centinaio di persone, con i familiari dei catechisti, che sono alloggiate presso le strutture della cattedrale, che si aggiungono a quelle sfollate nei mesi scorsi dalle altre due parrocchie chiuse in precedenza.

I laici sono una parte fondamentale della Chiesa cattolica africana. Oltre 400.000 catechisti coadiuvano nell’opera evangelizzatrice i circa 35.000 sacerdoti. Sono sempre in prima linea e non è un caso che in Africa, nel 2020, a fianco di un sacerdote, tre religiose e un seminarista, siano stati uccisi anche due catechisti. Sono proprio questi laici, spesso sposati e con figli, a diventare il braccio destro del parroco. Seguono i vari villaggi dispersi nella savana. Fanno, a loro volta, formazione professionale, culturale e spirituale alla gente. Celebrano la Liturgia della Parola. Portano la Comunione. Oltre a essere un irrinunciabile ausilio per i sacerdoti, questi laici diventano veri e propri punti di riferimento per tutta la comunità in merito alle questioni di lavoro e di giustizia. Il loro essere radicati nella cultura locale ne fa attenti interpreti dei valori locali. E spesso, come nel caso di Pansi, diventano oggetto della violenza dei jihadisti.

I gruppi jihadisti ormai imperversano nel Sahel portando una versione distorta e violenta dell’islam che, spesso, si mescola con il contrabbando di stupefacenti, sigarette, farmaci, e col traffico di esseri umani. Più di 1.300 civili sono stati uccisi in attacchi mirati nel 2019 in Burkina Faso, più di sette volte l’anno precedente, secondo Armed conflict location and event data project, che raccoglie e analizza le informazioni sui conflitti. L’insicurezza ha creato una crisi umanitaria. Secondo il governo, 800.000 persone sono sfollati interni.

I jihadisti nella loro immagine distorta e assoluta dell’islam non fanno distinzioni fra cristiani e musulmani. Nell’attacco al villaggio di Pansi, a fianco del catechista, sono caduti, prima che la chiesa fosse data alle fiamme, anche una ventina di islamici.

Nel condannare l’attacco, il segretario generale delle Nazioni unite, António Guterres, ha sottolineato come gli autori di «questo orrendo crimine, e la serie di altri che lo hanno preceduto, devono essere portati davanti alla giustizia».

di Enrico Casale