· Città del Vaticano ·

Hic sunt leones

Vaccino anticovid
questione di giustizia

FILE PHOTO: A volunteer receives an injection from a medical worker during the country's first human ...
11 dicembre 2020

Il tema delle diseguaglianze è ricorrente nelle narrazioni africane. Stiamo parlando di un continente in cui, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), un bambino su cinque non ha ancora accesso ai vaccini salvavita raccomandati per la immunizzazione infantile universale. È evidente che si tratta di una minaccia per la salute dei minori e per il progresso sociosanitario ed economico delle società africane.

Per comprendere la posta in gioco, nel cosiddetto primo mondo occorre fare lo sforzo di andare al di là dei soliti stereotipi che tendono ad omologare su scala planetaria attività e comportamenti facilmente prevedibili, dimenticando che in alcuni Paesi dell’Africa sub-sahariana essi marcano, per così dire, la linea di faglia tra la vita e la morte. Sappiamo bene, ad esempio, che nei Paesi occidentali si contrappongono frequentemente, nel dibattito sociale e politico, gli interessi della salute pubblica, a coloro che contestano l’imposizione di qualsivoglia misura sanitaria in quanto limitante nei confronti della libertà personale. Nel continente africano certe diatribe non trovano solitamente terreno fertile, non foss’altro perché il diritto alla salute non è sempre scontato.

In altre parole, mentre nei Paesi industrializzati, dove alcune malattie sono state completamente debellate o comunque le coperture vaccinali sono molto alte, nei Paesi in via di sviluppo quelle stesse infermità — basti pensare alle malattie Tropicali neglette (Mtn) — sono ancora presenti, anche in forma endemica, e il livello di copertura vaccinale risulta essere ancora scarso. A questo proposito, è bene rammentare che per sradicare a livello globale il vaiolo ci sono voluti oltre 170 anni e questo risultato — dichiarato ufficialmente dall’Oms nel 1979 — è stato conseguito dal consesso delle nazioni solo grazie a un massiccio e perseverante impegno a livello scientifico e alla fattiva collaborazione internazionale. Non è stato evidentemente facile garantire questo diritto agli ultimi tra gli ultimi, quelli che vivono ancora oggi nei luoghi più poveri, nelle comunità più isolate e nelle zone di conflitto. Ma alla fine il vaiolo è stato sconfitto.

Al di là dei protocolli sanitari che ogni Paese sceglie di adottare, è fondamentale promuovere un’educazione sanitaria che tenga conto dei benefici dell’immunizzazione senza nasconderne gli eventuali rischi, seppure minimi. Come illustrato dal Dottor Benjamin Djoudalbaye, Responsabile delle Politiche, della Diplomazia sanitaria e della Comunicazione dell’Africa Cdc, nonché già funzionario sanitario senior per Hiv/Aids, tubercolosi, malaria e altre malattie infettive presso la Commissione dell’Unione africana (Ua), i vaccini proteggono anche da malattie “secondarie”, legate alla malattia a cui è mirata la terapia. Ad esempio, la vaccinazione antinfluenzale riduce significativamente i casi di otite acuta nei neonati e nei bambini, con un’efficacia superiore al 30 per cento.

Il dottor Djoudalbaye ha condiviso le sue preziose conoscenze scientifiche in materia lo scorso 28 ottobre, durante un incontro organizzato e tenuto da Amref Health Africa, Africa Cdc e Msd, volto a discutere l’importanza delle vaccinazioni nell’Africa sub-sahariana. A tale proposito, come riferito sul sito istituzionale di Amref Italia (www.amref.it) è sempre più forte «la consapevolezza che il continente africano debba essere coinvolto nella sperimentazione di nuove terapie e vaccini anti-covid-19, a livello nazionale e locale», avviando un percorso operativo «che garantisca a tutto il continente un accesso tempestivo ed equo al vaccino, una volta ottenuta l’approvazione». Pertanto è necessario avviare una mobilitazione finalizzata alla raccolta dei dati sulle catene di approvvigionamento dei vaccini, sui metodi di distribuzione, sulla densità di popolazione, nonché sulla domanda e l’offerta di un eventuale vaccino.

Per comprendere lo stato dell’arte, può essere utile confrontare il covid-19 al virus di Ebola che ha già penalizzato, in diverse circostanze, molti Paesi africani: dalla Sierra Leone, alla Liberia; dalla Repubblica democratica del Congo (RdC), all’Uganda, per non parlare di altri focalai che si sono manifestati in Angola e Nigeria. A questo proposito sono estremamente interessanti le informazioni condivise in un recente webinar, tenutosi lo scorso 5 novembre, organizzato da esperti sanitari di Amref Health Africa e di Dalberg Advisors, nel corso del quale è stata sottolineata l’importanza delle vaccinazioni.

Tenendo presente che il tasso di mortalità del virus Ebola è solitamente del 50 per cento, in società che non hanno accesso all’immunizzazione, segnate dalla povertà, arriva fino al 90 per cento. Per quanto riguarda Ebola, il periodo di incubazione o l’intervallo di tempo dall’infezione alla comparsa dei sintomi è tra i 2 e i 21 giorni molto simile al covid-19. Alcuni operatori locali, durante la decima epidemia documentata di malattia da virus Ebola, nella RdC, esplosa nell’agosto del 2018, sono stati formati per tracciare e monitorare i contatti dei pazienti affetti dal virus. È stato stimato che, una sola persona, se si considerano tre gradi di separazione — vale a dire una catena di relazioni e contatti con non più di due intermediari — può raggiungere fino a 300mila persone. Tenendo conto di queste percentuali, il dottor Richard Mihigo, direttore Programmi malattie prevenibili dell’ufficio regionale dell’Africa, dell’Oms, ha sottolineato che, «per fare in modo che l’immunizzazione sia efficace a livello continentale, il 60% della popolazione africana dovrebbe sottoporsi al vaccino».

Non sarà certamente facile conseguire questo traguardo e sono certamente molte le difficoltà da superare, legate in gran parte alla debolezza del sistema sanitario continentale: dalla carenza di personale sanitario, alla scarsità di strutture mediche, per non parlare delle difficoltà di comunicazione, soprattutto nelle zone periferiche. Dal punto di vista politico, a livello internazionale, sono molte le cancellerie che si stanno adoperando nell’affermare quella che è stata definita in gergo giornalistico la diplomazia sanitaria: dalla Russia, alla Turchia, dagli Stati Uniti, alla Francia; dalle Petromonarchie del Golfo, alla Cina. Da rilevare in particolare l’impegno del governo di Pechino che, com’è noto, vanta notevoli interessi commerciali nel continente africano. Il presidente Xi Jinping ha infatti promesso che continuerà a essere solidale con i Paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa, negli sforzi volti a sconfiggere la pandemia.

Una cosa è certa: «Sarebbe triste — come ha detto Papa Francesco — se nel fornire il vaccino si desse la priorità ai più ricchi, o se questo vaccino diventasse proprietà di questa o quella nazione, e non fosse per tutti», invocando così il superamento della logica del mercato e del profitto. Un messaggio illuminato per contrastare la globalizzazione dell’indifferenza!

di Giulio Albanese