La carità vissuta dai coniugi Beltrame Quattrocchi

Due contagi nel palazzo

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25 novembre 2020

«Due contagi nel palazzo!», la voce corre lungo le scale del condominio di via Depretis a Roma. Viene ascoltata da tutti attraverso i portoni delle case, nessuno apre perché è tanta la paura del contagio della terribile febbre Spagnola. È il 1919, è iniziato il difficile primo dopoguerra in Italia, dopo tanti lutti nelle famiglie di chi era partito per il fronte, da alcuni mesi, ci pensa il virus ad uccidere ancora. Mascherine di stoffa che coprono metà viso, distanziamento, paura, conta dei sintomatici e dei morti, uno scenario che oggi, a distanza di un secolo, si ripropone e tutti conosciamo.

«Chi sono i contagiati, Maria?».

«Sono i signori del piano di sotto Gino caro, genitori di tre figlie piccole, lei aveva partorito una neonata, Carla, un mese fa, ti ricordi? Signore mio! Dicono che sono gravi tutti e due. Povere bambine, se dovesse capitare qualcosa di brutto ai loro genitori!».

«Che cosa possiamo fare noi per loro?».

Maria e Gino, che si preoccupano delle bambine con i genitori colpiti dalla malattia, sono Maria Corsini di 35 anni e Luigi Beltrame Quattrocchi di 39 anni, la coppia di sposi beatificata da Giovanni Paolo ii nel 2001.

A pochi giorni di distanza i due ammalati muoiono. Appartenevano alla fascia di età più colpita dal “crudel morbo”, come veniva chiamato, perché uccideva in pochi giorni persone giovani e sane come loro.

Maria e Luigi si guardano, non sappiamo chi dei due abbia parlato per primo e chi di loro abbia detto per primo all’altro che potevano prendere nella loro casa le due bambine e la neonata. La loro biografia ci racconta che tre piccole orfane vengono immediatamente accolte in casa Beltrame Quattrocchi e si aggiungono ai loro quattro figli che hanno dai 4 ai 13 anni.

Eroismo, sventatezza, follia, disprezzo della salute, atto di incredibile generosità? Il loro gesto si può definire in tanti modi, prendere in casa delle bambine direttamente esposte al virus della Spagnola ha messo a rischio un’intera famiglia. Luigi e Maria per primi potevano essere contagiati, potevano morire anche loro e rendere orfani i loro figli, così come era avvenuto alle tre bambine. Parenti, conoscenti e amici hanno avuto molto da dire e soprattutto da criticare riguardo a questa coppia di sposi sempre fuori dalle righe, spesso lontana dalla logica umana e dal buon senso.

Le due bimbe più grandi diventano immediatamente compagne di giochi dei quattro bambini Beltrame Quattrocchi, facendo alleviare un poco il loro dolore, ma solo per alcuni giorni, finché i loro nonni non verranno a prenderle per portarle nella loro casa. La neonata, la piccola Carla, rimane con Luigi e Maria, è troppo piccola infatti per essere accudita da due persone anziane.

Così le notti in casa diventano movimentate. Come ogni neonato, la piccola di 30 giorni ha bisogno di accudimento continuo. Intanto i giorni trascorrono con l’angoscia di aver contratto il virus. Luigi e Maria scacciano il pensiero di quello che potrebbe accadere in caso di contagio affidando le vite dei loro cari e le loro stesse vite al Signore.

I giorni passano, Carla cresce, il virus si è fermato sulla porta di casa Beltrame Quattrocchi senza entrarvi. La pandemia si esaurisce e il mondo torna alla sospirata vita di prima.

Alla piccola, che non potrà ricordare quei giorni, racconteranno di quella coppia di sposi che si è presa coraggiosamente cura di lei, dei quattro “fratellini” che facevano a gara per cullarla per farla addormentare e che la intrattenevano, cercando di placare il suo pianto disperato per la fame, durante la preparazione del latte. Già, chi pensava a riscaldare il latte? Soprattutto Luigi, alto funzionario nell’Avvocatura dello Stato, che Carla, da grande, chiamerà sempre «il mio balio». Nessuno immaginava che quest’uomo che ricopriva incarichi prestigiosi, partecipava a importanti vertici e riunioni con alte cariche dello Stato, in casa si occupasse della cura di una neonata, così come aveva fatto con i suoi figli. Luigi era esperto in cambio di pannolini (all’epoca erano solo di stoffa), di veglie notturne in caso di malattia dei bambini, di somministrazione di farmaci: un secolo fa interpretava il ruolo paterno in modo moderno — così come dovrebbe essere — che comprendeva sostegno, guida, ma anche aiuto in casa e accudimento dei figli. Maria e Luigi condividevano ogni cosa, lei in casa, oltre a seguire i figli, scriveva libri su tematiche psicopedagogiche e pagine di spiritualità, dedicando tante ore al volontariato.

I figli di Luigi e Maria non hanno mai saputo come i loro genitori riuscissero a trovare il tempo e le energie per compiere tante attività senza mai trascurare i loro doveri nei riguardi dei familiari: quattro figli e i genitori anziani da accudire. Maria descrive con queste parole la loro vita ne L’ordito e la trama: «... serena, intellettuale, interessante, intima e riposante. Mai fatua, mai triste o pessimista. Vita... animata sempre dalla gioia della conquista che portava con sé ogni minuto — con la gioia di stare insieme sempre nuova».

Così Giorgio Papasogli, biografo dei Beltrame Quattrocchi, descrive Maria presa dal suo primo bimbo: «Non si trattava soltanto di una vocazione affettiva, da carne a carne, la maternità afferrò tutta lei, e fu immenso atto di intelligenza, un seguire il bimbo suo come creatura viva nell’infinito entro il quale si muove il raggio di Dio». Luigi condivide la stessa crescita e maturazione: «Quando rincasava accorreva attratto anche lui da quel centro misterioso e irresistibile ch’era la culla del primo nato, ritrovava il caro volto di lei trasfigurato da un’esultanza della quale egli stesso intuiva la portata superiore».

I beati Luigi e Maria amavano la vita. La minaccia alla vita in quel momento veniva da un virus che lasciava una scia di morti. La reazione davanti alla paura può bloccare, rendere egoisti oppure fa mettere le mani avanti per una giusta prudenza. I Beltrame Quattrocchi, davanti al male, hanno sempre reagito mettendosi in gioco, entrando nei problemi senza chiedersi quali conseguenze potessero scaturire su di loro a motivo delle loro azioni. Così come quando accoglievano in casa gli ebrei oppure trascorrevano le ore a compilare dei falsi documenti per permettere l’espatrio ai ricercati dal regime, grazie ad alcune carte d’identità ancora in bianco rubate da un loro conoscente. Dalle loro finestre potevano vedere il palazzo del Viminale dove i tedeschi avevano stabilito il loro quartier generale. Ma questa visione, se forse li spaventava, non li bloccava. Sapevano perfettamente di rischiare la fucilazione, eppure anche in quell’occasione si erano guardati e avevano detto con grande complicità: «Che cosa possiamo noi per loro, Gino?» e «Che cosa possiamo fare noi per loro, Maria?».

di Luca Pasquale