Nord e sud più vicini con i gemellaggi tra le diocesi

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23 novembre 2020

Quasi 3.000 morti, oltre 8.000 feriti, 300.000 senza tetto, 36 paesi rasi al suolo, altri 244 seriamente danneggiati; due le diocesi principalmente coinvolte (Avellino e Potenza), 29 quelle in qualche modo colpite e racchiuse nell’enorme cratere di 27.000 chilometri quadrati devastato dal terremoto, un’area tre volte più grande di quella interessata dal sisma del Friuli quattro anni prima. Sono i numeri spaventosi di una tragedia immane che mise in ginocchio una parte dell’Italia più debole, ma che non lasciò indifferente il Paese, capace di mettere generosamente in campo nell’emergenza le sue forze migliori. Una mobilitazione, in parte spontanea, alla quale contribuirono non poco le comunità ecclesiali.

La Caritas veniva dalla innovativa esperienza dei gemellaggi tra diocesi italiane e parrocchie terremotate sperimentata proprio in Friuli e così si decise, in accordo con il commissario straordinario per l’emergenza, Giuseppe Zamberletti, lo stesso di allora, di riproporre anche in tale drammatica occasione quella modalità di concreta solidarietà rivelatasi molto positiva. Si trattava di uno strumento di prossimità e accompagnamento alle comunità colpite da parte di diocesi di ogni parte del Paese, allo scopo di assicurare sostegno morale e materiale per tutto il tempo dell’emergenza e della prima fase della ricostruzione.

Come avvenuto quattro anni prima, la risposta fu eccezionale. Ben 132 diocesi aderirono alla proposta di gemellaggio, alla quale apportarono un contributo rilevante volontari e obiettori di coscienza, per i quali si trattò di un’esperienza formativa e di servizio indimenticabile. Fu uno straordinario scambio di presenza e di aiuto fra Chiede del nord e del sud Italia che in alcuni casi si protrasse ben oltre l’emergenza, con contatti mantenuti nel tempo e di molti è rimasta testimonianza nella toponomastica locale.

I gemellaggi non servirono solo alle comunità che accolsero, ma anche a quelle che offrirono aiuto. Queste ultime, come ricordò in seguito monsignor Giovanni Nervo, fondatore della Caritas italiana e promotore dei gemellaggi, «si trovarono infatti a vivere in una maniera forte il messaggio di condivisione e comunione ecclesiale che proponevamo alle diocesi. Nello stesso tempo si trovarono a dover dare concretezza e continuità a tale esperienza. Di fatto si trattava di costituire un’“antenna permanente” nella parrocchia gemellata e un gruppo operativo stabile in seno alla Caritas diocesana, dandosi, inoltre una programmazione».

Quanto venne realizzato in quei mesi costituì un vero e proprio laboratorio pastorale. Fulcro dei gemellaggi non furono tanto gli aiuti materiali, che pure arrivarono assieme ai volontari, ma i rapporti umani, quella vicinanza ecclesiale che si esprimeva in vari modi. Iniziarono a prendere forma i centri di comunità polifunzionali, che sarebbero destinati a diventare i ritrovi principali di paesi che non avevano più luoghi in cui riunirsi per celebrare, per stare insieme, per aggregarsi. Strutture che funsero anche da centri di ascolto, dove portare esigenze, richieste o semplicemente poter esprimere il dolore per ciò che si era perso, sapendo di trovare qualcuno capace di ascoltare, dare conforto, sostegno. Ma che diventarono pure laboratori in cui pensare e progettare il futuro. E per farlo le diocesi gemelle inviarono persone competenti in diversi settori, esperti che si affiancarono a contadini, allevatori, piccoli imprenditori, per sostenerli nella ripresa delle loro attività commerciali e produttive.

Nei mesi successivi la presenza di persone giunte sui luoghi del terremoto attraverso i gemellaggi divenne un forte stimolo non solo per la Chiesa italiana, impegnata, come detto, a proseguire nell’opera di solidarietà con le popolazioni, ma anche nei confronti delle istituzioni, sollecitate a dare risposte alle numerose e urgenti richieste. Molti furono infatti i tavoli locali di interlocuzione che videro impegnati anche rappresentanti delle comunità ecclesiali per affrontare le situazioni di emergenza e prevedere interventi di sostegno alle popolazioni colpite.

Ai gemellaggi di stampo ecclesiale si aggiunsero quelli nati tra province e soprattutto comuni, che coinvolsero anche municipalità estere, con iniziative spesso spinte da emigrati delle aree colpite.

Si trattò di una mobilitazione ampia, che testimoniò ancora una volta la grande generosità del paese, capace di mobilitarsi nelle emergenze, come sarebbe accaduto anche in seguito in occasione di analoghe calamità. Ed è significativo constatare come le comunità che allora ricevettero un aiuto tanto prezioso, siano state spesso in prima linea sui nuovi fronti, pronte e disponibili a offrire il loro sostegno. Perché chi molto ha ricevuto, molto più sente di dover restituire.

di Gaetano Vallini