La prima forma di solidarietà

epa08803897 Journalists gather at the scene of an explosion in Kabul, Afghanistan, 07 November 2020. ...
12 novembre 2020

Il mondo dell’informazione è ormai da parecchi mesi tutto preso dalla pandemia di covid-19. Un interesse che, per causa di forza maggiore, ha poi dovuto dare spazio alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America e alla tragica spirale di violenza jihadista che ha investito la Francia e l’Austria. Al contempo, però, si dipana sempre più una lunga ombra che investe il resto degli avvenimenti su scala planetaria. Anzitutto perché i meccanismi mediatici, nel perimetro del mondo villaggio globale, sono diventati così selettivi per cui la stragrande maggioranza degli accadimenti che interessano le periferie finiscono puntualmente nel dimenticatoio.

Basti pensare a quanto è avvenuto recentemente in Afghanistan quando un commando si è introdotto nella sede dell’università di Kabul dove era in corso un evento con la partecipazione di autorità locali e iraniane. Tre uomini armati hanno massacrato 22 persone tra studenti e docenti, prima di venire uccisi dalle forze di sicurezza. La sera dello stesso giorno, lo Stato islamico ha rivendicato l’attacco. Questa notizia è stata ripresa da qualche testata senza però che vi fosse la dovuta risonanza.

Per non parlare di quanto avvenuto venerdì 30 ottobre a Butembo, nel settore orientale della Repubblica Democratica del Congo. In questa località, un gruppo di armati, di cui non è ancora oggi chiara l’identità, ha messo a ferro e fuoco un intero quartiere all’estrema periferia della città congolese. Nel corso del raid, che è durato circa due ore, hanno perso la vita 19 persone; tra loro figura anche un catechista di nome Richard Kisusi.

Il problema di fondo è che del Sud del mondo, poco importa che si tratti di questo di quel continente, si parla solitamente in riferimento alla mobilità umana, sia in riferimento alla possibilità che tra i migranti si celino terroristi di matrice islamista o soggetti portatori di malattie perniciose.

E dire che ve ne sarebbero di storie da raccontare, positive o negative che siano, tutti fatti e accadimenti che puntualmente restano nascosti nel cassetto, in un contesto profondamente segnato dal disinteresse generale verso dinamiche considerate geograficamente troppo lontane.

Un’attualità, per così dire di serie “B” di cui si torna a parlare, in modo a volta addirittura saccente e polemico, solo quando poi certi avvenimenti interessano direttamente l’opinione pubblica nostrana in riferimento, ad esempio, ai temi dell’ospitalità e dell’integrazione.

Sono in molti ad obiettare che un’informazione internazionale robusta non ha mercato e che dunque certe notizie non si vendono perché non interessano alla gente. I sostenitori di questa tesi dimenticano che l’informazione ha un’indubbia valenza educativa e che il suo uso, deontologicamente, non può essere strumentale.

Come ha scritto Papa Francesco nella sua ultima enciclica Fratelli Tutti, «La vera saggezza presuppone l’incontro con la realtà. Ma oggi tutto si può produrre, dissimulare, modificare. Questo fa sì che l’incontro diretto con i limiti della realtà diventi insopportabile. Di conseguenza, si attua un meccanismo di “selezione” e si crea l’abitudine di separare immediatamente ciò che mi piace da ciò che non mi piace, le cose attraenti da quelle spiacevoli».

Nel Medioevo, come molti sapranno, gli alchimisti erano alla perenne ricerca della «pietra filosofale», cioè di quella sostanza catalizzatrice capace di risanare la materia per poter giungere all’immortalità e trasformare i vili metalli in oro pregiato. Non possiamo noi oggi certo pretendere che l’informazione da sola riesca a realizzare magicamente l’agognato cambiamento, ma non v’è dubbio che la conoscenza apre l’orizzonte e che l’informazione internazionale è la prima forma di solidarietà in un mondo globalizzato e interconnesso in cui ci si può salvare solo insieme. Motivo ispiratore, peraltro, del Documento sulla fratellanza umana firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar nel febbraio 2019. Un impegno impellente che riguarda anche gli operatori dell’informazione.

di Giulio Albanese