Oggi in primo piano - Il Mozambico tra violenza, miseria e segni di speranza

Terrore a Cabo Delgado

Cabo Delgado: profughi fuggono dalle violenze nella regione
05 novembre 2020

Sono almeno venti i corpi decapitati di cinque adulti e quindici adolescenti ritrovati lunedì scorso all’interno delle foreste del distretto di Muidumbe, nella provincia settentrionale mozambicana di Cabo Delgado. L’atto di efferata violenza sarebbe stato perpetrato da uomini armati appartenenti al gruppo estremista affiliato alla “Provincia dell’Africa centrale del sedicente Stato islamico” (Iscap), presenti nel nord del Mozambico da almeno tre anni, con l’obiettivo di stabilirvi un califfato.

I sopravvissuti hanno affermato che le vittime erano del villaggio 24 de Março. Gli assalitori avrebbero anche rapito un numero imprecisato di bambini nel villaggio di Nchinga, con lo scopo di reclutarli forzatamente nelle proprie fila.

Le incursioni degli ultimi giorni nei villaggi di Magaia, Nchinga, Namacunde, 24 de Março, Muatide e Muambula, all’interno del distretto di Muidumbe sarebbero una risposta all’operazione delle forze di difesa e di sicurezza compiuta all’inizio della scorsa settimana contro la base principale dei terroristi, conosciuta come “Base Siria”, situata nel distretto di Mocimboa da Praia.

Nell’occasione il comandante generale della polizia, Bernardino Rafael, aveva reso noto che erano stati almeno 108 i sospetti miliziani dell’Iscap uccisi, e al tempo stesso aveva evidenziato che negli ultimi tre mesi circa 270 persone sono morte, tra civili e forze di difesa, in attacchi terroristici registrati in nove distretti della provincia di Cabo Delgado. Rafael ha poi chiesto collaborazione alle popolazioni delle comunità più prese di mira, chiedendo di denunciare eventuali possibili minacce di rapimento.

Questo è solo l’ultimo in ordine di tempo di una serie di attacchi, ripresi nel 2020 e con un’escalation nell’ultimo trimestre, in cui i jihadisti attaccano, distruggendo o dando alle fiamme i villaggi e le campagne dei vari distretti della provincia settentrionale di Cabo Delgado, seminando terrore tra gli abitanti degli stessi. Altro obiettivo dei miliziani quello di cercare di arruolare nuovi combattenti tra i più giovani, facendo leva sul loro malcontento per via della disoccupazione e della forte crisi economica.

Già nell’aprile scorso erano stati decapitati una cinquantina di giovani che si rifiutavano di unirsi al gruppo jihadista. Questo clima di totale insicurezza e terrore con una situazione completamente fuori controllo sta inoltre producendo migliaia di profughi. E qui si amplifica il dramma. Domenica 1° novembre, nell’Oceano Indiano tra le isole Ibo e Matemo a nord della capitale provinciale di Pemba, almeno 40 persone risultano disperse nel naufragio dell’imbarcazione su cui viaggiavano per fuggire alle violenze. A bordo erano oltre 70 le persone, 32 di queste sono state tratte in salvo.

In tre anni i miliziani hanno ucciso almeno duemila persone. Secondo il Programma alimentare mondiale (Pam) negli ultimi mesi si è acuita fortemente l’emergenza umanitaria nella regione. Anche l’accesso ai servizi essenziali nelle aree colpite dal conflitto è stato influenzato. Il ministro della Salute, Armindo Tiago, citato dai media alla fine di ottobre, ha affermato che, nel pieno dell’emergenza covid, oltre 100 operatori sanitari hanno lasciato le aree colpite dal conflitto e sono fuggiti a Pemba, compromettendo l’accesso all’assistenza sanitaria in gran parte di Cabo Delgado. Attualmente si stima che tra le 350 e le 400 mila siano le persone sfollate all’interno delle province di Cabo Delgado, Nampula e Niassa, rispetto a meno di 90.000 alla fine del 2019, secondo i dati preliminari dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Numeri impressionanti che aiutano a comprendere la tragedia vissuta dalle popolazioni di Cabo Delgado negli ultimi mesi. La violenza sta naturalmente ostacolando l’assistenza umanitaria con le varie organizzazioni deposte che devono affrontare sfide importanti per raggiungere le persone colpite proprio nel momento di massimo bisogno. Intanto gli stessi terroristi stanno rivolgendo le loro attenzioni anche su alcuni villaggi della Tanzania al confine col Mozambico. Recentemente, secondo le forze di polizia tanzaniane, più di 300 uomini armati ritenuti affiliati all’Iscap hanno attraversato il fiume Ruvuma, facendo irruzione nel villaggio di Kitaya, dove hanno distrutto case e ucciso più di 20 persone.

di Fabrizio Peloni