Il sogno di una società fraterna

Francesco predica ai musulmani alla presenza del sultano (basilica di Santa Croce a Firenze)
04 novembre 2020

So bene che il sogno di una società fraterna è al cuore dell’enciclica Fratelli tutti. Ma leggendo e rileggendo questo testo luminoso, mi sono soffermato su un breve passaggio: mi sono stupito che i commentatori, in Francia, non ne abbiano (abbastanza) rimarcato la chiaroveggenza. Penso alla straordinaria e pericolosa visita di Francesco d’Assisi al sultano egiziano Malik-el-Kamil nel 1219, in piena età delle crociate.

Prendendo la strada dell’Oriente, Francesco era povero e vulnerabile. Il (lungo) cammino era punteggiato dappertutto di torri e di muraglie. La guerra tra cristiani e saraceni era ovunque, così come la miseria e la sofferenza dei poveri. E come l’odio, del resto! Senza dubbio Francesco sognava di convertire il sultano, ma sperava anzitutto nella riconciliazione e nella pace.

Oggi, otto secoli più tardi, i francescani custodiscono ancora con grande risalto la memoria di questo viaggio. E fanno bene! Essi si sforzano di proseguire e approfondire la riflessione sulla nostra apertura verso le altre culture e le altre religioni.

Per tornare a Francesco e al suo compagno di viaggio, Illuminato, essi furono inizialmente maltrattati e picchiati dalle avanguardie dei saraceni. Finalmente poterono essere ricevuti dal Sultano. Francesco si espresse con lui con il fervore di spirito conforme al versetto evangelico: «Io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere» (Lc 21, 15). Il sultano offrì ricchi doni a Francesco che «egli rigettò come il fango».

Francesco non era avido delle ricchezze del mondo ma della salvezza delle anime. Questo disprezzo dei beni di quaggiù impressionò così tanto il sultano che egli propose a Francesco e al suo compagno di viaggio di prolungare il soggiorno. Visto che ciò era impossibile, egli designò dei soldati perché scortassero i due frati durante il loro viaggio di ritorno. Conosciamo questi dettagli grazie a san Bonaventura di Lione, che fu, con Duns Scoto e Tommaso d’Aquino, uno dei tre più celebri dottori della scolastica medievale.

I francescani sostengono oggi che, forse, fu proprio il ricordo di Francesco, della sua dolcezza e della sua fede senza limiti, a giocare un ruolo quando, dieci anni più tardi, senza che alcuna forza lo costringesse, lo stesso Melik-el-Kamil decise di rendere Gerusalemme ai cristiani: «Senza dubbio lo sguardo limpido di Francesco aveva proseguito il suo lento lavoro nella coscienza di quest’uomo aperto al pensiero degli altri». Sono stato rallegrato e sorpreso scoprendo, all’inizio dell’enciclica Fratelli tutti, l’evocazione di questo prodigioso viaggio che fu anche un cammino verso l’altro. Leggendolo, infatti, pensavo a quello che ci sta succedendo in Europa, e precisamente in Francia. Tra i crimini terroristici del jihadismo e il nostro rinchiuderci nell’orrore, la violenza senza freni prevale. Giorno dopo giorno, anno dopo anno.

Noi affiniamo la severità della repressione, quella dei tribunali, delle carceri e delle ritorsioni mentre l’emozione intasa legittimamente i nostri spiriti. Certo, sappiamo bene che, a otto secoli di distanza, le situazioni sono differenti. Ma siamo capaci, abbiamo ancora la forza di prendere un po’ di distanza? Bisogna farlo. Cerchiamo, cerchiamo di nuovo da dove può lontanamente pervenire il ritorno di questa innominabile barbarie.

Siamo certamente d’accordo sull’urgenza di combattere contro questo terrorismo abietto. Ma ciò non ci impedisce di interrogarci sul «tempo lungo». Chi siamo, noi, noi occidentali? Cosa è questa nostra modernità, nata alla confluenza del pensiero greco, dell’ebraismo e del cristianesimo? Possiamo datare con un minimo di precisione questo avvenimento storico? Con la vittoria di Carlo Martello sull’islam nel 733? Con l’affermazione imperiale di suo nipote Carlo Magno? Con l’ambigua epoca delle crociate che, per la prima volta, hanno visto l’Occidente proiettarsi fuori da se stesso?

La nostra riflessione si trova riattualizzata a causa della recrudescenza del terrore. L’Occidente non è solamente un semplice concetto geografico (il promontorio europeo e l’America del Nord) ma anche filosofico (una certa idea di libertà, dell’individuo e dei diritti dell’uomo). Ora, dunque, noi Occidentali non siamo più “proprietari” di questi valori democratici che appartengono da ora in poi all’umanità tutta intera (che non li applica se non parzialmente).

In Fratelli tutti Papa Francesco evoca una certa fatalità che parla al reporter di guerra che sono stato e al giornalista inquieto che sono diventato. Questo avviene quando affronta «l’illusione della comunicazione» e la disastrosa prevalenza dell’immateriale: «Nella comunicazione digitale si vuole mostrare tutto ed ogni individuo diventa oggetto di sguardi che frugano, denudano e divulgano, spesso in maniera anonima. Il rispetto verso l’altro si sgretola» (n. 42).

Se l’altro diventa solo un nemico, un avversario o un concorrente, allora in effetti la scoperta della fraternità è più urgente che mai. Essa ci invita a camminare, anche solo un po’, sulle tracce di Francesco d’Assisi. In cammino verso l’altro.

di Jean-Claude Guillebaud