· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

La storia

Con gli emigranti oltre l’Oceano

Francesca Saverio Cabrini durante la sua opera di assistenza agli immigrati ( cabrinishrinenyc. org)
28 novembre 2020

Suore coraggiose a sostegno degli italiani nelle Americhe


Alla fine dell’Ottocento un fiume di umanità dolente varcò gli oceani. Milioni di persone lasciarono il Vecchio Continente per le Americhe alla ricerca di fortuna. Si calcola che tra 1836 e 1914, trenta milioni di europei siano emigrati in America settentrionale. Di questi, almeno quattro milioni erano italiani. Altrettanti sbarcarono in Argentina e Brasile.

Non gli Stati di origine, ma i religiosi e soprattutto le religiose si prodigarono ad aiutarli nel loro cammino. Il primo a scandalizzarsi di questo esodo fu il vescovo di Piacenza, Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905). «In Milano — scrisse — fui spettatore di una scena che mi lasciò nell’animo un'impressione di tristezza profonda. Vidi la vasta sala, i portici laterali e la piazza adiacente invasi da tre o quattro centinaia di individui poveramente vestiti, divisi in gruppi diversi. Sulle loro facce abbronzate dal sole, solcate dalle rughe precoci che suole imprimervi la privazione, traspariva il tumulto degli affetti che agitavano in quel momento il loro cuore».

È immaginabile lo choc della separazione tra chi partiva e chi no. Sul molo di Napoli a volte restavano povere donne, senza più un soldo in tasca perché tutti gli averi erano stati impegnati per comprare il biglietto della nave. Donne disperate, alla mercé di chiunque.

Per le “scartate” di Napoli, quattro suore salesiane Figlie di Maria Ausiliatrice aprirono un ricovero che si rivelò fondamentale per ospitare le emigranti rimaste a terra, curarle, accompagnarle ad una seconda visita medica, e poi, se tutto era a posto, aiutarle nell’imbarco. Nel 1911 suor Clotilde Lalatta confidava alla superiora: «Per noi le ore di vita comune sono ben scarse, ed essendo insufficienti al lavoro, l’orario è assai compromesso. Nei giorni di partenza dei piroscafi, c’è d’andare al porto una o due volte al giorno; in casa, da cucire, da stirare, fare la pulizia, assistere e servire le donne albergate, attendere alla porta. Poi le commissioni e spese, poi le visite dei medici curanti le donne, i ricevimenti alle persone che hanno diritto di vedere la casa».

È solo un piccolo esempio di quale eccezionale sforzo fecero le religiose per assistere questo immane moto di popoli. Per molte venne presto la sfida dell’opera missionaria. «Come altri fondatori — ricorda suor Grazia Loparco, storica, docente alla Pontificia facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium — don Bosco si sentì interpellato dalla precarietà in cui si imbattevano i migranti. Di fatto, prima di giungere nella sognata Patagonia, le missioni salesiane in Argentina e Uruguay si interessarono delle famiglie italiane che spesso, si diceva, nell’oceano perdevano la fede. Sul piano operativo molti istituti religiosi, oltre a offrire assistenza spirituale, sostegno sociale e legale, ebbero come punti di forza la scuola e l’istruzione. Nel 1877, sei giovani Figlie di Maria Ausiliatrice inaugurarono le spedizioni missionarie in Sud America, iniziando a lavorare tra le famiglie dei migranti. In seguito, sotto la guida del successore di don Bosco, don Michele Rua, le religiose, come i salesiani, allargarono il campo d’azione prima in America del Sud, poi in Medio Oriente, Svizzera, Belgio, Inghilterra e qualche anno dopo negli Stati Uniti».

Aiutare gli emigranti era un dovere morale. Il Vaticano peraltro era preoccupato perché tanti perdevano la fede durante la traversata o perché non trovavano ad attenderli una parrocchia dove si parlasse la propria lingua, e invece incontravano un’attiva propaganda anticlericale, socialista e massonica. Le masse di emigrati diventarono così oggetto di una ri-evangelizzazione. Stranoto è l’impegno di suor Francesca Saverio Cabrini, la prima cittadina americana ad essere stata dichiarata santa. Nata in una ricca famiglia nell’Italia del Nord nel 1850, a trent’anni fondò la congregazione delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù. Papa Leone xiii la inviò espressamente ad evangelizzare le Americhe e nel 1889 suor Cabrini raggiunse New York. Era stato un viaggio duro, da emigrante tra gli emigranti. Ma l’attendeva una realtà ancor più dura. L’arcivescovo di New York, Michael Augustine Corrigan, le fu ostile e le disse a brutto muso che per lei non c’era niente da fare a New York e di tornare in Italia.

Così andavano le cose, a quel tempo. Fortissime erano le diffidenze reciproche e gli scontri tra i gruppi di varie nazionalità. Anche tra cattolici. «Gli italiani puzzano — arrivò a scrivere l’arcivescovo Corrigan al Papa — e se dovessero andare nella chiesa principale gli altri non verrebbero più».

Nel 1887, Propaganda Fide autorizzò negli Stati Uniti le parrocchie nazionali, chiamate anche personali o linguistiche. «Ma le divisioni nazionali — spiega Matteo Sanfilippo, docente all’Università della Tuscia — spaccavano anche gli ordini religiosi incaricati di proteggere i propri migranti. Spesso le spaccature erano molto complesse negli Stati di nuova formazione: è noto che i missionari dell’Italia settentrionale disprezzavano i migranti e i sacerdoti dell’Italia meridionale, ma succedeva lo stesso anche in Germania dove il Nord ha sempre disprezzato la Baviera. Di fronte a tale assoluta confusione, Scalabrini propose prima di morire la formazione di una segreteria vaticana che si occupasse di tutti gli emigranti rifiutando gli apriorismi nazionali: i cattolici dovevano essere seguiti secondo linee universali e non in base ad origini nazionali».

Suor Cabrini si rimboccò le maniche e trovò da sola i primi finanziamenti. Seguirono anni terribili ed esaltanti. Lei e le consorelle cominciarono dai vicoli maleodoranti di Little Italy, ma la madre fu una viaggiatrice instancabile, con ventotto traversate atlantiche, e l'attraversamento a cavallo delle Ande per raggiungere Buenos Aires partendo da Panama. Non c’è da meravigliarsi. Suor Cabrini era un’interprete del nuovo spirito dei tempi, di quando le religiose andarono in prima linea, fuori dai conventi, nel mondo, ad assistere gli ultimi, a testimoniare il Vangelo. Né le sfuggiva il valore anche patriottico del suo impegno. Poco dopo il 1890, a New Orleans il capo della polizia locale fu assassinato da ignoti e la colpa ricadde senza prove sui “Dagos”, cioè gli italiani che affollavano la città, laceri, malnutriti, senza fissa dimora. Ci furono orribili episodi di linciaggio nelle strade. La Cabrini si recò in città annunciando: «Gli italiani sono stati diffamati, al punto che la folla, aizzata da chi ne voleva l'espulsione, ne ha linciati a dozzine».

L’America fu una grande sfida. Le religiose italiane aprirono scuole, asili, ospedali, orfanotrofi per i “loro” emigranti. Quasi mai avevano titoli di studio e perciò si poterono occupare solo della prima infanzia, non delle scuole superiori. «Ad inizio Novecento — ricorda la storica Maria Susanna Garroni, docente universitaria e curatrice del volume Sorelle d’oltreoceano — le religiose italiane provenivano spesso da piccolissimi centri e da una nazione pre-industriale. Sbarcando negli Stati Uniti, restarono disorientate dalla modernità delle metropoli e dal confronto con una società industriale in crescita».

Videro all’opera gli “animal spirits” del capitalismo. «Raccontavano la nostalgia per l’Italia, come anche lo smarrimento di fronte ai grattacieli, le strade larghe, la folla brulicante. In più dovevano confrontarsi con il clero protestante. Scoprirono che, a parte qualche vescovo illuminato che spianò loro la strada, nessuno le avrebbe aiutate. Sì, trovarono magari qualche finanziamento benefico iniziale, ma poi dovevano farcela da sole perché anche le opere pie dovevano autosostenersi economicamente.

La società americana le costrinse ad industriarsi e a camminare sulle proprie gambe. Quando arrivò la Grande depressione, poi, le suore più anziane andarono perfino lungo le strade a raccogliere le erbe spontanee per sfamarsi. Molte furono costrette alla questua. Oltretutto i vescovi erano restii ad autorizzare, perché temevano di mettere ancor più in cattiva luce i cattolici italiani. Tutto ciò, in definitiva, le costrinse a una rapida evoluzione. Suor Cabrini, da questo punto di vista, provenendo da una famiglia della borghesia ricca, mise in mostra una particolare capacità manageriale, ma tutte si trasformarono, e ne uscirono più intraprendenti, sicure di sé, evolute».

Le congregazioni femminili si rafforzarono, tante si gettarono nell’impresa. Negli Stati Uniti erano più numerose le Cabriniane, le Apostole del Sacro Cuore, le Figlie di Maria Ausiliatrice, le Maestre Pie Filippini, le Battistine del canonico Alfonso Fusco, le Pallottine, le Suore di S. Dorotea (della Frassinetti), le Francescane di Gemona, le Suore Venerini. In Argentina e Uruguay, oltre al gruppo consistente di Figlie di Maria Ausiliatrice, le Suore della Misericordia di Maria Rossello, le Figlie di Nostra Signora dell’Orto di Chiavari, le Suore della Misericordia di Carlo Steeb di Verona, le Cabriniane e le Piccole Suore della Carità di don Orione. In Brasile, di nuovo le Figlie di Maria Ausiliatrice, e poi le Scalabriniane, le Apostole del Sacro Cuore, le Cabriniane, e le Suore di S. Giuseppe di Chambery. Un racconto per tutte, tratto dagli studi di suor Loparco: un gruppo di suore Figlie di Maria Ausiliatrice nel 1908 apriva a Paterson, vicino New York, una casa con scuola per l’educazione e l’istruzione degli italiani. Conosciamo dalle loro relazioni gli sforzi, i successi e gli insuccessi: non erano tutte ferrate in inglese, e avendo dovuto imporre una tassa mensile, al principio gli alunni furono pochi. E poi il locale era povero e disadorno, anche se non mancava di luce. I primi libri, li regalò il console d’Italia.

Fu coltivato comunque lo studio della lingua inglese, obbligatorio, e della lingua italiana. Al termine del primo anno si poté dare un saggio nelle due lingue. Era un passo fondamentale per l’integrazione nella nuova realtà. Nel secondo anno, arrivarono 120 allievi. Le famiglie italiane di Paterson, pur molto povere, accettavano di pagare una retta perché riconoscevano l’utilità di quella scuola parrocchiale. Ma la strada era in salita «Nel 1911 — così suor Loparco riferisce di una loro relazione a Roma — il numero era cresciuto e sarebbe anche maggiore se i parenti non dovessero pagare una quota mensile, che pareva loro grave, tanto da costringerli a mandare i figli alle scuole pubbliche». Ma Paterson comunque andò avanti. E così la Chiesa partecipava alla nascita del mondo nuovo.

di Francesco Grignetti
Giornalista de «La Stampa»