«Fratelli tutti» letta e vissuta con due giovani migranti

Un’enciclica da vivere con lo stile del “noi”

SS. Francesco - Sacro Convento di Assisi - Celebrazione della Santa Messa e firma dell’Enciclica ...
08 ottobre 2020

La notizia c’è ed è verificata. A “indossare” sul serio le parole dell’enciclica Fratelli tutti sono, proprio in queste ore,  donne e uomini, anziani e bambini, “scartati” e  persone con disabilità: tutti insomma, nessuno escluso. Perché non c’è davvero nulla di astratto nelle indicazioni di Papa Francesco: si parla di realtà in carne e ossa (e anche anima).

Mercoledì mattina, 7 ottobre, ne ho — personalmente — fatto esperienza come cronista de «L’Osservatore Romano», tra le 1.200 persone che, in aula Paolo vi , hanno incontrato “a tu per tu” il Papa all’udienza generale. Francesco ha accolto, uno per uno, i “fratelli tutti” abbracciandoli di persona — a cominciare dai ragazzi autistici di Modena che si sono inventati un lavoro preparando a mano i tortellini con le ricette delle nonne — come li “abbraccia” nelle pagine dell’enciclica. E proprio i ragazzi autistici  “dicono”, con la loro stessa esistenza, che la forza di Fratelli tutti sta nella sua immediata chiarezza e concretezza. In realtà, le parole dell’enciclica non vanno tanto spiegate, presentate, introdotte, commentate... vanno vissute. E sì, conta viverle nella propria quotidianità. Conta “indossarle” quelle parole, appunto. Perché riguardano e interpellano ciascuno. E se alla fine della lettura del testo ci si ritrova a essere come si era prima di leggerlo, probabilmente è stato solo un inutile esercizio letterario. O, peggio, è il segnale che qualcosa proprio non va. Me lo hanno ricordato, sempre coi fatti e la concretezza della vita, due giovani africani — sbarcati in Sicilia dopo essere scampati ad abissi di violenze — che Athletica Vaticana ha tesserato come “onorari” attraverso la cooperativa Auxilium, sulla scia solidale e spirituale del Giovedì Santo del 2014 vissuto da Francesco tra i migranti a Castelnuovo di Porto. Jallow Buba è musulmano, 24 anni, scappato dal Gambia,  per tre volte venduto come schiavo prima di arrivare in Italia su un barcone nel 2017. Oggi ha un lavoro regolare. Charles Ampofo, cristiano, 27 anni, originario del Ghana, è sbarcato in Italia nel 2014 dopo essere passato anche in un “lager” libico. Pure lui oggi ha un regolare contratto di lavoro. “Vivere” con loro l’enciclica — nell’edizione straordinaria de «L’Osservatore Romano» —  è già un’esperienza da “fratelli tutti”.  Proprio l’esperienza concreta, personale, “che cambia”, proposta da Papa Francesco. E così, insieme, eccoci subito a sottolineare con la penna l’espressione «aprirsi al mondo», particolarmente vissuta dai due ragazzi africani che al mondo hanno davvero avuto il coraggio di aprirsi. E poi ecco  Francesco che mette in guardia dalla «mancanza di speranza», dalla tentazione di cedere alla «sfiducia», da quel «tutti contro tutti» che rende impossibile «alzare la testa per riconoscere il vicino o mettersi accanto a chi è caduto lungo la strada». Le parole del Papa sul «razzismo» e sulla «schiavitù» colpiscono senza sconti la sensibilità di Jallow e Charles. Che ripetono, nel loro italiano che va sempre più migliorando, l’impegno a «non alzare muri» e a trovare una «rotta comune» — loro che di rotte disperate se ne intendono — perché «nessuno si salva da solo». La lettura della pandemia proposta dal Papa — non solo come questione sanitaria ma come crisi che offre un’opportunità — «è l’unica possibilità che abbiamo» secondo i due “onorari” di Athletica Vaticana. E qui le parole di Francesco sono inequivocabili: non ci dovrebbero più essere «gli altri» ma solo un «noi». Insomma, per restare al linguaggio sportivo, serve una grande squadra formata da persone che si sostengano, solidali, l’una con l’altra. Proprio come il maratoneta che corre al ritmo del più debole, in modo che nessun resti indietro. La speranza di Jallow e Charles è riscontrare nella società ciò che stanno vivendo nell’esperienza di Atletica Vaticana, e con la cooperativa Auxilium, e che Francesco rilancia nella Fratelli tutti : «mettersi seduti ad ascoltare l’altro», camminando nella speranza con «tanti compagni e compagne di viaggio» che non passano oltre nell’indifferenza, ma che sono pronti a dedicare il loro tempo per costruire, finalmente, un «nuovo legame sociale». Insomma «un “noi” che — scrive Francesco —  sia più forte della somma di piccole individualità», facendosi «carico degli altri». Ed è proprio con lo stile suggerito da Jallow e Charles — che la “cosa” l’hanno presa sul serio — che Fratelli tutti può diventare l’agenda quotidiana di ciascuno.

di Giampaolo Mattei