Atlante - Cronache di un mondo globalizzato

Il virus, Floyd e la rete

FILE PHOTO: People arrive to cast their ballots just after sunrise during early voting in ...
30 ottobre 2020

Tra due modi di intendere la comunicazione, ancora prima che la politica, si gioca la partita per la Casa Bianca. Martedì 3 novembre le cittadine e i cittadini chiamati a mettere in moto la complessa macchina elettorale statunitense (o almeno quelli che non hanno già espresso il loro voto per corrispondenza) dovranno infatti scegliere tra l’inarginabile personalità di Donald Trump — abituato a twittare e a ritwittare, a sospendere le interviste e ad affibbiare ai suoi avversari nomignoli poco lusinghieri — e quella di Joe Biden, sicuramente più pacato nei toni, più incline al confronto, ma, secondo i suoi detrattori, troppo aderente alla comunicazione tipica dell’establishment. Una partita, quindi, tra un approccio decisamente personalistico, e consapevolmente votato al “politicamente scorretto”, e un altro più propenso alla normalità. Proprio questa potrebbe essere la chiave per conquistare il numero magico di 270 grandi elettori che garantirebbe l’accesso alla Casa Bianca: gli statunitensi sceglieranno di proseguire con lo straripante temperamento di Trump o opteranno per il low profile di Biden? Non è questione da poco, perché in fondo si tratta di decidere quale strada il paese dovrà imboccare per i prossimi quattro anni e, nell’immediato, per affrontare le crisi esplose negli ultimi mesi: la pandemia e la questione razziale, tornata prepotentemente alla ribalta dopo l’uccisione di George Floyd. I sondaggi danno per il momento in vantaggio il candidato democratico, ma davvero nessun commentatore si azzarda a fare previsioni, forse perché scottato dall’esperienza del 2016, quando Hillary Clinton veniva data per facile trionfatrice. In realtà, i sondaggi, come li abbiamo finora conosciuti, hanno perso moltissimo del loro valore predittivo. Ora c’è un elemento multiforme e sfuggente con cui bisogna fare i conti, un elemento che elude la catalogazione e quindi ogni tentativo di analisi certa: la rete, che nelle sue varie declinazioni (lecite o illecite) è davvero capace di spostare milioni di voti. La prova più chiara del potere “politico” del web si è avuta nel 2018 in Brasile per l’elezione di Jair Bolsonaro alla presidenza. Bolsonaro ha condotto la sua campagna con un minutaggio davvero risibile in termini di dibattiti televisivi, ma con una capillare operazione di social networking che ha coinvolto e raggiunto decine di milioni di persone. Le reti sociali sono capaci di far passare una narrazione che a volte elude le reali emergenze; una narrazione, a base di slogan, spesso mirata a denigrare gli avversari e a condurre gli utenti in una “zona di conforto” in cui è facile riconoscersi e dove non c’è spazio per i dubbi, ma solo per le certezze. È difficile dire quanto la rete possa influire sulle prossime elezioni statunitensi, anche se un gruppo svizzero dedito a questo tipo di valutazioni ha previsto la vittoria di Trump. Vale la pena ricordare che nel 2016 lo stesso gruppo, lo Ifaa di Berna, era stato uno dei pochissimi a prevedere l’affermazione dell’attuale presidente su Hillary Clinton. Certo, questa volta bisogna fare i conti con crisi devastanti, come appunto la pandemia che ancora flagella il paese sia da un punto sanitario che economico. Crisi i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti e che non possono facilmente essere oggetto di un’operazione di restyling via internet. In effetti, Trump, prima di essere colpito a sua volta dal virus, ha cercato di minimizzare, sposando un atteggiamento per certi aspetti negazionista. Il presidente ha a più riprese attaccato gli scienziati e per questo è stato duramente criticato da Biden che, in caso di elezione, promette il vaccino gratis per tutti. Scontro totale anche sulla questione razziale, con Trump che viene accusato di non prendere adeguatamente le distanze dai suprematisti bianchi e di dare spazio (via Twitter) alle farneticanti teorie complottiste di QAnon. Il presidente, dal canto suo, imputa allo sfidante democratico di non essersi mai totalmente dissociato dagli estremisti di sinistra di Antifa. È quindi una polarizzazione senza precedenti quella che regna negli Stati Uniti a pochi giorni dal voto. Una polarizzazione che, pandemia permettendo, potrebbe richiamare alle urne un gran numero di elettori. Ma che potrebbe generare molte tensioni dopo il voto. C’è chi paventa scenari di grande conflittualità in caso di un risultato incerto, mentre il resto del mondo attende con il fiato sospeso.

di Giuseppe Fiorentino