L’enciclica vista da Gerusalemme

Per far maturare una cultura della pace

A general view taken on September 23, 2020 from the Mount of Olives shows Jerusalem's Old City with ...
06 ottobre 2020

«Homo homini lupus», cioè «l’uomo è un lupo per l’altro uomo» risale a Plauto (Asinaria

III-II sec a.C.). È un’idea che attraversa la storia e viene ciclicamente riproposta da vari pensatori. Nel secolo XVII è il filosofo Thomas Hobbes ( Leviatano , 1651) a riprenderla spiegando che la natura umana è fondamentalmente egoista e c’è una «guerra di tutti contro tutti» in ogni ambito sociale ed economico. In tempi più recenti Samuel Phillips Huntington ha parlato di «scontro di civiltà», su base culturale e religiosa.

Per Francesco d’Assisi invece l’idea fondamentale è un’altra, continuando a usare il latino, potremmo dire «homo homini frater», l’uomo è un fratello per l’altro uomo ed è chiamato a imparare a diventare fratello dell’altro uomo. È a questo pensiero evangelico, prima ancora che francescano, che si riallaccia Papa Francesco nella sua nuova enciclica Fratelli tutti , riprendendo un’espressione che si trova negli Scritti del santo, sia nelle Ammonizioni ( VI , 1: FF 155), sia nella Regola non bollata (XXII , 33: FF 61).

In uno studio di qualche anno fa, Carlo Paolazzi, che ha curato l’ultima edizione critica degli Scritti di Francesco d’Assisi, ha messo in luce come il Poverello non usi mai la parola nemico per riferirsi all’altro, ma unicamente al proprio io egoista. Il nemico per Francesco non è mai di fronte a noi, ma dentro di noi! Di fronte ci sta il fratello: che è tale anche quando si tratta di una persona che professa un’altra religione (come il sultano), che è tale anche quando si tratta dell’avversario e del brigante, che è tale anche quando si tratta del povero e del lebbroso (socialmente escluso), che è tale anche quando si tratta di ogni creatura animata e inanimata. E per Francesco il fratello è dono di Dio e la modalità di entrare in relazione con lui è quella dell’accoglierlo con benevolenza ( Regola non bollata VII , 14: FF 26), per vivere una forma di fraternità che ha carattere universale e per far salire la lode a Dio attraverso la sinfonia del cosmo.

È a partire dal prisma della relazione fraterna, di cui l’incontro tra san Francesco e il sultano risulta essere l’attuazione estrema, radicale, e quindi la più inclusiva, che Papa Francesco rilegge la situazione attuale, per cogliere anzitutto la «crisi» della fraternità a tutti i livelli, da quello personale a quello sociale, economico, comunicativo, politico e religioso. Poi, esaurita la parte critica, il Santo Padre passa alla fase propositiva e declina il principio di fraternità in tutti questi ambiti, recuperando sia la riflessione biblica che il magistero dei suoi predecessori e offrendo una visione amplia e organica delle conseguenze che la prospettiva della fraternità offre al cammino delle persone, al mondo dell’economia, della politica e della comunicazione, alla soluzione dei conflitti, alla spiritualità, alla Chiesa e al dialogo interreligioso.

Particolarmente significativo è il richiamo all’incontro tra san Francesco e il sultano al-Malik al-Kamil, avvenuto nel settembre del 1219 a Damietta in Egitto, in piena quinta Crociata, e alla sua attualizzazione nel febbraio 2019 ad Abu Dhabi, nell’ottavo centenario di tale incontro, quando Papa Francesco e il Grande Iman di Al Ahzar Ahmad al-Tayyeb hanno sottoscritto il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune .

Questo documento è esso stesso un gesto di fraternità e di pace, oltre che un contributo specifico di due tra i più autorevoli leader religiosi attuali a percorsi e processi di pace, in un tempo in cui troppo facilmente si accusano le religioni, in special modo monoteiste, di essere fomentatrici di violenza (con un oblio degli orrori quantitativi e qualitativi commessi nel ’900 dai vari regimi atei e antireligiosi). Il contributo dei credenti, uomini e donne, alla costruzione di un mondo fraterno e che tende alla pace è fondamentale a livello mondiale, perché la maggior parte dell’umanità trova un senso nella vita a partire da un riferimento religioso e trascendente.

Vivendo a Gerusalemme, e potendo leggere l’enciclica di Papa Francesco da questo punto di vista speciale, credo che questo testo, proprio perché mette al centro la visione dell’altro come fratello e si rivolge a tutti e non solo ai cristiani, ci possa aiutare anche a far maturare una cultura della pace, a comprendere il valore del dialogo nella soluzione dei conflitti e per condurre alla riconciliazione tra i popoli (e dentro i popoli) col sanare ferite storiche, profonde e prolungate. Abbiamo visto, in questi anni, la collaborazione fraterna tra cristiani e musulmani, ad Aleppo, per aiutare bambini e ragazzi a superare il trauma della guerra. Vediamo il clima fraterno che si è creato nelle nostre scuole tra cristiani e musulmani e in particolare nella nostra piccola scuola di musica di Gerusalemme, il «Magnificat», che vede insieme professori e studenti ebrei, cristiani e musulmani.

Sono piccoli segni, ma tengono viva la speranza, che «ci parla di una realtà che è radicata nel profondo dell’essere umano, indipendentemente dalle circostanze concrete e dai condizionamenti storici in cui vive» ( Fratelli tutti , 55).

di Francesco Patton
Custode di Terra Santa