Operatrice legale al Centro Astalli

Esploratrice di sogni e incubi

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08 ottobre 2020

«AVivian. Da quando sei scomparsa, non mi piace più fare colazione. Torna». Angela Tognolini dedica a lei il suo primo libro, a Vivian, una donna nigeriana vittima di tratta di cui ha perso le tracce. È proprio il tentativo di non perdere la memoria di quello che sta succedendo sulle rotte attuali della migrazione a guidare le storie contenute in Vicini Lontani. Otto racconti di anime in viaggio (Milano, Editore il Castoro 2020, pagine 160, euro 15,50) destinato a un pubblico giovane. Storie che Tognolini ha raccolto nei quattro anni in cui è stata operatrice legale per richiedenti asilo e rifugiati presso il Centro Astalli Trento. Tutto è iniziato nella primavera del 2014 quando la ragazza — laureata in Scienze Internazionali Diplomatiche — comincia a fare volontariato con i migranti. Poi il volontariato è diventato un tirocinio, il tirocinio un’assunzione e, l’anno seguente, a 25 anni, Angela Tognolini è operatrice legale. Gli operatori legali sono coloro che supportano i migranti che vogliono presentare domanda d’asilo. Secondo la legge, si possono ottenere i documenti se si corrono determinati rischi nel proprio Paese, così l’operatore legale — dopo averne ascoltato la storia — prepara i richiedenti asilo all’intervista in cui verrà loro chiesto il motivo della fuga. Li aiuta cioè a ricostruire il loro vissuto, a filtrare le informazioni più importanti facendosi largo tra le differenze culturali e le reticenze indotte dai traumi, per arrivare a una narrazione che possa essere compresa dall’ufficiale del Ministero dell’Interno. «In questo senso — scrive Tognolini nella postfazione — gli operatori legali si occupano tanto di norme quanto di racconti. Tanto di geopolitica quanto di ricordi. Tanto di legge, quanto di fiducia». Le radici del libro si dipanano tra Bangladesh e Siria, tra Liberia e i barconi nel Mediterraneo, tra i campi in Libia e i valichi balcanici. «Ho ascoltato le storie di circa trecento migranti: storie vere, lunghe, brevi, terribili, divertenti, piene di disperazione e piene di speranza, storie a volte inventate per nascondere storie ancora più tremende. Mi sono specializzata nell’accompagnare donne, vittime di violenza e tratta di esseri umani. Le storie si sono fatte ancor più cupe». Quei quattro anni di parole, dialoghi, pianti, risate e litigi sono stati «il nutrimento per far crescere questo libro». Sono così nate le storie di Yara e del suo grande amore sbocciato nell’orrore della guerra; di Madou e delle sue sei dita; di Iman, dei corridoi umanitari e del superpotere dei dolcetti che questa donna prepara; e ancora Zarek, Viky e gli altri che hanno lasciato o stanno per lasciare il loro Paese. Spinti dalla disperazione («Entrate nei nostri incubi, se siete tanto curiosi! — urla una delle protagoniste del libro — Venite a vedere cosa ci fa svegliare gridando di notte») e guidati da una speranza cieca e caparbia. Alcuni degli otto racconti sono distopici, riflettono su quello che potrebbe accadere, aiutano ulteriormente a superare lo steccato tra “noi e loro”, dove “loro” — i migranti disperati, i diversi — siamo diventati noi. Nel complesso sono tutti personaggi che ci aiuteranno a riconoscere i volti che incrociamo ogni giorno per strada, a incuriosirci, a provare empatia. Solo così infatti potremo restituire ai migranti una vita. Come dicevamo Vicini lontani è per Vivian, una delle tante vittime della tratta. E se Vivian è ora un’assenza, se il legame con l’operatrice legale non ha potuto proteggerla, la dedica finisce però con un appello: «Torna. Sistemeremo tutto». È quello che in sostanza fanno questi racconti: non c’è il lieto fine, c’è la possibilità. La possibilità di accompagnare, per restituire dignità.

di Silvia Gusmano