Reportage

Caucaso senza pace

epa08723394 A handout photo made available by the Armenian Defense Ministry on 06 October 2020 shows ...
09 ottobre 2020

Continuano senza sosta i combattimenti nel Nagorno-Karabakh, regione del Caucaso meridionale contesa tra Azerbaigian e Armenia.

Un teatro di guerra — ripreso lo scorso 27 settembre — quanto mai incerto, dove stabilire con sicurezza cosa stia avvenendo sul campo è molto difficile, con Baku e Yerevan che ripetutamente si scambiano reciproche accuse di intensificare i colpi di arma da fuoco e i bombardamenti.

La situazione è di giorno in giorno sempre più tesa. Il conflitto nel Nagorno-Karabakh — regione a maggioranza armena all'interno dell'Azerbaigian, che ha dichiarato l'indipendenza nel 1991 — preoccupa molto da vicino i Paesi occidentali e della regione, perché potrebbe causare forte instabilità nel Caucaso meridionale, crocevia di interessi regionali e globali, che funge da corridoio per gli oleodotti che trasportano petrolio e gas verso i mercati mondiali.

Baku e Yerevan sono da diversi anni in disaccordo sul Nagorno-Karabakh, che si è staccato dall'Azerbaigian dopo un conflitto scoppiato con il crollo dell'Unione sovietica ed è sotto il controllo di forze sostenute dall’Armenia dal 1994. La guerra già combattuta dalle due ex Repubbliche sovietiche caucasiche ha provocato non meno di 30.000 vittime e quasi un milione di sfollati.

Sebbene nel 1994 sia stato concordato un cessate il fuoco, l'Azerbaigian e l'Armenia proseguono ad accusarsi a vicenda di violare la fragile tregua. I colloqui di pace condotti dal Gruppo di Minsk (guidato da una co-Presidenza attualmente composta da Francia, Russia e Stati Uniti, e di cui fanno parte anche Belarus, Germania, Italia, Portogallo, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia e Turchia, oltre a Armenia e Azerbaigian) dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che cerca di portare avanti una mediazione tesa a rafforzare la tregua del 1994, sono tuttora in fase di stallo.

La diplomazia internazionale è al lavoro per dipanare la matassa, finora con esiti negativi. L’obiettivo è quello di riportare la soluzione del sanguinoso conflitto al canale dei colloqui di pace.

La scorsa settimana, i Presidenti statunitensi, russo e francese, Donald Trump, Vladimir Putin e Emmanuel Macron, hanno chiesto l’immediata cessazione delle ostilità tra le forze militari. Anche l’Unione Europea ha invitato tutte le parti in conflitto ad astenersi dalla violenza, a dichiarare un immediato cessate il fuoco e a rispettarlo. Nel condannare l’uso della forza nel Nagorno-Karabakh, il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, dopo due colloqui telefonici con il Presidente azero, Ilham Aliyev, e con il Premier armeno, Nikol Pashinyan, ha chiesto un cessate il fuoco immediato. «I negoziati sono la sola via da seguire», ha precisato Michel.

Anche l’Iran è intervenuto, affermando di lavorare per cercare di raggiungere un’intesa.  La questione, ha sottolineato una nota del Ministero degli Esteri di Teheran, è stata recentemente affrontata in una telefonata del Capo della diplomazia iraniana, Mohammad Javad Zarif, con l’omologo russo Serghiei Lavrov.

La tensione nel Caucaso non accenna, però, a diminuire. I recenti scontri a fuoco tra le truppe azere e quelle armene nella regione caucasica —  uno tra i più longevi conflitti al mondo — hanno già provocato decine di vittime tra i due schieramenti e con il passare delle ore,  senza un vero e proprio cessate il fuoco,  i rischi di un intervento esterno nei combattimenti riesplosi nel Caucaso meridionale si fanno sempre più forti.

Il timore è che il conflitto si estenda coinvolgendo direttamente o indirettamente anche la Russia, legata all’Armenia dall’alleanza militare Csto, e la Turchia, che invece si è schierata apertamente dalla parte dell’Azerbaigian.

Il Cremlino ha una base militare in Armenia, ma è in buoni rapporti anche con il  Governo di Baku. Il Presidente russo, Vladimir Pitun, ha in più di un’occasione auspicato la fine dei combattimenti, chiedendo alle parti belligeranti di deporre le armi.

La Turchia ha ripetutamente dichiarato il suo pieno sostegno a Baku, dicendosi pronta a intervenire, anche militarmente, se richiesto.
Forte dell'appoggio di Ankara, Aliyev, ha dichiarato che una tregua sarà possibile solo dopo il ritiro delle truppe armene.

La replica di Yerevan non si è fatta attendere. «Quando c'è un’aggressione, il primo compito è quello di proteggere la popolazione. Dopo di che sarà possibile parlare di trattative»,  ha risposto Pashinyan.

Il capoluogo del conteso Nagorno-Karabakh, Stepanakert, è un territorio che ufficialmente appartiene all’Azerbaigian, ma è ora abitato quasi esclusivamente da armeni, che hanno istituito una repubblica non riconosciuta da nessuno a livello internazionale, neanche dalla stessa Armenia che pure la appoggia.

Stepanakert normalmente ha 50.000 abitanti, ma in questi ultimi giorni è stata più volte colpita dai bombardamenti, che — hanno accertato giornalisti  sul posto —  l’hanno trasformata «in una città fantasma, punteggiata da munizioni inesplose e crateri» scavati dalle bombe.

di Francesco Citterich