«Al di là del Mekong. Lettere dalla Cambogia» di don Alberto Caccaro

Un confronto onesto con la vita e con la morte

Particolare della copertina del libro
29 settembre 2020

«Ospedali e scuole sono ambiti per noi inaggirabili, dobbiamo essere lì. Sono luoghi che portano le nostre storie a intrecciarsi. E si evangelizza solo se si ha una storia insieme», scrive don Alberto Caccaro chiudendo Al di là del Mekong. Lettere dalla Cambogia (Milano, Fondazione Pime 2020, pagine 176, euro 10). «Il nostro Dio — prosegue il sacerdote classe 1968 — quello di Abramo, Isacco e Giacobbe, quello di Gesù, è un Dio di storia, di legami, di alleanze. Di passione reciproca. Di presa in carico. Anche senza soluzione, ma con passione. Perché c’è salvezza solo dentro una storia insieme».

Ed è una parte piccola ma significativa di questa “storia insieme” quella che emerge dal suo secondo libro di lettere dal Paese asiatico. Missionario del Pime in Cambogia ed ex direttore del Centro missionario del capoluogo lombardo, padre Caccaro è stato ordinato prete venticinque anni fa e dopo un quinquennio di attività pastorale a Milano nel 2011 arriva in Cambogia. Oggi vive il suo ministero nella prefettura apostolica di Kompong Cham, occupandosi di educazione.

Se già con Cento specie di amori (Lindau 2012) il sacerdote aveva raccontato, attraverso lettere e articoli, il decennio 2001-2011 trascorso nel Paese, i testi di questo nuovo libro sono forse ancora più interessanti.

Il senso di Al di là del Mekong è ben colto da Silvano Petrosino, che ne firma l’introduzione. «Ciò che queste pagine offrono a chi ha orecchi per intendere e occhi per guardare — scrive il filosofo della Cattolica — è molto di più di un’analisi puntuale di determinate situazioni geografiche o di un’accurata interpretazione di certi fenomeni sociali, rivelando piuttosto l’abitare di un uomo di fede nella carne del mondo. E ciò non mi sembra affatto poco, visto che sono ancora molti coloro che sono fermamente convinti che la fede, qualsiasi fede religiosa, non riesca a frequentare altro che i “retro-mondi” affollati, nella migliore delle ipotesi, da pie illusioni e buoni sentimenti».

Colpisce di queste lettere (originariamente raccolte nel blog di padre Caccaro) la forza e l’intensità di ciò che comunicano, un’esperienza che «sarebbe certamente rimasta nell’ombra — scrive ancora Silvano Petrosino — senza certe parole, senza un certo modo di scrivere e raccontare». Un modo di raccontare che pone questioni che ci interpellano. Perché non vi è solo la cronaca di ciò che don Caccaro vive, non ci sono solo gli incontri, i dolori e le gioie delle persone con cui procede nel cammino; ci sono anche riflessioni, spunti, meditazioni sul senso della sofferenza e della fede. Su amore, amicizia, confronto e ascolto in un dialogo che accoglie le parole di don Gnocchi e don Milani, Ada Negri, Pèguy, Bernanos, Carron, padre Turoldo, Etty Hillesum, Flannery O’Connor, Chandra Livia Candiani, Mariangela Gualtieri e Papa Francesco. Un coro ampio, e ricchissimo.

«Quante volte avrei voluto tornare indietro — confessa a venticinque anni dall’ordinazione sacerdotale — riavvolgere il nastro della mia vita missionaria, riscriverla di nuovo. Quante volte mi sono messo alla ricerca di quel tempo perduto. Quante volte il senso di colpa mi ha messo fretta e solo l’esperienza della fede mi ha spinto a cercare una porta che fosse per me un accesso pieno al mondo di Dio che è Misericordia. Una misericordia che mi fa amare la vita».

C’è la ricerca continua dell’Incontro, in queste lettere. C’è il confronto onesto con la vita e con la morte («come parti di una stessa avventura nuziale corrisponde a quanto la Scrittura lascia presagire»), c’è il bisogno e la speranza di avvicinarsi al Mistero di Dio. E dell’uomo.

In chiusura del libro, irrompe il coronavirus. Prima come eco lontana, poi come presenza, con tutto ciò che esso comporta anche in termini di chiusure e gravi problemi economici. Soprattutto per i Paesi e le persone più in difficoltà.

di Silvia Gusmano