Gli impulsi del documento della Commissione teologica internazionale

Sinodalità e cammino ecumenico

Aldo Borgonzoni, «Personaggi giovannei» (1967)
17 settembre 2020

La sinodalità esercizio di Chiesa: si può riassumere in questa formula il contributo offerto dal documento della Commissione teologica internazionale (Cti) su «La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa» (2018). In esso, infatti, il cammino della sinodalità è presentato come l’esercizio in cui la Chiesa attua se stessa nella missione che la definisce. Questo del resto è uno dei fili conduttori decidenti del magistero di Papa Francesco, su di esso imperniandosi il manifesto programmatico del suo ministero, l’Evangelii gaudium (24 novembre 2013). Tanto che egli è giunto ad affermare, con pacata e profetica determinazione: «Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» (Discorso in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, 17 ottobre 2015). Un’affermazione che riveste una precisa rilevanza ecumenica. Sia perché, quando di Chiesa si parla alla luce del Vaticano II, la coscienza cattolica non può non pensare alla Chiesa una di Gesù Cristo che tale è nella pluriformità delle sue espressioni storiche, in virtù della comune fede e del comune battesimo, nonostante le divisioni intervenute nel corso dei secoli e delle diversità non riconciliate che persistono. Sia perché la sinodalità costituisce il luogo ermeneutico pertinente per quel discernimento comunitario che impegna la Chiesa nel cammino irreversibile a riconciliare nella sinfonia della cattolicità le diversità legittime e arricchenti.

La Cti sottolinea che la sinodalità focalizza uno specifico kairós nell’autocoscienza e nell’autoconfigurazione della Chiesa (cfr. Introduzione). Molto cammino si è fatto, è vero, dal Vaticano II ad oggi, ma è sintomatico che questo sia il primo documento ufficiale della Chiesa cattolica che programmaticamente e organicamente ne tratta. La precisazione concettuale dei termini comunione, collegialità e sinodalità nella loro distinzione e nella loro correlazione (cfr. Introduzione), la messa in evidenza dello svilupparsi della dimensione sinodale come intrinseca alla missione della Chiesa lungo la storia a partire dall’attestazione della Rivelazione (cfr. capitolo i), la messa a tema dei fondamenti teologici e dei contenuti teologali della sinodalità (cfr. capitolo ii), convergono nel sottolineare che la sinodalità, esprimendo il modus vivendi et operandi (cfr. n. 6 e 70) della Chiesa comunione in quanto Popolo di Dio, costituisce l’humus necessario e vitale dell’esercizio della collegialità dei vescovi. In ciò è dato senz’altro di rinvenire uno sviluppo coerente della prospettiva ecclesiologica del Vaticano II: per riprendere le parole di Papa Francesco, la sinodalità «ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico», valorizzando in modo adeguato, in particolare, la dottrina del sensus fidei fidelium (ibid.).

Degno di nota il fatto che due sono le prospettive in ordine alle quali la Cti giudica di rilevanza strategica la messa in atto della sinodalità: la realizzazione di «un nuovo slancio missionario che coinvolga l’intero Popolo di Dio» e l’andare «al cuore dell’impegno ecumenico: perché [la sinodalità] rappresenta un invito a camminare insieme sulla via verso la piena comunione e perché offre — correttamente intesa — una comprensione e un’esperienza di Chiesa in cui possono trovare posto le legittime diversità nella logica di un reciproco scambio di doni alla luce della verità» (n. 9). Questa duplice e correlata intenzionalità attraversa il documento e ne plasma l’architettura, essendo trasversale a tutti e quattro i capitoli in cui è articolata la trattazione.

La specifica intenzionalità ecumenica del documento risalta innanzi tutto nel primo capitolo. Significativa già la titolatura: «La sinodalità nella Scrittura, nella Tradizione, nella Storia». Dalla struttura così proposta si evince l’intenzione di una rilettura dell’attestazione scritturistica riconosciuta nella sua normatività da tutte le confessioni cristiane, per poi venire alla tradizione dei Padri della Chiesa e dei concili ecumenici del primo millennio che costituiscono il patrimonio dottrinale comune di tutte le Chiese, e per passare infine agli sviluppi conosciuti nel corso del secondo millennio quando si determinano la rottura della comunione prima tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente e poi quella a seguito della Riforma protestante. In tal modo s’intende sottolineare che l’approfondimento e il rilancio della sinodalità riveste un importante significato ecumenico: sia perché rimanda a una comune intelligenza delle fonti da tutti considerate normative, sia perché riconosce che gli sviluppi conosciuti nel corso del secondo millennio sono segnati dalle ferite della divisione e come tali invocano un pertinente discernimento in vista della riconciliazione.

In proposito, risulta di grande importanza il criterio ermeneutico descritto al n. 24: «La perseveranza sulla via dell’unità attraverso la diversità dei luoghi e delle culture, delle situazioni e dei tempi, è la sfida cui il Popolo di Dio è chiamato a rispondere per camminare nella fedeltà al Vangelo gettandone il seme nell’esperienza dei diversi popoli. La sinodalità si dispiega sin dall’inizio quale garanzia e incarnazione della fedeltà creativa della Chiesa alla sua origine apostolica e alla sua vocazione cattolica. Essa si esprime in una forma che è unitaria nella sostanza, ma che via via si esplicita, alla luce dell’attestazione scritturistica, nello sviluppo vivente della Tradizione. Tale unitaria forma conosce pertanto differenti declinazioni». Questo criterio riveste un significato strategico nell’ermeneutica che, a proposito dei documenti che attestano la prassi sinodale, è necessario seguire per continuare a camminare lungo la via della sinodalità nella logica della fedeltà creativa.

Significativa inoltre è l’opzione di dar conto nella sezione storica, in un quadro d’insieme, degli sviluppi conosciuti dalla prassi sinodale lungo i secoli da tutte le tradizioni cristiane. Viene così profilato il compito arduo ma senz’altro ineludibile — come ha notato Riccardo Battocchio, presidente dell’Associazione teologica italiana (Ati) — di «custodire e testimoniare l’unità già presente, aprendosi nello stesso tempo a un inedito non ancora disponibile, del quale proprio grazie al cammino ecumenico si intravedono alcuni possibili tratti».

Il cammino del dialogo ecumenico ha di fatto richiamato l’attenzione sul concetto e sulla pratica della sinodalità come questione chiave in vista del raggiungimento della piena e visibile unità. Il documento della Cti lo richiama e s’impegna ad argomentare la proposta che produce in questa logica (cfr. n. 9 e 115-117). Già nel primo capitolo, la sezione riguardante la storia della Chiesa nel primo millennio tiene conto dei risultati del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme, confluiti nel Documento di Ravenna (2007): «Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, sinodalità e autorità», ripresi in rapporto al primo millennio nel Documento di Chieti (2016); «Sinodalità e primato nel primo millennio. Verso una comune comprensione nel servizio all’unità della Chiesa». La stretta connessione tra la natura sacramentale della Chiesa e la sua figura sinodale in interdipendenza con l’esercizio diversificato, ai suoi vari livelli, del primato, è infatti esplicitata nel Documento di Ravenna come risposta alla domanda circa il modo in cui «le strutture istituzionali riflettono visibilmente il mistero della koinônia».

Circa lo sviluppo della coscienza del primato del Vescovo di Roma nel secondo millennio da parte della Chiesa cattolica, se ne sottolinea l’imperdibile guadagno non omettendo di sottolinearne anche le ombre, derivanti dalla rottura della comunione con la Chiesa d’Oriente. Così, ad esempio, in riferimento alla riforma gregoriana e alla lotta per la libertas Ecclesiae (nn. 32-34) e al Concilio di Trento (n. 35). Si sottolinea infine che il primato del Papa «viene presentato dal Vaticano i come il ministero posto a garanzia dell’unità e indivisibilità dell’episcopato a servizio della fede del Popolo di Dio» e che «la formula secondo cui le definizioni ex cathedra del Papa sono irreformabili “per se stesse e non in virtù del consenso della Chiesa”, “non rende il consensus Ecclesiae superfluo ma afferma l’esercizio dell’autorità che è propria del Papa in virtù del suo specifico ministero”» (n. 37). Tale ermeneutica, intrinsecamente segnata dall’istanza ecumenica in conformità al magistero del Vaticano II, spiana la strada ai numeri finali (38-42) della sezione storica che in rapida successione riepilogano gli elementi del rinnovamento ecclesiologico che portano al Vaticano II.

Sulla scorta del magistero dell’ultimo Concilio ecumenico letto alla luce della Tradizione, nel secondo capitolo è esposta una prospettiva ecclesiologica senz’altro ecumenicamente rilevante in quanto muove da questo assunto: «Le dimensioni trinitaria e antropologica, cristologica, pneumatologica ed eucaristica del disegno divino di salvezza che si attua nel mistero della Chiesa descrivono l’orizzonte teologico entro il quale la sinodalità si è stagliata e attuata attraverso i secoli» (n. 48). Di qui, innanzi tutto, il rilievo ecclesiologico riconosciuto alle Chiese locali (n. 61). In secondo luogo, l’invito a «promuovere il dispiegarsi della comunione sinodale tra “tutti”, “alcuni” e “uno”», coniugando in una coerente dinamica sinodale «l’aspetto comunitario che include tutto il Popolo di Dio, la dimensione collegiale relativa all’esercizio del ministero episcopale e il ministero primaziale del Vescovo di Roma» (n. 64).

Nel terzo capitolo, ricco di significato è il fatto che l’ordine scelto per descrivere la vita sinodale della Chiesa non sia quello seguito nel Codice di diritto canonico, libro ii, parte ii, sotto il titolo «La costituzione gerarchica della Chiesa», che procede dalla Chiesa universale verso la Chiesa particolare riservando poi un titolo ai raggruppamenti di Chiese particolari; ma s’ispiri a quello seguito da Papa Francesco nel Discorso per il 50° dell’istituzione del Sinodo dei vescovi: dalla sinodalità nella Chiesa particolare alla sinodalità nelle Chiese particolari a livello regionale sino alla sinodalità nella Chiesa universale.

In questo contesto, vanno rilevate alcune sottolineature passibili di essere sviluppate nella riflessione ecumenica a proposito dell’assetto che si può immaginare nel futuro anche in vista di una riconciliazione tra le diverse confessioni: il richiamo alla sinodalità a livello di provincia e di regione come praticata in Oriente e in Occidente (n. 85-86); il riconoscimento del significato ecclesiologico delle Conferenze episcopali (n. 89-91), dei raggruppamenti delle stesse anche a livello continentale (n. 86) e, in modo specifico, dei Patriarcati nelle Chiese orientali cattoliche (n. 92-93); e infine, a livello della Chiesa universale, il richiamo al principio, sancito dal Codice di diritto canonico (337 § 3), secondo cui «il Sinodo dei Vescovi non è l’unica forma possibile di partecipazione del Collegio dei Vescovi alla sollecitudine pastorale per la Chiesa universale» (n. 100). Senza dire che sin dall’inizio del capitolo, richiamandosi a Papa Francesco, si rimarca che «l’attuazione della dimensione sinodale della Chiesa deve integrare e aggiornare il patrimonio dell’antico ordinamento ecclesiastico con le strutture sinodali sorte per impulso del Vaticano II e dev’essere aperta alla creazione di nuove strutture» (n. 76).

Nel quarto capitolo l’istanza della sinodalità viene teologicamente inscritta — in conformità all’insegnamento del Vaticano II (cfr. Unitatis redintegratio, 7) — entro la cornice della conversione che «si esprime innanzi tutto nella risposta alla gratuita chiamata di Dio a vivere come suo Popolo che cammina nella storia verso il compimento del Regno» (n. 103). Conversione che implica una dimensione esteriore e sociale, traducendosi in impegno alla conversione della vita ecclesiale anche a livello strutturale. Se dunque, come si legge al n. 106, tra le linee di orientamento nell’azione pastorale va annoverata «l’apertura della Chiesa cattolica verso le altre Chiese e Comunità ecclesiali nell’impegno irreversibile a camminare insieme verso la piena unità nella diversità riconciliata delle rispettive tradizioni» (n. 106d), ciò implica, in prima battuta, una seria conversione alla spiritualità della comunione che in concreto chiede di predisporre per tutto il Popolo di Dio percorsi di formazione alla vita sinodale e all’arte esigente dell’ascolto e del dialogo in vista dell’attivazione del metodo del discernimento comunitario (cfr. le sezioni seconda e terza del quarto capitolo). Spiritualità della comunione e spiritualità ecumenica in effetti camminano insieme: perché propiziano «il transito pasquale dall’“io” individualisticamente inteso al “noi” ecclesiale, dove ogni “io”, essendo rivestito di Cristo (cfr. Galati, 2, 20), vive e cammina con i fratelli e le sorelle come soggetto responsabile e attivo nell’unica missione del Popolo di Dio» (n. 107).

La quarta sezione del quarto capitolo, «Sinodalità e cammino ecumenico» (n. 115-117), esplicita a tutto tondo la chiave di lettura ecumenica dell’istanza sinodale: «Occorre registrare con gioia il fatto che il dialogo ecumenico è giunto in questi anni a riconoscere nella sinodalità una dimensione rivelativa della natura della Chiesa e costitutiva della sua unità nella molteplicità delle sue espressioni. Si tratta della convergenza sulla nozione della Chiesa come koinônia, che si realizza in ogni Chiesa locale e nella sua relazione con le altre Chiese, attraverso specifiche strutture e processi sinodali» (n. 116).

A conferma di ciò si segnalano il Documento di Chieti per quanto concerne il dialogo cattolico-ortodosso, e il Documento di Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese «The Church. Towards a Common Vision». Dal primo documento si ricava un principio di orientamento per il prosieguo del dialogo: «La comunione ecclesiale, affondando le radici nella SS.ma Trinità, ha sviluppato nel primo millennio, in Oriente e in Occidente, delle “strutture di sinodalità inseparabilmente legate con il primato”, la cui eredità teologica e canonica “costituisce il necessario riferimento […] per guarire la ferita della loro divisione all’inizio del terzo millennio” » (n. 116).

Si può osservare che la sinodalità se, per un verso, dice l’identificazione della natura profonda e al tempo stesso storica della Chiesa in cui s’incontrano le diverse espressioni che essa ha assunto lungo i secoli anche in modo divisivo e conflittuale, propiziando oggi il cammino della riconciliazione; per un altro verso, dichiara il metodo del discernimento comunitario che è necessario assumere per proseguire il cammino verso quella forma di unità nella pluriformità che risponde al dono di grazia della Santissima Trinità alla Chiesa di Gesù Cristo a servizio della famiglia umana.

In conclusione, afferma il documento della Cti, è «il consenso su questa visione di Chiesa» che «permette di focalizzare l’attenzione, con serenità e oggettività, sugli importanti nodi teologici che restano da sciogliere» (n. 117). In altri termini: l’interpretazione della vocazione sinodale della Chiesa non può non segnalare i punti di distanza che chiedono ulteriore discernimento per sceverare ciò che, essendo genuina espressione dell’ispirazione evangelica e della doctrina fidei, va con gratitudine integrato nell’unità cattolica e ciò che invece — per usare il linguaggio evangelico — «va potato» affinché, quando il tralcio è buono, possa «portare più frutto» (cfr. Giovanni, 15, 2).

Occorre pertanto determinare insieme, in un rigoroso e fiducioso esercizio di dialogo, che si faccia spazio aperto all’ascolto della voce dello Spirito, quanto pertiene alla legittima pluralità delle forme espressive della fede nelle diverse culture, situazioni storiche, interpretazioni ecclesiologiche e di quanto invece inerisce alla sua identità perenne e alla sua unità cattolica. La Cti individua due nodi principali: «Si tratta, in primo luogo, della questione concernente il rapporto tra la partecipazione alla vita sinodale di tutti i battezzati, in cui lo Spirito di Cristo suscita e alimenta il sensus fidei e la conseguente competenza e responsabilità nel discernimento della missione, e l’autorità propria dei Pastori, derivante da uno specifico carisma conferito sacramentalmente; e, in secondo luogo, dell’interpretazione della comunione tra le Chiese locali e la Chiesa universale espressa attraverso la comunione tra i loro Pastori con il Vescovo di Roma» (n. 117).

La prima questione tocca principalmente il dialogo con le Chiese e le comunità ecclesiali nate dalla riforma protestante, in quanto esse «promuovono una forma specifica di prassi sinodale, nel contesto di un’ecclesiologia e di una dottrina e pratica sacramentale e ministeriale che si discostano dalla Tradizione cattolica» (n. 36). Quest’affermazione intende segnalare che le forme assunte dalla sinodalità nelle espressioni di prassi ecclesiale suscitate dalla riforma protestante articolano la vita della comunità a partire da una concezione e pratica dei sacramenti e del ministero ordinato che — allo stato attuale del dialogo teologico — appaiono in distonia con la linea di fondo seguita dalla tradizione. Di qui la necessità di un ulteriore approfondimento.

La seconda questione concerne, in particolare, il dialogo cattolico-ortodosso circa la correlazione tra sinodalità e primato sul livello della Chiesa universale. Su questo tema, in verità, il documento fa tesoro dei guadagni sinora raggiunti, ne conferma la validità sulla base dell’ermeneutica che propone della tradizione e dell’ecclesiologia del Vaticano II, e propizia, in questa luce, il prosieguo del cammino. Il quale si trova di fronte a due delicati temi da affrontare: il significato dell’affermazione del primato papale nel concilio Vaticano i (il che potrà essere fatto, con frutto, solo tenendo conto dell’ermeneutica che in proposito si evince dal Vaticano II), da un lato, e, dall’altro, l’invito di san Giovanni Paolo II nella Ut unum sint (1995) a «trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova» (cfr. n. 95).

Si può dare ormai per acquisito il riferimento all’esperienza ecclesiale del primo millennio quale patrimonio comune della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa ed efficace fonte d’ispirazione nella ricerca della riconciliazione all’inizio del terzo millennio. E ciò sulla base del fatto che nel primo millennio le Chiese dell’Oriente e dell’Occidente erano unite nel preservare e trasmettere la fede apostolica, sulla base della successione apostolica dei vescovi e sviluppando strutture di sinodalità legate inseparabilmente, ai vari livelli della sua espressione, all’esercizio del primato. Il primo millennio, pertanto, non rappresenta tanto un modello definitivo, ma offre alcuni punti fermi condivisi che hanno la loro misura normativa nel Vangelo di Gesù e nell’esperienza vitale e dottrinale della Chiesa una espressa al più alto livello nei Concili ecumenici. Occorre ripartire di qui, aperti alla novità dello Spirito nella logica del cammino «verso la Verità tutta intera» (Giovanni, 16, 13).

In questa prospettiva, il documento della Cti chiude la sezione del quarto capitolo dedicata a «Sinodalità e dialogo ecumenico», con una costatazione che è al contempo un auspicio e un’indicazione di metodo per camminare avanti: «L’attuazione della vita sinodale e l’approfondimento del suo significato teologico costituiscono una sfida e un’opportunità di grande rilievo nel prosieguo del cammino ecumenico. È nell’orizzonte della sinodalità infatti che, con fedeltà creativa al depositum fidei e in coerenza con il criterio della hierarchia veritatum (Unitatis redintegratio, 11c), si fa promettente quello scambio di doni di cui ci si può mutuamente arricchire camminando verso l’unità come armonia riconciliata delle inesauribili ricchezze del mistero di Cristo che si riflettono nella bellezza del volto della Chiesa» (n. 117).

di Piero Coda