Riflessione dei vescovi spagnoli sul disegno di legge che depenalizza l’eutanasia

Per la dignità di ogni vita umana

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16 settembre 2020

«Non ci sono pazienti “da non curare”, pur se incurabili». Nella sua nota, datata 14 settembre, la Commissione esecutiva della Conferenza episcopale spagnola chiarisce fin dal titolo che l’eutanasia, il suicidio assistito, in sintesi la morte, non possono essere la soluzione alla sofferenza dei malati in fase terminale, ricordando che la caratteristica principale della medicina «è curare ma anche prendersi cura, alleviare, confortare, soprattutto alla fine della vita». La riflessione dei vescovi è venuta quattro giorni dopo la decisione del Congresso dei deputati di proseguire l’iter della proposta di legge organica per la regolamentazione dell’eutanasia presentata dal gruppo parlamentare socialista. Gli emendamenti del Partito popolare (tesi a regolare l’esercizio dei diritti della persona e i doveri dei professionisti a garanzia della tutela della dignità del malato) e di Vox (per accedere a cure palliative avanzate e di qualità fornite da operatori sanitari debitamente formati) sono stati respinti e così il disegno di legge per «fornire una risposta legale, sistematica, equilibrata e garantista a una domanda sostenuta dalla società odierna quale è l’eutanasia» va avanti. L’obiettivo finale è la depenalizzazione in alcuni casi ben definiti, «a salvaguardia — affermano i promotori — dell’assoluta libertà di decisione, escludendo pressioni esterne di qualsiasi tipo».

Nella sua nota l’episcopato spagnolo parla di «cattiva notizia» perché «la vita umana non è un bene a disposizione di nessuno» e rammenta i numerosi interventi su «questa grave questione che mette in discussione la dignità della vita umana». L’ultimo testo al riguardo è stato pubblicato il 1° novembre 2019 con il titolo Seminatori di speranza. Accogliere, tutelare e accompagnare nella fase finale della vita umana e prende in esame le argomentazioni di chi vuole favorire l’eutanasia e il suicidio assistito, evidenziandone l’incoerenza poiché partono da premesse ideologiche piuttosto che dalla realtà del malato in situazione terminale. «Insistere sul “diritto all’eutanasia” — ribadisce la Commissione esecutiva — è tipico di una visione individualista e riduzionista dell’essere umano e di una libertà slegata dalla responsabilità. Si afferma una radicale autonomia individuale e, al tempo stesso, si richiede un intervento “compassionevole” della società attraverso la medicina, originando un’incoerenza antropologica. Da un lato viene negata la dimensione sociale dell’essere umano, “dicendo che la mia vita è mia e solo mia e me la posso togliere”, dall’altro si chiede che qualcun altro — la società organizzata — legittimi la decisione» di eliminare la sofferenza, togliendo la vita.

La pandemia di covid-19 «ci ha fatto capire che siamo responsabili l’uno dell’altro e ha relativizzato le proposte di autonomia individualistica. La morte in solitudine di tanti ammalati e la situazione degli anziani ci interpellano. Abbiamo tutti lodato la professione medica che, dal giuramento di Ippocrate a oggi, è impegnata nella cura e nella difesa della vita umana. La società spagnola ha applaudito la sua dedizione e ha chiesto un maggiore sostegno al nostro sistema sanitario per intensificare le cure e “non lasciare indietro nessuno”». Anche il suicidio, «in crescita tra noi, richiede una riflessione e pratiche socio-sanitarie di prevenzione nonché cure tempestive. La legalizzazione di forme di suicidio assistito — è scritto nel documento — non aiuterà» di certo a far comprendere che «la morte non è la giusta via d’uscita». La legge, che ha in sé la funzione di promuovere criteri etici, «non può proporre la morte come soluzione ai problemi». Per i vescovi è la medicina palliativa la strada da percorrere perché «mira a umanizzare il processo della morte e ad accompagnare fino alla fine». Chiedono perciò alle istituzioni pubbliche una legislazione adeguata sulle cure palliative che «risponda ai bisogni attuali che non sono pienamente soddisfatti. La fragilità che stiamo vivendo in questo periodo costituisce un’opportunità per riflettere sul senso della vita, sulla cura fraterna e sul significato della sofferenza e della morte».

Una società, conclude la nota, «non può pensare all’eliminazione totale della sofferenza e, quando non la ottiene, proporre di lasciare la scena della vita; al contrario, deve accompagnare, alleviare e aiutare a vivere quella sofferenza. Non si comprende la proposta di una legge che mette nelle mani di altri, specialmente dei medici, il potere di togliere la vita ai malati. Il sì alla dignità della persona, soprattutto nei suoi momenti di massima impotenza e fragilità, ci obbliga a opporci a questa legge che, in nome di una presunta morte dignitosa, nega alla sua radice la dignità di ogni vita umana». (giovanni zavatta)